Il Sole 24 Ore del 19 dicembre
informa con chiarezza che nella pubblica amministrazione non si riesce a venire
fuori dalla coazione a ripetere gli schemi frusti e vetusti della presunzione
di fannulonismo e del gioco al piccolo manager aziendalista.
L’articolo a firma di Gianni
Trovati è già eloquente nel titolo: “Statali,
premi azzerati se l’ufficio promuove tutti”. Si sentono già le ovazioni dei
giornalisti “inchiestisti” che da sempre stigmatizzano la pessima abitudine
inveterata nella PA di attribuire a tutti valutazioni molto elevate. E le grida
indignate di chi è indotto dalle recenti indicazioni dell’osservatorio sulla
spesa pubblica dell’Università Sacro Cuore, diretto da Carlo Cottarelli, a
ritenere che i dipendenti pubblici guadagnino il 18% in più dei privati, anche
se le rilevazioni
ufficiali dell’Aran smentiscono puntualmente l’assunto.
Ma, torniamo al punto. L’articolo
del quotidiano di Confindustria ci informa che nella bozza di contratto
collettivo nazionale di lavoro per il comparto delle amministrazioni statali si
propone una clausola attuativa della previsione dell’articolo 19 del d.lgs
150/2009, come modificato dalla riforma Madia. Il nuovo testo dell’articolo 19,
che ha cancellato le “famigerate” fasce valutative di brunettiana memoria,
dispone: “Il contratto collettivo nazionale,
nell'ambito delle risorse destinate al trattamento economico accessorio
collegato alla performance ai sensi dell'articolo 40, comma 3-bis, del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165, stabilisce la quota delle risorse destinate a remunerare,
rispettivamente, la performance organizzativa e quella individuale e fissa criteri
idonei a garantire che alla significativa differenziazione dei giudizi di cui
all'articolo 9, comma 1, lettera d), corrisponda un'effettiva diversificazione dei
trattamenti economici correlati”.
Come si intuisce, l’intento è quello
appunto di eliminare le “fasce” e prevedere che la contrattazione dia
indicazioni, ovviamene flessibili, per differenziare valutazioni e,
soprattutto, conseguenze economiche delle valutazioni stesse.
Cosa prevede, allora, la bozza di
contratto? Leggiamo l’articolo di Trovati: “Il
bonus ai “migliori” dovrà essere superiore
di almeno il 30% rispetto alla media degli incentivi individuali, e questi “migliori” dovranno rappresentare al
massimo il 30% dei dipendenti. Qualche assestamento potrebbe arrivare a
consuntivo, quando si potrebbe verificare che i dipendenti collocati in prima
fascia, cioè accompagnati dai giudizi più rotondi, sono più numerosi. Fino al 40% nessun problema, nel senso
che i premi andrebbero riproporzionati in base ai nuovi destinatari senza
aumentarne il valore complessivo. Ma in caso di valutazioni troppo generose,
come accade nelle tante Pa in cui oggi sulla carta esiste la paradossale
“eccellenza generalizzata”, il
meccanismo si bloccherebbe, e tanta prodigalità dei giudizi finirebbe per
azzerare i premi. Sempre che il meccanismo superi la trattativa”.
Ecco la coazione a ripetere. La
riforma Madia elimina le fasce, ma la bozza di contratto collettivo attuativo
della riforma Madia stessa cosa fa? Le ripropone, simili in gran parte a quelle
previste dalla tanto discussa riforma Brunetta.
La ricordate: prevedeva il
seguente schema:
50% delle risorse al 25% dei
dipendenti meglio valutati;
50% delle risorse al 50% dei dipendenti
con valutazione intermedia;
0% al restante 25% dei dipendenti
con le valutazioni meno alte.
L’applicazione della proposta
dell’Aran risulta più articolata e complicata, perché occorre:
1) assegnare
le valutazioni;
2) tradurle
in incentivi economici, quindi quantificando il quantum spettante a ciascuno;
3) effettuare
la media complessiva (su tutti i dipendenti o per categorie professionali? Vai
a capire);
4) assicurarsi
che il 30% dei dipendenti ottenga, però, una valutazione almeno il 30%
superiore alla media rilevata;
5) verificare
che, comunque, i dipendenti “più fighi” non vadano oltre il 40%;
6) assegnare
ai rimanenti dipendenti il restante del salario accessorio.
Un processo alquanto bizantino,
che riduce le “fasce” da tre a due ed esclude l’obbligo della fascia ad
incentivo “zero”. Ma pur sempre di fasce si sta parlando e, per altro, con un
procedimento attuativo complicatissimo. Che, comunque, (come sarebbe avvenuto
anche nel caso dell’applicazione della riforma Brunetta) scatenerà le richieste
sindacali di una “turnazione” dei dipendenti nel 30%/40% di quelli di prima
fascia.
Dunque, sono passati esattamente
9 anni dall’entrata in vigore del d.lgs 150/2009, quasi 10 anni di congelamento
contrattuale e ancora si ragiona di produttività in termini di “fasce”,
trascurando completamente il problema dell’efficienza dei sistemi di
valutazione, della determinazione degli indicatori, della utile definizione di
obiettivi rilevanti per la collettività, degli strumenti di rilevazione.
La riforma Brunetta aveva
inventato la Civit
per risolvere quei problemi; ma la
Civit si è dissolta prima che la questione fosse risolta.
Mentre manca completamente qualsiasi
serio riferimento a come individuare pochi ma efficaci indicatori di
produttività, restano in piedi gli Organismi indipendenti di valutazione,
pletorici e costosi, nonché tutto il complicato sistema del “ciclo della
performance”. Un apparato macchinoso e contorto, per erogare, nel caso del
comparto degli enti locali, una media di 800 euro lordi l’anno di “premi”.
Sono passati dieci anni, e
ancora, dunque, si gioca con le “fasce” e al “piccolo manager”, che si inventa,
sotto la spinta di una stampa generalista del tutto ignara di come funzioni
davvero un’organizzazione, sistemi di valutazione “come fa il privato”. Quando,
invece, il privato agisce in modo
completamente diverso, con strumenti semplicissimi, pochissimi indicatori e
rilievo prevalente alla presenza
in servizio quale strumento di diversificazione di premi predeterminati.
La coazione a ripetere conduce sempre
agli stessi slogan e, di conseguenza, sempre agli stessi errori, che portano
all’iperburocrazia, all’inefficacia totale ed allo stallo, non si riesce a
vincere. Nessuna idea originale, nessun colpo d’ala per semplificare una
gestione parossistica, che nessuna azienda metterebbe mai in piedi per valutare
i propri dipendenti.
Così, accanto a sistemi
ipertrofici e paradossali per distribuire poche centinaia di euro lordi, si
accompagnano, per contro, modalità letteralmente “da caserma”, prive di ogni
senso organizzativo e gestionale, per colpire le assenze strategiche, sempre
nell’intento di dare soddisfazione alle tricoteuse
del giornalismi di “inchiesta sulla pa”, che urla sempre ai fannulloni.
Si tratta dell’altra previsione
contenuta nelle bozze di contratto, finalizzata ad attuare la previsione
contenuta sempre nella riforma Madia volta a colpire i dipendenti autori di “assenze
strategiche”, come il famosissimo caso dei vigili di Roma per il San Silvestro
2014.
Come non appoggiare ed approvare
iniziative tese a punire chi elabora appunto strategie di assenza dal servizio che
incidono negativamente sui cittadini?
Peccato, però, che la sanzione
disciplinare introdotta dalla riforma Madia per il caso di specie sia del tutto
inefficace,
perché la sanzione può essere irrogata solo nel caso di assenze “ingiustificate”;
ma, se, come nel caso di Roma, le assenze “strategiche” sono sorrette da
certificati medici, qualora non si dimostri il falso commesso dal medico,
quelle assenze saranno sempre giustificate e, quindi, la sanzione non potrà mai
essere applicata.
Ma, accanto a questa sanzione, la
riforma Madia ne prevede un’altra, contenuta nell’articolo 40, comma 4-bis, del
d.lgs 165/2001, ai sensi del quale i Ccnl devono prevedere il divieto di “incrementi della consistenza complessiva
delle risorse destinate ai trattamenti economici accessori, nei casi in cui i
dati sulle assenze, a livello di amministrazione o di sede di contrattazione
integrativa, rilevati a consuntivo, evidenzino, anche con riferimento alla
concentrazione in determinati periodi in cui è necessario assicurare continuità
nell'erogazione dei servizi all'utenza o, comunque, in continuità con le
giornate festive e di riposo settimanale, significativi scostamenti rispetto a
dati medi annuali nazionali o di settore”.
I giornali del 19 dicembre ci
danno la prova che i sindacati si sono, finalmente, accorti dell’impostazione
inaccettabile della norma: colpirne uno per educarne cento. Su La Stampa si legge nell’articolo
dall’eloquente titolo “Impiegato pubblico assenteista? Col nuovo contratto
"paga" tutto l`ufficio” che, appunto, in presenza di assenze
strategiche, mentre i singoli autori non potranno essere colpiti dalle sanzioni
disciplinari per quanto dimostrato sopra, pagheranno con loro tutti gli altri
dipendenti, compresi quelli che non abbiano dato corso a nessuna assenza
strategica. Leggiamo dall’articolo “i
danni prodotti dagli assenteisti verranno
pagati anche dai colleghi di ufficio. Per «disincentivare elevati tassi di
assenza del personale» il nuovo contratto dovrebbe prevedere «correttivi» e «significative riduzioni delle risorse» a
titolo di premio non solo per il singolo ma a tutto l'ufficio a cui il singolo
dipendente appartiene. Sarà un organismo ad hoc, formato sia da
rappresentanti dell'amministrazione che del sindacato, a proporre le
contromosse caso «siano rilevate assenze medie» sopra i tassi di riferimento, o
«siano osservate concentrazioni» in date particolari”.
La cosa ancora più paradossale è
che pagherebbero i colleghi, ben presenti in ufficio, per assenze “strategiche”
ma giustificate: i più attenti, infatti, avranno notato che nell’articolo 40,
comma 4-bis, del d.lgs 165/2001 la norma da caserma riferisce la sanzione
pecuniaria non ad assenze ingiustificate, ma alle assenze in quanto tali:
quindi, ferie legittimamente programmate ed acconsentite, permessi personali
legittimi, applicazione della legge 104, donazioni di sangue e malattie vere e
corrette concorrerebbero comunque a sanzionare tutti stile “ndo cojo cojo”.
Dal massimo, quindi, della
confusione applicativa derivante dallo scimmiottamento in malo modo dell’aziendalismo,
al minimo delle sanzioni assegnate un po’ a casaccio, per fare contenti gli
inchiestisti nostrani.
La domanda che si pone è
ovviamente retorica e concerne l’analisi della possibilità che legiferando e stipulando
contratti in questo modo ci si possa aspettare davvero cambiamenti utili e
maggiore efficienza dal lavoro pubblico.
Analisi drammaticamente perfetta di una situazione giunta ormai al limite del ridicolo. Questo articolo é scritto, con tutta evidenza, da qualcuno che conosce bene la vita vera della p.a. e lo stato disastroso in cui versa l'organizzazione del lavoro negli uffici pubblici. Le norme sulla produttività sono scritte - con altrettanta evidenza - da chi vive in ben altri e più ovattati universi professionali e poco o nulla conosce dei problemi reali del lavoro pubblico. Ringrazio l'autore per l'attenta disamina e anche per aver fornito ai lettori interessati qualche utile aggiornamento sul contenuto degli accordi in corso di definizione, altrimenti coperti da un incomprensibile embargo.
RispondiEliminaMeglio non si poteva dire.
RispondiEliminaSolo chi è in mala fede o non conosce lo stato della Pubblica Amministrazione attuale continua a non rendersene conto.
i danni prodotti dagli assenteisti verranno pagati anche dai colleghi di ufficio. Per «disincentivare elevati tassi di assenza del personale»
RispondiEliminaPECCATO che ci sia della gente che pare lavori solo perché sta inchiodato alla sedia dell'ufficio a fare i fatti proprio 6 ore su sette. ma quanto sono PRODUTTIVI questi soggetti. siete solo capaci di partorire specchietti per le allodole favorendo conflitti IMPRODUTTIVI
e continueranno a essere premiati sempre i soliti "simpatici" e questo non vuol dire difendere gli assenteisti, ma chiarire altro.
RispondiEliminaSolo dei cretini, o forse sarebbe il caso di dire dei politici trooooppppo furbi, potevano scrivere una bozza di contratto simile (sul caos spesso i politici ci campano 3 o 4 elezioni). Il problema è che manca un giornalismo indipendente e alcuni "esperti" si limitano a fare i prezzolati portavoce del governo.
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