I giornali in questi giorni hanno
informato dell’inchiesta del programma Petrolio, che fa vedere in presa diretta
due atti di concussione in ambito ospedaliero a Padova.
Si tratta della ben conosciuta
tecnica del sovraffollamento delle liste d’attesa delle prestazioni pubbliche o
“intramoenia”, utilissime per far effettuare gli esami e le prestazioni in
ambito privato, con lauto pagamento (anche in nero) extra moenia, cioè nelle
cliniche private; o per proporre il “salto” della lista d’attesa ad un costo
pari a circa un terzo della prestazione a costo pieno, se fosse resa in ambito
privato.
“Ma questa è concussione”! I
giornali riportano questo sdegnoso commento del presidente dell’Anac, ospite
della trasmissione, alla vista dell’inchiesta.
Certo, è concussione. Ed è giusto
e naturale che il presidente dell’Anac, come qualsiasi altro cittadino sbotti
in indignazione e riprovazione durissima per l’accaduto.
Cosa dimostra, però, l’inchiesta?
Una serie di elementi che al legislatore continuano a sfuggire, rendendo la
lotta alla corruzione ancora poco efficace e complicata, nonostante l’impianto
normativo risalente alla legge 190/2012.
In primo luogo, si osserva che la
funzione deterrente delle norme vale per quello che vale. In altre parole, la
deterrenza funziona per chi intende rispettare la legge. Chi, invece, ha la
predisposizione a delinquere non si fa certo impressionare se invece di esservi
una legge a reprimere e condannare la concussione, ve ne sono due, dieci o
cento. Ovvio che le leggi debbono esservi, ma pensare che da sole bastino è
velleitario.
In secondo luogo, non funziona
l’insistenza sulla “cultura della legalità”, sulla quale battono molto specie
Anac e normativa anticorruzione. Giusto, certo, puntare anche sulla cultura. Ma
questa ancora una volta può avere effetti di prevenzione della corruzione su
chi questa cultura la condivida. Chi vuole delinquere, può assistere a
qualsiasi seminario relativo all’etica e continuare ad infischiarsene a maggior
ragione.
In terzo luogo, l’impalcatura
della prevenzione amministrativa alla corruzione, quella disciplinata dalla
legge 190/2012 e coordinata dall’Anac ha armi troppo spuntate. La legge 190/2012,
il codice etico (dpr 62/2013), il Piano Nazionale Anticorruzione, il piano
triennale di prevenzione della corruzione che certamente avrà adottato la
struttura sanitaria a Padova, non hanno avuto la benché minima capacità di
impedire gli atti di concussione comprovati dal programma Petrolio.
Anzi, l’insieme delle norme
discendenti dalla legge 190/2012 creano un labirinto di adempimenti, il cui
risultato si dimostra essere poco utile. Il già ricordato piano triennale di
prevenzione della corruzione richiede, a dire dell’Anac, un’approfondita
“analisi di contesto”, sottoposto all’esegesi dell’autorità, che laddove la
ritenga poco esaustiva, finisce per appioppare multe al responsabile della
prevenzione della corruzione. E paradossalmente, la normativa anticorruzione di
tipo amministrativo non è in grado di scalfire minimamente, con condanne o
sanzioni, i due medici autori della concussione, ma può mettere in serie di
difficoltà, invece, proprio il responsabile della prevenzione della corruzione.
Infatti, l’articolo 1, comma 12, della legge 190/2012, dispone che qualora in
un ente si accerti la commissione di reati legati alla con cessione sia il
responsabile della prevenzione (che il reato non ha commesso) a rispondere per
responsabilità dirigenziale (esposto, quindi, al rischio di licenziamento) e
per danno erariale, se non sia lui a dimostrare (con inversione dell’onere
della prova) che sia stato predisposto il piano di prevenzione con tutti i
crismi (allegati, tabelle, capitoli, commi, alinea, codicilli e “analisi di
contesto” compresi) e di aver vigilato sul funzionamento e sull’osservanza del
piano.
Dunque, nel caso di specie,
mentre la magistratura penale perseguirà gli autori della concussione, l’Anac,
invece, dovrà perseguire non chi ha commesso i reati, ma il dirigente
anticorruzione ed aprire nei suoi confronti un’indagine, eventualmente da
estendere alla Corte dei conti, per verificare se sarà in grado di discolparsi
per i reati commessi da altri.
Non sembra proprio che in
sistema, così impostato, possa funzionare adeguatamente. Anche perché, in
quarto luogo, l’inchiesta del programma Petrolio dimostra indirettamente il
fondamento molto forte di chi propugna la tesi secondo la quale per combattere
davvero la corruzione non occorrono le (troppe) sovrastrutture della normativa
anticorruzione, che portano solo ad un’esplosione di burocrazia, segnalata
ormai centinaia di volte dagli addetti ai lavori, ma senza mai ottenere
riscontro. E’ più utile, invece, apprestare un apparato di “agenti
provocatori”, come le giornaliste del programma, di soggetti, cioè, che possano
davvero e con poteri di indagine (e tempo e risorse) verificare concretamente
se e chi vìoli la corruzione.
Quel che è certo è che, nel caso
di specie, l’insieme delle regole di prevenzione della corruzione a Padova non
ha prodotto risultato alcuno. Se la concussione è stata scoperta è stato per
l’inchiesta a mo’ di agenti provocatori e, comunque, la repressione degli
autori dei reati (sempre che siano davvero considerati colpevoli in sede di giudizio)
spetta alla magistratura, mentre l’impianto amministrativo e l’Anac non hanno
alcuna voce in capitolo.
Un ripensamento, dunque, molto
ampio sarebbe necessario. E, per quanto riguarda il problema specifico delle
“liste d’attesa”, è evidente che occorre qualche innovazione radicale, non
bastando la normativa anticorruzione. La concorrenza pubblico-privato nella
sanità è da sempre risaputa come causa di rallentamenti e disfunzioni creati ad
arti nel pubblico, per bypassarli nel privato. Inoltre, la possibilità data
dalla legge ai medici di esercitare contemporaneamente ruoli pubblici e
professione libera, crea esattamente quella situazione di conflitto di
interessi anche solo potenziale, che invece la normativa anticorruzione
vorrebbe impedire.
Per risolvere questi problemi appare evidente che non basti nessuna “analisi
di contesto” per quanto approfondita: occorre rivedere dal fondo le regole dell’esercizio
della libera professione e degli accreditamenti delle cliniche private. Buttiamo
lì un’idea, poco meditata e magari, dunque, tecnicamente non corretta: perché non
obbligare, pena la revoca degli accreditamenti e delle autorizzazioni, le
cliniche private e gli studi professionali a conferire nel sistema delle
prenotazioni propri “slot” liberi, così da estendere in modo trasparente le
possibilità di ottenere prestazioni sanitaria a tutto il sistema
pubblico-privato, sulla base di prezzi standard fissati dalle regioni? Non
sarebbe un modo per eliminare le attese interminabili ed i conflitti di
interesse, del tutto diverso da qualsiasi regola “anticorruzione” che poi
funziona solo se l’etica individuale la condivide?
Tanti non vedono non sentono e non parlano. Dirigenti incollati come cozze al proprio posto di enorme potere da 14 anni e altri di cui dopo due anni si chiede la rotazione anticorruzione (forse perchè non si piegano ai voleri contra legem del politico che nomina il responsabile anticorruzione o perchè si preferiscono gli incompetenti che dicono sempre si). Però carte carte carte carte.
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