La sentenza della Prima Sezione
Centrale d’Appello 20 novembre 2017, n. 490, è emblematica del danno grave che
producono i funambolismi giuridici e dell’inesistenza della presunta “copertura
politica” alla quale ancora troppe volte si appellano i tecnici, nel dare corso
a decisioni amministrative illegittime.
La Sezione condanna sindaco,
giunta, direttore generale, segretario comunale, responsabile del personale e
del settore finanziario per l’assunzione di una serie dei dipendenti
utilizzando in maniera distorta l’articolo 90 del d.lgs 267/2000 allo scopo di
ampliare le dotazioni degli uffici amministrativi, confermando che l’utilizzo
improprio di strumenti di per sé astrattamente legittimi produce danni e
disfunzioni.
Funambolismi. E’ molto in
auge l’idea che l’apparato amministrativo deve svolgere la funzione di gestione
con “capacità di innovare” per “trovare soluzioni” anche nuove a necessità
operative, desunte dall’indirizzo politico.
Che la dirigenza debba attuare le
indicazioni degli organi di governo, rispetto ai quali è in posizione servente,
non c’è il minimo dubbio.
Simmetricamente, non dovrebbe
sussistere alcuna incertezza sulla circostanza che le capacità di dare
soluzioni innovative, nella pubblica amministrazione, debba necessariamente
confrontarsi col principio di legalità, posto dagli articoli 97 e 98 della
Costituzione, e dunque inderogabile e misura della stessa efficacia delle
decisioni. Infatti, una scelta amministrativa, per quanto innovativa e in linea
teorica in grado di attuare un indirizzo politico, se illegittima determina il
rischio di far crollare un intero palco, sì da portare alla sua totale
inefficacia e anche ad ipotesi di danno erariale.
Sarebbe bene anche ricordare che
il danno erariale non è un danno per gli amministratori ed i dirigenti colpiti,
ma per la collettività. E’ questa costretta a verificare la cattiva spesa delle
risorse versate con le tasse. Amministratori e funzionari pagano solo in via di
rivalsa e, spesso, senza coprire integralmente il danno prodotto, che comunque
è innanzitutto di immagine, di fiducia, di efficienza, di “clima”.
Nel caso di specie, la Corte dei
conti sanziona a ragione un vero e proprio “funambolismo giuridico”: un comune,
cioè, che assume una serie di dipendenti simulando di inserirli nello staff
degli organi di governo, al duplice scopo evidente di coprire posti della
dotazione organica e di non effettuare concorsi, visto che le assunzioni sono
state effettuate per via fiduciaria.
La Sezione spiega: “non può
ritenersi che siano stati rispettati i presupposti normativi per l’applicazione
dell’articolo 90 del t.u.e.l” perché “l’amministrazione, volendo
ricorrere all’assunzione di personale esterno, ai sensi della citata norma,
avrebbe dovuto preliminarmente accertarsi non solo dell’esistenza del posto
nella dotazione organica dell’ente ma costituire, altresì, previamente,
appositi uffici di staff, attraverso motivate delibere giuntali in ordine alla
loro necessità ed al numero degli addetti. Tutto ciò non risulta sia stato
effettuato”.
In poche parole, la Sezione
spiega che prima di assumere dipendenti in staff, occorre costituire strutture
di staff. Sembra ovvio, ma evidentemente non tutti mettono in linea le azioni
da realizzare. Inoltre, i dipendenti assunti in staff – anche se pure questo
dovrebbe essere ovvio – possono solo interessarsi delle attività a servizio
dello staff, non di gestione. La riforma Madia del 2014 lo ha chiarito per legge,
limitandosi a tradurre in norma un indirizzo giurisprudenziale consolidato.
La sentenza prosegue: “Invero,
le delibere in esame avrebbero dovuto indicare la destinazione dei soggetti
assunti in uffici di staff già costituiti e non fare riferimento, com’è
avvenuto, a generiche attività di staff da svolgere nei vari settori
amministrativi da parte del personale assunto. Infatti, quest’ultimo avrebbe
dovuto svolgere esclusivamente funzioni di supporto all’attività di indirizzo e
controllo, alle dirette dipendenze degli organi politici, e non funzioni
gestionali ed istituzionali, com’è concretamente avvenuto nel caso di specie(
circostanza che risulta sia dal contenuto dei contratti
stipulati dai soggetti in questione che dalle dichiarazioni degli stessi effettuate
in seguito agli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza)”.
Come si nota, dunque, nell’ente
si è utilizzato lo strumento dell’assunzione in staff per aggirare le norme
sulle assunzioni per concorso pubblico e le regole organizzative.
E’ la più classica delle ipotesi
di illegittimità per vizio di eccesso di potere e per illiceità della spesa.
A nessun segretario comunale,
direttore generale, direttore del personale, direttore finanziario, sarebbe
dovuto sfuggire simile banale realtà. Invece, nulla di tutto ciò. Osserva la
Corte: “Di tale palese distorto uso dell’articolo 90 del t.u.e.l avrebbero
dovuto rendersi conto, vista la professionalità posseduta, anche il
responsabile del servizio personale, il direttore generale ed il responsabile
del servizio finanziario (che provvide anche a stipulare i contratti in
questione), invece hanno espresso, in modo assolutamente superficiale, il
proprio parere favorevole alle delibere in questione. Allo stesso modo, anche
il segretario comunale deve ritenersi responsabile in quanto, pur non avendo
espresso parere favorevole a queste ultime, era presente in sede di adozione
delle stesse da parte dell’organo politico ed avrebbe dovuto, conseguentemente,
in virtù del ruolo esercitato, evidenziare la palese illegittimità delle
stesse. Inoltre, trattandosi di attività che non rientrava nelle competenze
proprie ed esclusive degli uffici amministrativi, non sussistono i presupposti
per l’applicazione, nel caso di specie, della cosiddetta esimente politica di
cui all’articolo 1, comma 1-ter della legge numero 20/1994”.
Il funambolismo tecnico-giuridico
è stato evidentemente accettato, non è possibile dire se in accordo o meno,
come metodo per “tenere buoni i rapporti” tra politica e dirigenza, trascurando
il principio di legalità.
Inesistenza della copertura
politica. Sono frequentissimi i casi nei quali le “innovazioni” gestionali
passano per disinvolte alchimie giuridiche, in funzione di un “patto” non
scritto tra politica e gestione, secondo il quale la seconda possa trovare,
nell’adozione di scelte molto critiche sul piano della legittimità, la
“copertura politica”, grazie al coinvolgimento degli organi di governo.
In moltissimi comuni, quindi, è
ancora in piedi l’abitudine del tutto contraria ai principi di separazione tra
politica e gestione e di responsabilità dirigenziale, di far precedere scelte
gestionali da improbabili “delibere di
indirizzo”, che spesso travalicano nella gestione concreta da parte degli
organi di governo. Ma, soprattutto, non danno luogo a nessuna reale “copertura
politica”.
Infatti la sentenza di condanna
in esame dimostra che non c’è alcuna copertura politica che tenga: se anche gli
atti gestionali siano attuativi di indirizzi politici, in ogni caso ne risponde
chi li adotta e chi non esprime esplicitamente e per iscritto pareri o
istruttorie che illustrino le criticità giuridiche, gestionali e finanziarie
connesse.
Oltre tutto, di fronte alla
sfortunata circostanza che i funambolismi ricadano sotto l’attenzione della
Corte dei conti, il “patto non scritto” tra politica e gestione, quello che si
regge sulla presunta “copertura politica” si rompe regolarmente.
Gli organi di governo,
nell’esercizio della legittima attività di difesa in giudizio, immancabilmente,
infatti, abbandonano ogni velleità di “copertura”, invocando sempre la
cosiddetta “esimente politica”, cercando – sempre lecitamente nelle dinamiche
processuali – di scaricare tutta la responsabilità su chi gli indirizzi
illegittimi poi attua o dei quali non evidenzia le illegittimità. La Sentenza
sul merito è chiarissima: “Quanto alle contestazioni relative ad una
presunta errata ripartizione del danno da parte del primo giudice che non
avrebbe tenuto conto del diverso concorso allo stesso da parte degli organi
politici e dei responsabili degli uffici amministrativi che sono stati
coinvolti nella vicenda in questione, è da dire che entrambe le categorie hanno
concorso al danno in modo paritario, così come deciso dal primo giudice.
Infatti, come detto, le delibere in questione erano palesemente illegittime, in
quanto attraverso le stesse è stato, surrettiziamente, implementato di fatto
l’organico degli uffici amministrativi, in assenza dei presupposti previsti, in
tali casi, dalla legge”.
Se va bene, dunque, la “copertura politica” si
riduce ad una chiamata di correo, utile solo a frazionare tra più persone
fisiche il risarcimento del danno erariale. Ma, quel danno, che è, come si
evidenziava sopra, arrecato a tutti i cittadini, si produce comunque.
Né appare orientato al buon
andamento ed all’assunzione piena del dovere di agire nell’interesse della
Nazione gestire con funambolismi, nella speranza che eventuali condanne
erariale sminuzzino il risarcimento tra più persone coinvolte possibili, e
magari fidando nelle coperture assicurative.
Non dovrebbe essere questo il modo di intendere la missione della
pubblica amministrazione. Le “soluzioni innovative” debbono sempre cedere il
passo alle regole vigenti, la cui forzatura porta a disfunzioni e danni, molto
più diffusi, purtroppo, delle sentenze che li accertano.
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