Il
tema del passaggio diretto dei dipendenti da un ente all’altro, regolato dall’articolo
30 del d.lgs 165/2001 continua a restare di difficile comprensione ed
attuazione per gli operatori.
La
causa di tutto ciò risiede nella giurisprudenza e dottrina che nel corso degli
anni si sono arroccate nell’interpretazione secondo la quale la mobilità è una
cessione di contratto. Per un certo lasso di tempo lo stesso testo dell’articolo
30 del d.lgs 165/2001 disponeva ciò espressamente. Previsione che è stata
cancellata (molto opportunamente) dall’articolo 4,comma 1, del d.l. 90/2014,
convertito in legge 114/2014.
Nemmeno
la constatazione che il legislatore ha eliminato il riferimento (inopportuno)
all’istituto della cessione del contratto è stato sufficiente a comprendere che
il passaggio diretto di personale o mobilità è un istituto del tutto peculiare
e particolare, che ha solo analogie con le norme del codice civile regolanti la
cessione del contratto, ma costituisce una fattispecie del tutto peculiare ed
autonoma.
Chi
insiste sulla qualificazione della mobilità come cessione del contratto nemmeno
considera le previsioni contenute nell’articolo 2, comma 2, del d.lgs 165/2001,
ai sensi del quale “I rapporti di lavoro
dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle
disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi
sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto,
che costituiscono disposizioni a carattere imperativo”. Con ogni evidenza,
la regolamentazione del passaggio diretto di dipendenti pubblici è senz’altro
una “diversa disposizione” da quelle che disciplinano il rapporto di lavoro
privato e, dunque, dal codice civile e dalle leggi dell’impresa, ed è contenuta
certamente nel d.lgs 165/2001.
Sulla
base della semplice interpretazione letterale dell’articolo 30, comma 1, e
della ancora più semplice fissazione delle fonti di regolazione del rapporto di
lavoro pubblico, non vi deve essere alcun dubbio sulla circostanza che il
passaggio diretto è un istituto di diritto pubblico speciale, avente solo
alcune analogie rispetto alla cessione del contratto, ma differenziandosi da
essa per molti aspetti.
Consideriamo
il testo dell’articolo 1406 del codice civile: “Ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti
derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono
state ancora eseguite, purché l'altra parte vi consenta”. Come si nota, la
possibilità di cedere il contratto, nell’impianto del codice civile, è rimessa
ad entrambe le parti.
Ma,
questo è vero nell’ambito del rapporto di lavoro? No. La dottrina e la
giurisprudenza consolidata relative al lavoro privato considerano del tutto
nulla la cessione del contratto di lavoro da parte del lavoratore subordinato,
che sostituisca a sé un altro lavoratore subordinato, secondo lo schema:
datore
di lavoro= ceduto
lavoratore
subordinato A= cedente
lavoratore
subordinato B= cessionario.
La
nullità di tale tipologia di cessione del contratto discende dalla natura
personale della prestazione del lavoratore.
Pertanto,
scopriamo che il diritto del lavoro di per sé già si presenta come speciale
rispetto allo schema generale della cessione del contratto, potendo ammettere
solo la cessione del contratto ad iniziativa del lavoratore verso solo un altro
datore, oppure la cessione ad iniziativa di un datore verso un altro datore
(purchè vi sia, ovviamente, il consenso nel primo caso del datore di
provenienza e nel secondo caso del lavoratore).
Leggiamo,
adesso, l’articolo 30, comma 1, del d.gls 165/2001, per metterlo in rapporto
con lo schema dell’articolo 1406 del codice civile: “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante
passaggio diretto di dipendenti di
cui all'articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in
servizio presso altre amministrazioni, che
facciano domanda di trasferimento, previo
assenso dell'amministrazione di appartenenza. Le amministrazioni,
fissando preventivamente i requisiti e le competenze professionali richieste,
pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari almeno a trenta
giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire
attraverso passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con
indicazione dei requisiti da possedere. […]”.
Si
notano differenze abissali tra le due discipline:
Articolo 1406 c.c.
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Articolo 30, comma 1, d.lgs 165/2001
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Entrambe
le parti possono svolgere sia il ruolo di cessionario, sia il ruolo di
ceduto, a seconda di chi assuma l’iniziativa e di chi resti passivo
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L’iniziativa
può essere assunta solo dall’amministrazione di destinazione (cessionario, in
analogia al codice civile) e dal lavoratore (cedente). L’amministrazione di
provenienza può solo svolgere una funzione passiva, qualificandosi come
ceduto.
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Poiché entrambe
le parti possono essere o cessionario o ceduto, entrambe le parti possono
essere chiamate a prestare il consenso alla cessione del contratto.
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Nel caso
dell’istituto del passaggio diretto, l’assenso è prestato esclusivamente dall’amministrazione
di appartenenza del lavoratore che partecipi alla procedura.
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L’accordo
di ognuna delle due parti di un contratto cedibile viene raggiunto senza
alcuna procedura obbligatoria particolare.
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L’amministrazione
di destinazione è obbligata a pubblicare un avviso pubblico, col quale
promuovere la presentazione di una specifica domanda da parte di qualsiasi
lavoratore interessato, cui far seguire un sistema di valutazione a cui,
ulteriormente consegue la scelta ai fini della prestazione del consenso tra
cessionario e cedente.
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Nello
schema civilistico, l’incontro di volontà tra cedente e cessionario è
immediato.
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Nello
schema del passaggio diretto, il consenso si forma solo a conclusione della
selezione delle varie domande presentate dagli interessati a seguito dell’avviso
pubblico.
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Alla
luce di quanto sopra, è ovvio che non può essere nemmeno considerato, ai fini
della mobilità, un accordo tra l’ente di destinazione e quello di provenienza
tale da qualificare i due enti come cedente e cessionario, mentre ceduto è il
dipendente. Ciò è radicalmente impedito dalla disposizione normativa che impone
all’ente di provenienza di prestare l’assenso al passaggio diretto. Nello
schema della cessione del contratto chi presta l’assenso all’accordo di
cessione del contratto già raggiunto dalle altre due parti del negozio (che è
trilaterale) è sempre, soltanto e solo il ceduto.
Dovrebbe
essere più che sufficiente fermarsi solo a queste poche differenze per
rassegnarsi definitivamente sulla natura speciale della mobilità pubblica.
Ma
vi sono ulteriori fondamentali particolarità. Per esempio, la forma del
consenso tra le parti. Poiché si tratta di contratto di lavoro, nel rapporto
tra privati è necessaria certamente la forma scritta, in particolare per il consenso
del lavoratore ceduto.
Nella
pubblica amministrazione, come si è visto sopra, il passaggio diretto ha per
parte ceduta solo l’amministrazione di provenienza. Il consenso del ceduto
anche in questo caso ed a maggior ragione deve essere prestato per iscritto, poiché
tutti gli atti della PA, a pena di nullità, debbono avere la forma scritta.
Ma,
questo influisce su un altro tema fondamentale: la revocabilità del consenso
prestato.
Con
una sentenza relativa alla materia urbanistica, la Corte di cassazione civile,
Sezione III, con la sentenza 23 febbraio 2004, n. 3547, ha stabilito che poiché
la cessione del contratto è un atto trilatero richiedente il consenso di tutte
le parti, e quindi anche del contraente ceduto per il quale è essenziale
conoscere il momento dell’efficacia della sostituzione ai fini della
liberazione del cedente, qualora il contratto trasferito sia un contratto con
la PA, la cessione anche quando sia
stata preventivamente autorizzata dal soggetto pubblico non si perfeziona nei
suoi confronti fino a quando non le sia stata notificata oppure essa non l’abbia
accettata in forma scritta. Infatti, si deve escludere, per i principi che
regolano la forma dei contratti in cui interviene la PA, ogni spazio per
eventuali comportamenti taciti concludenti.
Quanto
stabilito dalla Cassazione vale senz’altro anche per il contratto di lavoro
pubblico ed è utilissimo per risolvere un equivoco nel quale molti operatori
incappano quando, leggendo l’articolo 30, comma 1, del d.lgs 165/2001,
reperiscono l’espressione “previo assenso”. Secondo questa chiave di lettura
erronea, le amministrazioni sarebbero tenute a rilasciare un assenso preventivo
alla formazione del consenso tra dipendente che presenta domanda e
amministrazione che pubblica l’avviso. Molto diffusa è la prassi – del tutto
erronea ed illegittima – delle amministrazioni che pubblicano avvisi per
attivare la mobilità i quali pretendono che la domanda dei lavoratori sia
corredata appunto del “previo assenso” dell’amministrazione di appartenenza.
Niente
di più contrario allo schema previsto dalla norma. L’assenso dell’amministrazione
di provenienza non è “previo” all’attivazione della procedura, ma è
necessariamente “previo” all’effetto sostitutivo del passaggio diretto.
Insomma, il dipendente che abbia presentato domanda non può passare alle
dipendenze dell’ente che lo abbia scelto a seguito della procedura, se prima
non abbia ottenuto il consenso o “nulla osta”. Ma, perché questo consenso sia
validamente espresso così da dare efficacia all’istituto, occorre che l’ente di
provenienza sia messo al corrente dell’avvenuto accordo tra dipendente ed amministrazione
di destinazione. Quindi, è necessario che l’ente di destinazione o il
dipendente stesso notifichino all’amministrazione l’intervenuto accordo, così
che sia espresso in forma scritto l’assenso al trasferimento.
Secondo
le indicazioni della Cassazione, non è sufficiente un assenso preventivo alla
formazione del consenso tra dipendente ed ente di set inazione, seguito dal
fatto concludente della presa di servizio presso il nuovo ente.
Ciò
chiarisce che l’assenso previo rispetto alla conclusione della procedura “selettiva”
in cui consiste la mobilità richiesto dalle amministrazioni procedenti alle
amministrazioni di provenienza dei dipendenti è totalmente illegittimo e contrario
alle regole di buon andamento e anche di buona fede.
Potrebbe,
infatti, accadere che un’amministrazione presti l’assenso “previo” al
lavoratore, nel momento in cui questo glielo chieda ai fini della presentazione
della domanda. Tale nulla osta potrebbe, in ipotesi, essere rilasciato dal
dirigente o responsabile di servizio A (è radicalmente da escludere che il
nulla osta sia rilasciato o anche in ogni misura condizionato dagli organi di
governo, poiché è un atto di gestione del rapporto di lavoro, rimesso alla
competenza esclusiva dei dirigenti, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del
d.lgs 165/2001). Ma, potrebbe anche darsi il caso che nelle more dello
svolgimento della procedura “selettiva” da parte dell’amministrazione di
destinazione, il dipendente sia interessato da una mobilità interna nel proprio
ente e, quindi, giunga sotto la direzione del dirigente B, che non ha alcun
modo per giustificare la privazione di un dipendente. L’assenso preventivo, dunque,
sarebbe privo di qualsiasi vincolo per l’ente di provenienza, che, rivalutata
la situazione alla luce delle intervenute modifiche organizzative interne (si
potrebbero fare molti altri esempi) può ben rivedere la propria posizione, finchè
non gli pervenga la notifica della conclusione della procedura (è solo con l’intervenuto
consenso tra lavoratore ed amministrazione di provenienza che la posizione
giuridica del lavoratore da mera aspettativa legittima si qualifichi ad
interesse), cui deve necessariamente conseguire un consenso scritto che sia
successivo alla formazione del consenso tra lavoratore ed amministrazione di
destinazione, ma preventivo alla presa di servizio, con la quale si perfeziona
la fattispecie, grazie all’efficacia conseguita dal negozio derivante proprio
dalla prestazione del consenso dell’amministrazione ceduta.
Certo,
le amministrazioni procedenti sono esposte all’alea dell’inutilità della procedura
di mobilità attivata se nessuno dei dipendenti che presentino domanda ottengano
il consenso dell’amministrazione di provenienza. Ma, le amministrazioni non
possono dirsi certo obbligate a lasciar andar via i propri dipendenti, né questi
dispongono di un diritto soggettivo al trasferimento. Al contrario, esiste un
obbligo giuridico di esperire un fattivo tentativo di coprire i propri
fabbisogni di personale mediante mobilità prima di procedere ad immettere nuovo
personale ed aumentare la spesa pubblica. L’onere procedurale è finalizzato al
rispetto del principio di legalità e di buon andamento, inteso, in questo caso,
come necessario tentativo di esperire la mobilità, tentativo che, però, senza
il consenso dell’amministrazione ceduta può andare a vuoto.
Semmai
è il legislatore ad aver ecceduto nel pretendere la proceduralizzazione imposta
con l’articolo 30, comma 1. Se, come prima dell’introduzione dell’obbligo dell’avviso
pubblico – da considerare eccessiva e poco utile perché si tratta solo di
mutare le condizioni lavorative di chi già lavora nella PA e non di assumere
nuovi dipendenti – si procedesse in modo più diretto ed informale, le
probabilità che contatti diretti tra amministrazioni e lavoratori ottengano il
consenso dell’amministrazione cedente sarebbero maggiori e, comunque, gli oneri
procedurali immensamente inferiori.
Quanto
fin qui visto, porta necessariamente a concludere che all’istituto speciale del
passaggio diretto o mobilità non si applichi l’articolo 1407 del codice civile,
in tema di rilascio preventivo di assenso ai fini della cessione del contratto.
E’,
infine, opportuno chiarire che la mobilità volontaria tra dipendenti delle
amministrazioni pubbliche deve essere necesariamente preceduta dalla verifica
di dipendenti inseriti nelle liste di disponibilità, prevista dall’articolo
34-bis del d.lgs 165/2001.
La
disciplina sugli esuberi del personale pubblico, introdotta dalla “spending
review”, il d.l. 95/2012, convertito in legge 135/2012, non lascia dubbi sulla
necessità di superare il diverso avviso espresso dalla Funzione Pubblica col
parere 198/2005 e ritenere obbligatorio per le amministrazioni di verificare se
nelle liste di disponibilità siano presenti lavoratori in esubero, prima di
effettuare qualsiasi assunzione a qualsiasi titolo, compresa la mobilità.
A
suo tempo, Palazzo Vidoni in merito ai rapporti tra articoli 30 (sulla mobilità
volontaria) e 34-bis (sulle misure di tutela nel mercato del lavoro per i
dipendenti in disponibilità) aveva sostenuto che l'interpretazione più corretta
fosse di “escludere l'obbligo di
comunicazione preventiva rispetto l'acquisizione di personale in mobilità”.
Secondo il parere della Funzione Pubblica, ormai molto risalente nel tempo, poiché
la mobilità non comporta l'ingresso di nuove unità nella pubblica
amministrazione, bensì uno spostamento tra enti di personale già dipendente,
ciò non crea “pregiudizio per i
dipendenti in situazione di disponibilità”, dal momento che si copre un posto
vacante presso un ente, ma se ne libera simmetricamente un altro, presso un
diverso ente.
La
motivazione non appariva persuasiva nemmeno all’epoca dell’emanazione del
parere, perché influenzata esclusivamente da logiche finanziarie. E’ evidente
che per il lavoratore pubblico in disponibilità e, dunque, alle soglie del
licenziamento, è fondamentale poter contare sulla possibilità di ricollocarsi
in un ente ove sia evidenziata la carenza di organico, piuttosto che in un
altro. Condizioni come la distanza dalla residenza, le modalità lavorative,
l’organizzazione sono, ovviamente, fondamentali per un incontro domanda
offerta.
Altrettanto
fondamentale, per un lavoratore alle soglie del licenziamento, è conoscere in
anticipo se un ente abbia possibilità ed intenzione di assumere qualcuno, per
categoria, profilo e mansione corrispondenti, in modo da potersi proporre per
ottenere l’assunzione.
Lo
scopo precipuo dell’articolo 34-bis del d.lgs 165/2001 è consentire ai
dipendenti in disponibilità di ottenere una proposta di assunzione mediante
mobilità obbligatoria, da parte di un’amministrazione che intenda bandire un
concorso, così da tirare fuori il dipendente in esubero dal rischio del
licenziamento. E’ evidente che se l’articolo 34-bis si esclude dal campo di applicazione
delle procedure di mobilità volontaria di cui all’articolo 30 del d.lgs
165/2001, le tutele e le opportunità per il lavoratore in disponibilità si
riducono drasticamente. Il che risulta contrastare con un nuovo assetto
normativo, introdotto nel 2009, che rende le procedure per mobilità
sostanzialmente identiche a quelle dei concorsi, essendo necessario un avviso
pubblico. Non pare abbia coerenza ridurre le tutele ai lavoratori in
disponibilità ai meri adempimenti obbligatori connessi ad assunzioni per
concorsi (sempre più rare), senza coinvolgerli in procedure per trasferimenti,
ormai per altro pubbliche.
Il
tutto, comunque, non regge più alla luce dell’articolo 2, comma 13, della legge
135/2012. Tale disposizione impone al Dipartimento della Funzione Pubblica di
censire e redigere un elenco dei posti vacanti nelle pubbliche amministrazioni,
da pubblicare sul relativo sito web. I dipendenti in disponibilità avranno il
diritto di presentare domanda di ricollocazione in quei posti vacanti, con simmetrico
obbligo di accoglimento, da parte delle amministrazioni, che, in caso contrario
“non possono procedere ad assunzioni di
personale”.
Non
pare più possibile, allora, che un’amministrazione assuma mediante mobilità
volontaria, senza curarsi di attuare le previsioni dell’articolo 34-bis.
Infatti, visto il diritto soggettivo riconosciuto ad un dipendente in
disponibilità di presentare domanda su un posto vacante, se si consentisse
all’amministrazione di rendere indisponibile il posto si vulnererebbe il diritto
del lavoratore di attivarsi autonomamente, per ricollocarsi.
In
ogni caso, ai sensi dell’articolo 4, comma 1 della Costituzione si stabilisce
che “La Repubblica riconosce a tutti i
cittadini il diritto al lavoro e promuove
le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. L’articolo 34-bis
è evidentemente attuativo della norma programmatica che impegna la Repubblica a
promuovere le condizioni per rendere effettivo il diritto al lavoro,
attraverso, nel caso di specie, una cautela volta a mettere in condizioni chi
si trovi alle soglie del licenziamento di avere privilegio rispetto a chi già
lavora nella ricollocazione presso altre PA che denuncino vuoti di organico.
Trovo le considerazioni molto pertinenti, anche se da molto enti le procedure di mobilità vengono viste come un obbligo al quale assolvere prima di avviare il concorso, quindi non come una opportunità. In tal caso ben venga l'assenso preventivo che consente di mandare deserta la procedura. In tema di dirigenti resta da chiarire chi debba esprimere l'assenso dell'ente in partenza, visto che ancora esiste l'articolo 16 del contratto 1999 per gli enti locali
RispondiEliminaIn merito all'applicabilità dell'articolo 16 del CCNL dei Dirigenti mi piacerebbe conoscere il Suo parere.
RispondiEliminaCiò alla luce del commento sulla raccolta delle norme contrattuali predisposta dall'ARAN, in cui si afferma che tale articolo, dopo la riforma dell'articolo 30 del d.lgs. 165/2001 non sarebbe più applicabile.
Peccato che la L. 135/2012, nel passaggio richiamato, non è di fatto applicabile dato che la funzione pubblica non ha mai attivato l'elenco dei posti vacanti; e tenuto conto cmq dei non semplici problemi di coordinamento, sul piano operativo, rispetto alla disciplina del 34 bis (cfr. delibera Corte dei conti Reg.Veneto, n. 162/2013/PAR.)
RispondiEliminaSembra del tutto evidente che non possa darsi alcun peso ad interpretazioni che vorrebbero considerare non prevalente il 34-bis, alla luce di un'inadempienza della Funzione Pubblica ad una disposizione di legge che pone un chiaro principio. Per altro, come descritto, risalente all'articolo 4 della Costituzione, checchè ne dica la Corte dei conti, nella per altro confusionaria deliberazione citata.
EliminaSebbene condivida gran parte delle considerazioni effettuate nell'articolo, ho qualche perplessità sul carattere propedeutico della procedura ex art. 34 bis rispetto all'avvio di una procedura di mobilità ex art. 30. Ed infatti se si legge il primo comma dell'art. 34 bis, il legislatore espressamente prevede che prima di effettuare un'assunzione la P.A. deve accertarsi che non vi sia personale in esubero. Tuttavia ciò presuppone, a mio avviso, che l'Ente che deve effettuare l'assumere disponga di sufficiente capacità assunzionale (calcolata come percentuale sulle cessazione dell'anno precedente) da poter "spendere" per l'ingresso di nuovo personale (anche se dovesse trattarsi di personale in esubero). Lo stesso discorso mi sembra che non valga per le mobilità ex art. 30 che si configura come passaggio ( e non assunzione) di un dipendente da un 'amministrazione all'altra (purché le stesse siano soggette a regole di contenimento della spesa di personale), tanto è vero che consolidata giurisprudenza contabile la considera neutra ai fini del turn over. Saluti
RispondiEliminaE' neutra anche la mobilità ai sensi dell'articolo 34-bis (che è, appunto, sempre mobilità). I dipendenti in disponibilità vengono pur sempre pagati e, anzi, si pone rimedio all'irrazionale pagamento del 70% del trattamento economico a persone che in realtà non lavorano.
EliminaLa ringrazio per la risposta. Tuttavia avevo inteso che le immissioni in ruolo del personale in esubero si sarebbe dovuto finanziare con le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato (come nel caso delle assunzioni ex art. 1 co 424 della legge n.190/2014).
RispondiEliminaArticolo molto esaustivo e molto ben scritto. Peccato che per quanto concerne la mobilità di cui all'art. 30 della 165/01, essendo di fatto il bando di concorso "lex specialis", può essere previsto dall'amministrazione che indice il procedimento come requisito imprescindibile, pena l'esclusione, il nulla osta incondizionato al trasferimento in sede di presentazione di domanda. Capirete già da voi che ottenere un nulla osta incondizonato ( mi si trovi poi in legge questo termine ) con 5/8 mesi di anticipo ( calcolando tempi di domanda, risposta, selezione, disponibilità, ferie da smaltire etc.. ) è di fatto impossibile a meno che tu non sia una disgraziato e la tua amministrazione non voglia liberarsi di te. Se si calcola poi che alcune amministrazioni( come quelle sanitarie in regione Veneto ), rilasciano il nulla osta solo nel caso di vincita effettiva della mobilità e solo dopo autorizzazione regionale alla sostituzione della pesona in partenza ( autorizzazione che può essere rilasciata solo 4 volte all'anno in un termine ben preciso )..beh..fatevi due conti voi e ditemi come una persona possa solo sperare di poter tornare a casa dalla propria famiglia.
RispondiEliminaLa mobilità non è un concorso, non c'è alcun bando e non può esservi alcuna lex specialis, la quale, in ogni caso, non può violare le norme.
RispondiEliminaSpett. Olivieri
Eliminachiedo scusa,mi sono espresso male...io parlo di un "bando di avviso per mobilità"..ovviamente art. 30 d.lgs 165/01..due enti mi hanno cassato la domanda e mi hanno pure risposto per PEC che "un bando di avviso costituisce legge specialis ragion per cui può prevedere specifici requisiti di accesso o partecipazione". se cos' non fosse chiedo un contatto suo per avere riferimenti in merito e presentare un ricorso poichè ho già comunicato agli enti che hanno una lettura un po' distorta del nulla osta al trasferimento ma mi hanno riso in faccia. Grazie mille
Buongiorno, avrei una domanda:
Eliminaper un bando di mobilita' esterna volontaria per livello "C" è legittimo chiedere ai candidati il possesso di uno specifico diploma, in questo caso di maturità?
Se io provengo da un altro comune, sono già di livello "C", cosa importa se ho il diploma di maturità o meno, come dire che fino ad ora ho operato in un ente come C5 con un attestato (3anni) (32 anni di anzianità), nell'altro comune non vado bene?
Spero di essermi spiegata. Grazie.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaSalve, pongo una domanda riguardo un concorso di mobilità vinto il quale ha comportato il passaggio da un Comune ad un altro. Il comune di provenienza, facendo seguito a richiesta, ha concesso il nulla osta. Il comune di destinazione ha approvato con determina dirigenziale la graduatoria a seguito della prova selettiva indicando la data della presa in servizio.
RispondiEliminaTale determina e i verbali della selezione sono stati trasmessi al comune di provenienza il quale ha fatto un'ulteriore determina di presa atto della cessione di contratto e del trasferimento.
Dal momento dell'inizio del servizio presso il nuovo comune, è stato chiesto di firmare un contratto ma ciò è stato negato in quanto ritengono che lo status di pubblico dipendente sia stato assunto all'epoca di ingresso presso il comune di provenienza e che ora non vada fatto nulla trattandosi di mera cessione di contratto (portando dietro anche le ferie).
Domande:
1- Cosa si può fare?
2- In ogni caso, il posto di lavoro presso la nuova amministrazione è al sicuro?
3- Quali responsabilità ci sono per il lavoratore se non vogliono fare un contratto?