Grazie all’operato
dell’Osservatorio sui Conti Pubblici dell’Università Cattolica, ritorna in
posta il mitico ex commissario della spending review Carlo Cottarelli, acuto
watchdog dei conti e suggeritore di misure di taglio sicuramente utili ed
efficaci.
Come sappiamo, il Cottarelli,
molto mediaticamente ascoltato, lo fu drasticamente meno sul piano tecnico: i
governi non gli resero certo la vita facile e alla fine fu indotto ad
immettersi verso la porta d’uscita.
I risultati dell’attività di
ricerca sulla spesa “da aggredire” da parte dell’ex commissario, come è noto
non sono stati particolarmente brillanti. La spesa pubblica ha continuato, al
contrario, ad aumentare, anche perché i suggerimenti del Cottarelli non sono
stati troppo presi in considerazione.
Tranne due, che hanno molto
affascinato e continuano ad affascinare: la riduzione delle società partecipate
da 8000 a 1000 e la riduzione delle stazioni appaltanti da 35000 a 35.
Delle molteplici idee per
rivedere la spesa pubblica, sfortuna ha voluto che proprio le due menzionate
prima, proprio quelle irrealizzabili e di utilità molto inferiore rispetto ai
problemi operativi che comportano, siano state quelle scelte.
Nel tentativo di riconquistare il
centro dell’agone mediatico sulle idee per la spesa, il Cottarelli col nuovo
osservatorio si è subito lanciato in una formidabile scoperta: in Italia vi
sono dei dipendenti pubblici, che vengono perfino pagati.
La clamorosa epifania è contenuta
nello scoop su La Repubblica del 17 dicembre 2017, rivelato attraverso
l’articolo dall’originalissimo titolo “Il peso degli statali sui conti
pubblici guadagnano il 18% più che nel privato”.
La notizia svelata ha del
sensazionale. Pensiamo un po’: il think tank ha fatto una clamorosa
scoperta: “gli stipendi rappresentano una delle maggiori voci di spesa nel
bilancio della pubblica amministrazione, con quasi 3,4 milioni di lavoratori
interessati, il 15% del totale degli occupati (ai quali vanno aggiunti i
dipendenti delle società partecipa te dagli enti locali) e un monte salari di
160 miliardi di euro, un quinto della spesa pubblica al netto degli interessi
(760 miliardi)”.
Nessuno, fin, qui, si era mai
accorto che il costo del lavoro pubblico corrispondesse a circa il 20% del
totale della spesa pubblica. Per esempio, nella nota di aggiornamento al Def
2017 la cosa era passata del tutto inosservata.
Ma, deve essere sfuggita
sicuramente ai governi degli ultimi 8 anni. Sicuramente, infatti, questi hanno
in vario modo imposto e regolato i blocchi della contrattazione e delle
assunzioni non perché si ritenesse che la spesa per il personale dovesse essere
posta sotto rigoroso controllo, ma, così, un po’ per celia, un po’ per non
morire.
Al di là, comunque, delle
clamorose rivelazioni del think tank, il Cottarelli non manca mai di
provocare choc con le approfondite analisi sul costo del lavoro. E ci informa,
ovviamente senza alcun intento o accento populista, che i dipendenti pubblici
(sottinteso, fannulloni) guadagnano, pare di capire, il 18% in più dei dipendenti
privati.
Quale sia l’algoritmo di calcolo
utilizzato non è dato saperlo, anche perché La Repubblica ha riportato solo
anticipazioni delle rivelazioni dell’osservatorio.
Sta di fatto, che di osservatori
sul tema ve ne sono parecchi altri. Ad esempio, l’osservatorio JobPricing ha pubblicato
una sintesi delle sue rilevazioni secondo la quale nel privato i dirigenti
hanno una retribuzione media globale annua lorda (nel 2015) di 116.048 euro, i
Quadri di 56.128 euro, gli Impiegati di 31.443 euro, gli Operai di 24.525 euro.
Soffermiamoci sugli Impiegati.
Incrementando la media registrata dall’Osservatorio JoBPricing del 18%, ci si
deve aspettare che nel lavoro pubblico questa categoria guadagni in media
37.103 euro l’anno.
Poi, qualcuno va a leggere
l’ultimo rapporto
Aran sulle dinamiche retributive e si rende conto che le cose non sono
affatto rilevate come suggerito dal think tank di Cottarelli.
Riportiamo, tra le molte evidenze del rapporto, la seguente tabella, molto
chiara:
Insomma, quel 18% di maggior
costo di cui parla il think tank, l’Aran non è stata in grado di
rilevarlo.
Fortunatamente, ci pensa l’Osservatorio
CPI dell’Università Cattolica a riferire e svelare realtà ai più ignote.
Cottarelli è un altro tra gli ormai noti scienziati in servizio permanente effettivo.
RispondiEliminaVa anche tenuto presente che ci sono altre notevoli differenze che peggiorano di fatto il trattamento economico dei dipendenti pubblici rispetto ai dipendenti privati, e di cui pochi tengono conto nel confronto. I privati possono avere in busta il pagamento mensile dei ratei di TFR, i pubblici no. I privati possono avere l'anticipo sul TFR nei casi previsti dall'art. 2120 c.c., i pubblici no. Per i privati il TFR è interamente a carico del datore di lavoro, per i pubblici no, dato che questi ultimi devono in parte "pagarselo" di tasca propria con le trattenute INADEL. I privati hanno diritto al TFR dal giorno successivo alla cessazione del rapporto (in caso contrario maturano interessi e rivalutazione), i pubblici no: devono aspettare, nella generalità dei casi, 27 mesi, senza interessi. I privati godono della detassazione dei premi di produttività (e se ne avvalgono per abbattere il reddito anche per potere rientrare nella fascia che gode del bonus Renzi al quale altrimenti non avrebbero diritto), i pubblici no. Tutto questo alla faccia della tanto sbandierata contrattualizzazione del pubblico impiego, che il legislatore applica solo per gli aspetti che ritiene opportuni, e di cui si dimentica quando questo fa comodo alle finanze pubbliche (i contratti nazionali possono anche non essere rinnovati fino a quando è possibile e non si è di fronte a una sentenza che obbliga a farlo, l'indennità di vacanza può essere pagata per qualche anno, poi no...).
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