Il vero problema
è posto da una concezione ormai troppo radicale, presente nel legislatore e nel
modo di condurre la disciplina anticorruzione, del conflitto di interessi.
Il Rup si
presuppone sia “incompatibile” con lo svolgimento della gara, perché svolge
attività amministrativa e tecnica finalizzata a predisporre gli atti ed a
scegliere la procedura.
Tuttavia,
nessuno riesce a spiegare in modo convincente perché mai questo determinerebbe
una situazione di incompatibilità. Essa sarebbe rilevabile se il Rup acquisisse
le cognizioni necessarie per redigere gli atti di gara da ditte e consulenti,
che poi partecipano alla gara. Il conflitto di interesse è definito dall’articolo
42, comma 2, del d.lgs 50/2016 e, oggettivamente, non si vede come il ruolo del
Rup possa considerarsi di per sé produttivo di tale conflitto.
L’eventuale
influenza che operatori economici possano determinare sulle scelte del Rup è
scongiurata dall’articolo 67 del codice.
Dunque, di che
si parla? Per quale ragione il legislatore, ma più ancora l’Anac, ha introdotto
questa complicazione operativa, che fornisce a qualsiasi operatore economico il
destro per ricorrere contro le scelte dell’amministrazione?
Per altro, il
problema riguarda il Rup nelle commissioni di gara, dunque quando a decidere è
un collegio e non il Rup singolo. Per quale ragione si dovrebbe ammettere e
dare per scontato che il Rup riesca ad influenzare gli altri componenti del
collegio?
Il clima di
radicalismo nelle cautele anticorruzione sta creando una vera e propria “amministrazione
difensiva”, che scaturisce, però, non da comportamenti degli operatori, volti
ad utilizzare le norme come scudo dalle responsabilità, ma deriva direttamente
da norme ordinamentali prive di razionalità e comunque tali da produrre solo
contenzioso e problemi applicativi.
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