Il Ccnl delle funzioni centrali,
pur mantenendo l’impianto poco innovativo (a dispetto dei proclami) già
evidenziato nei precedenti commenti, ha il pregio di chiarire alcuni aspetti
connessi alla gestione del rapporto di lavoro.
Turni. Partiamo dalla
normativa sui turni. Non c’è nessuna particolare novità specifica riguardo al
personale turnista, ma riveste molto interesse, invece, l’articolo 21 della
preintesa riferito espressamente al personale “non turnista”. I primi tre commi
di questo articolo definiscono in maniera chiara di diritti del personale non
turnista:
“1. Il dipendente non in turno
che, per particolari esigenze di servizio, non usufruisca del giorno di riposo
settimanale, ha diritto al riposo compensativo delle ore lavorate, da fruire
entro 15 giorni e comunque non oltre il bimestre successivo. Allo stesso deve
essere, altresì, corrisposto, per ogni ora di lavoro effettivamente prestato,
un compenso pari al 50% della retribuzione oraria di cui all’art. 70, comma 2,
lett. a).
2. Il dipendente non in turno
che, per particolari esigenze di servizio, presti servizio in giorno festivo
infrasettimanale, ha diritto, a richiesta, ad equivalente riposo compensativo
per le ore lavorate oppure, in alternativa, alla corresponsione del compenso
per lavoro straordinario, con la maggiorazione prevista per il lavoro
straordinario festivo.
3. Nel caso di articolazione
oraria su cinque giorni, il dipendente non in turno che presti servizio in
giorno feriale non lavorativo ha diritto, a richiesta, ad equivalente riposo
compensativo oppure, in alternativa, alla corresponsione del compenso per
lavoro straordinario non festivo”.
La rilevanza di queste discipline
deriva dalla circostanza che gli istituti del riposo compensativo nel caso di
lavoro nel giorno di riposto settimanale, del riposto compensativo nel caso di
lavoro in giorno festivo infrasettimanale e di riposo compensativo nel caso di
giorno feriale non lavorativo (per esempio, il sabato) sono esplicitamente
rivolti a chi non è turnista. Di conseguenza, i medesimi istituti non sono
rivolti al personale turnista. Risulterà, quindi, più semplice e lineare non
solo respingere eventuali richieste di riposi compensativi non dovuti, ma anche
difendere in giudizio la posizione delle amministrazioni datrici di lavoro.
Ritardi. Interessanti sono
le previsioni contenute nell’articolo 24 della preintesa, finalizzate a rendere
più chiare e un po’ più permissive le conseguenze dei ritardi nell’ingresso al
lavoro.
Si stabilisce, al comma 2, il
principio della ricuperabilità dell’ammanco orario derivante dal ritardo. La
norma dispone, infatti, che il dipendente ritardatario ha l'obbligo di
recuperare il minor tempo di lavoro “entro l’ultimo giorno del mese
successivo a quello in cui si è verificato il ritardo”.
La disposizione induce le
amministrazioni a creare una sorta di conto “scalare” del tempo di lavoro, da
gestire mese per mese, rilevando ammanchi orari da ritardo da addebitare al
dipendente, perché li recuperi entro il mese dopo. Occorreranno sistemi di
controllo piuttosto rigorosi.
Il recupero è un obbligo, come
visto, il cui inadempimento, secondo la norma in esame, determina “la
proporzionale decurtazione della retribuzione e del trattamento economico
accessorio”. La preintesa reintroduce, non si sa con quanta consapevolezza
delle parti che l’hanno sottoscritta, elementi di connessione, dunque, tra
salario accessorio e presenza in servizio, senza per altro chiarire in alcun
modo la proporzionalità richiesta tra evidenziazione dell’inadempimento
all’obbligo di recuperare il ritardo ed incidenza sul premio di risultato.
Potrebbe essere compito dei sistemi di valutazione colmare questa lacuna.
Attenzione, però: la decurtazione
non risolve la questione. Il comma 2 dell’articolo 24 della preintesa conclude
affermando, inevitabilmente che “resta fermo quanto previsto in sede di
codice disciplinare”.
Ricordiamo, allora, che
l’inosservanza dell’orario di lavoro porta alla sanzione che può andare dal
minimo del rimprovero verbale o scritto al massimo della multa di importo pari
a quattro ore di retribuzione.
Stante l’obbligo di recupero del
ritardo entro l’ultimo giorno del mese successivo, dovrà necessariamente
scattare il procedimento disciplinare laddove si accerti che il dipendente non
abbia adempiuto al recupero, in tutto o in parte.
La funzione di controllo, dunque,
sui cartellini finali da cui risulta il riepilogo delle timbrature dei
dipendenti risulterà fondamentale ed irrinunciabile, per la corretta gestione
del rapporto e per il rispetto degli obblighi dell’azione disciplinare.
Servizi fuori della sede di
lavoro. Un altro chiarimento discende dal comma 3 dell’articolo 24 della
preintesa (il cui contenuto probabilmente avrebbe meritato un articolo
specifico, per maggiore chiarezza).
Si stabilisce che laddove il
dipendente debba, per esigenze di servizio o per la tipologia di prestazione,
svolgere temporaneamente la propria attività lavorativa, purchè preventivamente
autorizzata, al di fuori della sede di lavoro “il tempo di andata e ritorno
per recarsi dalla sede al luogo di svolgimento dell'attività è da considerarsi
a tutti gli effetti orario di lavoro”.
L’indicazione appare particolarmente utile: la
necessità di svolgere attività lavorativa fuori sede difficilmente può
prescindere dal considerare il tempo impiegato come lavoro prestato.
Tuttavia, la disposizione di
questo comma, volta a risolvere un problema operativo e gestionale non di poco
momento, non appare troppo ben coordinata con le regole sul trattamento di
trasferta, fissate dall’articolo 82 della preintesa, ai sensi del quale:
a)
“solo nel caso degli autisti si considera attività
lavorativa anche il tempo occorrente per il viaggio e quello impiegato per la
sorveglianza e custodia del mezzo”. La disposizione conferma le risalenti
indicazioni contrattuali, ma la contraddizione in termini con l’articolo 24,
comma 3, visto prima, appare chiara;
b)
“il tempo di viaggio può essere considerato attività
lavorativa anche per altre categorie di lavoratori per i quali in relazione
alle modalità di espletamento delle loro prestazioni lavorative è necessario il
ricorso all’istituto della trasferta di durata non superiore alle dodici ore. A
tale scopo le amministrazioni - sulla base della propria organizzazione e nel
rispetto degli stanziamenti già previsti nei relativi capitoli di bilancio
destinati a tale finalità, definiscono con gli atti di cui al comma 11, in un
quadro di razionalizzazione delle risorse, le prestazioni lavorative di
riferimento. Fino alla predisposizione di tali atti continuano ad avere vigenza
le disposizioni sin qui applicate, sulla base della previgente disciplina
contrattuale prevista nei comparti di provenienza”. Anche tale previsione
non sembra coordinarsi con la disposizione dell’articolo 24, comma 3, perché
richiede come condizione atti organizzativi interni, oggettivamente utili per
disciplinare le trasferte, ma difficilmente inquadrabili come “condizione” per
riconoscere come lavoro il tempo della trasferta, alla luce della disposizione
dell’articolo 24, comma 3.
Probabilmente per coordinare le
disposizioni sul lavoro fuori dalla sede occorrerà ricorrere a sofismi, che
distinguano trasferte fuori sede, ma nel medesimo territorio, da trasferte vere
e proprie, con attività prestata in città diverse da quello nel quale ricade la
sede lavorativa.
Orario flessibile. Se ne
occupa l’articolo 26, la cui disciplina è in linea di continuità con le ben
conosciute regole della flessibilità oraria.
Merita, però, attenzione il comma
3 di tale articolo 26, ai sensi del quale “L’eventuale debito orario
derivante dall’applicazione del comma 1 deve essere recuperato nell’ambito del
mese successivo a quello di riferimento, secondo le modalità e i tempi
concordati con il dirigente”.
La previsione attribuisce alla
responsabilità del dirigente il compito di definire, col consenso del
lavoratore, quando e come recuperare il debito orario derivante da un utilizzo
non corretto della flessibilità oraria.
La disciplina deve necessariamente
coordinarsi con quella del ritardo. E’ possibile concludere quanto segue:
1)
il ritardo deriva dall’ingresso oltre la fascia di
flessibilità ultima consentita;
2)
il ritardo deve essere obbligatoriamente recuperato entro
l’ultimo giorno del mese successivo, senza alcuna necessità che il dirigente
concorsi col dipendente tempi e modi;
3)
il mancato recupero del ritardo implica automaticamente la
decurtazione del salario ed è fonte dell’iniziativa disciplinare;
4)
il debito orario derivante dalla flessibilità può derivare sia
da un ingresso in ritardo oltre la soglia della flessibilità in entrata, ma
anche, ovviamente, da uscite anticipate non adeguatamente compensate da
prolungamenti orari flessibili nei giorni successivi del mese;
5)
anche il recupero della flessibilità è un obbligo, come quello
relativo al ritardo;
6)
a differenza del ritardo, però, il recupero del debito orario
della flessibilità va concordato col dirigente e non avviene, quindi, secondo
le modalità imposte dal Ccnl per il ritardo vero e proprio;
7)
trattandosi, comunque, di un obbligo, anche il mancato
recupero del debito da flessibilità, nel rispetto di quanto concordato col
dirigente, non può che comportare decurtazione economica e responsabilità
disciplinare;
8)
il recupero non pare possa avvenire con la “conversione” del
ritardo o della flessibilità in “permesso breve”. Si era espressa in termini
favorevoli sulla questione l’Aran con la risposta al quesito n. 7 della
raccolta sistematica degli orientamenti (reperibile qui: https://www.aranagenzia.it/attachments/article/7981/Regioni%20e%20autonomie%20locali%20-%20Raccolta%20sistematica%20orientamenti%20permessi%20brevi%20Dicembre%202016.pdf),
affermando che “potrebbe essere idoneo un sistema che richiedesse la
imputazione a permesso breve a recupero, ai sensi dell’art.20 del CCNL del
6.7.1995 e nel rispetto delle condizioni e delle modalità ivi prescritte, del
ritardo accumulato dal dipendente. A tal fine, ad avviso della scrivente
Agenzia, l’ente può tenere conto del solo periodo di tempo successivo alla
scadenza del termine massimo di flessibilità oraria in ingresso applicato
presso il vostro ente”. Tale assunto non è condivisibile, perché il
permesso breve deve essere autorizzato preventivamente. In ogni caso, la nuova
disciplina dei ritardi come emerge dalla preintesa in commento esclude ogni
possibilità di recupero mediante permesso breve. Lo stesso pare debba
concludersi in merito alla flessibilità.
Ferie solidali. Sono una
novità introdotta dalla preintesa che consente (all’articolo 30) ai dipendenti,
volontariamente e gratuitamente ,di cedere, in tutto o in parte, ad altri
dipendenti
a) le giornate di ferie ancora
disponibili eccedenti le quattro settimane annuali di cui il lavoratore deve
necessariamente fruire ai sensi dell’articolo 10 del d.lgs. 66/2003;
b) le quattro giornate di riposo
per le festività soppresse.
Questo, a condizione che i
destinatari abbiano l’esigenza di “prestare assistenza a figli minori che
necessitino di cure costanti, per particolari condizioni di salute”.
Detti dipendenti in stato di
necessità hanno la facoltà di chiedere all’amministrazione di utilizzare ferie
e giornate di riposo per un una misura massima di 30 giorni per ciascuna
domanda (reiterabile), presentando allo scopo una certificazione che comprovi
lo stato di necessità delle cure in questione, rilasciata esclusivamente da
idonea struttura sanitaria pubblica o convenzionata.
Qualora sia presentata la richiesta,
l’amministrazione la rende nota a tutto il personale garantendo l’anonimato del
richiedente, innescando così il processo di devoluzione delle ferie.
Particolari motivi personali o
familiari. L’articolo 32 della preintesa modifica il regime delle assenze
per particolari motivi personali o familiari, fino ad oggi fruibili
esclusivamente a giornate intere.
Con la nuova tornata contrattuale
sarà, invece, possibile la loro fruizione frazionata in ore. Il comma 1 della
norma prevede che “al dipendente, possono essere concesse, a domanda,
compatibilmente con le esigenze di servizio, 18 ore di permesso retribuito
nell'anno, per particolari motivi personali o familiari”.
La norma precisa che tali
permessi possono essere “fruiti, cumulativamente, anche per la durata
dell’intera giornata lavorativa e in tale ipotesi, l'incidenza dell'assenza sul
monte ore a disposizione del dipendente è convenzionalmente pari a sei ore”.
Assenze per prestazioni
sanitarie. Anche le assenze per usufruire di prestazioni sanitarie potranno
essere consentite frazionate ad ore, ai sensi dell’articolo 35 della preintesa,
il cui comma 1 dispone che “Ai dipendenti sono riconosciuti specifici
permessi per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od
esami diagnostici, fruibili su base sia giornaliera che oraria, nella misura
massima di 18 ore annuali,comprensive anche dei tempi di percorrenza da e per
la sede di lavoro”.
Non sarà, dunque, più necessario
assentarsi dal lavoro per un’intera giornata di malattia, laddove il dipendente
debba sottoporsi a visite da espletare in orario di lavoro.
Si tratta di una norma
apprezzabile, per la capacità di conciliare organizzazione del lavoro e vita
privata dei lavoratori. Imporre, come fin qui, assenze a giornate intere per
visite specialistiche appariva vessatorio, da un lato, ed irrazionale sul piano
operativo, dall’altro: l’ufficio doveva fare a meno per l’intera giornata delle
prestazioni di un dipendente, intento ad una visita specialistica magari di
poche ore.
In questo modo si razionalizzano
le modalità di gestione del rapporto di lavoro, sommando efficienza ed
efficacia. E’ un peccato che, nonostante mesi fa se ne fosse lungamente
parlato, non sia emersa la possibilità largamente utilizzata nel settore
privato di concedere almeno parte anche delle ferie ad ore, un altro sistema
molto efficiente per razionalizzare l’attività lavorativa, probabilmente
indurre molti dipendenti a rientrare dal part time e per favorire la presenza
in servizio.
I permessi orari per prestazioni
sanitarie sono assimilati alle assenze per malattia ai fini del computo del
periodo di comporto e sono sottoposti al medesimo regime economico, ma non sono
assoggettati alla decurtazione del trattamento economico accessorio prevista
per le assenze per malattia nei primi 10 giorni. Però, qualora il permesso sia
fruito su base giornaliera, il trattamento economico accessorio del lavoratore
subirà la medesima decurtazione
prevista dalla vigente legislazione per i primi dieci giorni di ogni periodo di
assenza per malattia.
I permessi sono fruibili a
condizione che siano richiesto con un termine di preavviso di almeno tre
giorni. Questa previsione è in astratto criticabile, perché il preavviso appare
eccessivo, in astratto, sebbene le prestazioni in teoria possano essere
programmate sulla base delle indicazioni del medico curante. In ogni caso, la
preintesa specifica che “Nei casi di particolare e comprovata urgenza o
necessità, la domanda può essere presentata anche nelle 24 ore precedenti la
fruizione e, comunque, non oltre l’inizio dell’orario di lavoro del giorno in
cui il dipendente intende fruire del periodo di permesso giornaliero od orario”.
Inutile sottolineare che la comprova della particolare urgenza rimane questione
molte volte di lana caprina.
I permessi dovranno essere
giustificati “con attestazione di presenza, anche in ordine all’orario,
redatta dal medico o dal personale amministrativo della struttura, anche
privati, che hanno svolto la visita o la prestazione”, che giustifica
l’assenza nel caso di visita del medico legale.
Mobilità. La riforma Madia
ha assegnato ai contratti collettivi la possibilità di curarsi della materia
della mobilità, fatto questo piuttosto sorprendente, considerando che si tratta
di un sistema sostanzialmente di reclutamento (sebbene riferito a personale già
dipendente delle PA).
La preintesa si è limitata,
tuttavia, ad ingerirsi della questione limitatamente alle procedure di mobilità
derivanti dall’accertamento dell’eccedenza di personale, ai sensi dell’articolo
33 del d.lgs 165/2001.
L’articolo 50 della preintesa
prevede una procedura a più fasi:
a)
l’amministrazione che dispone l’eccedentarietà del personale,
comunica anche a tutte le amministrazioni in ambito nazionale l'elenco del
personale in eccedenza distinto per area o categoria e profilo professionale,
richiedendo la loro disponibilità al passaggio diretto, in tutto o in parte, di
tale personale;
b)
le amministrazioni destinatarie di tale richiesta, qualora
interessate, comunicano, entro il termine di 30 giorni, l'entità dei posti, per
area o categoria e profilo, vacanti nella rispettiva dotazione organica per i
quali, tenuto conto della programmazione dei fabbisogni, sussiste l'assenso al
passaggio diretto del personale in eccedenza;
c)
l’amministrazione che ha disposto l’eccedentarietà comunica i
posti disponibili ai lavoratori in eccedenza, i quali che possono indicare le
relative preferenze e chiederne le conseguenti assegnazioni, con la
specificazione di eventuali priorità;
d)
l'amministrazione dispone i trasferimenti nei quindici giorni
successivi alla richiesta.
Dovesse risultare necessario
selezionare tra più aspiranti allo stesso posto, l’amministrazione di
provenienza (quella che ha dichiarato l’eccedentarietà) forma una graduatoria
sulla base dei seguenti criteri:
- dipendenti portatori di
handicap;
- dipendenti unici titolari di
reddito nel nucleo familiare;
- situazione di famiglia,
privilegiando il maggior numero di familiari a carico o i dipendenti con figli
di età inferiore a tre anni che hanno diritto al congedo parentale;
- maggiore anzianità lavorativa
presso la pubblica amministrazione;
- particolari condizioni di
salute del lavoratore, dei familiari e dei conviventi stabili ai sensi degli articoli
36 e 50 della legge 76 del 2016;
- presenza in famiglia di
soggetti portatori di handicap.
Assegnazioni temporanee.
Piuttosto poco condivisibile è l’articolo 51, comma 5, della preintesa, ai
sensi del quale il dipendente in assegnazione temporanea presso ente diverso da
quello di appartenenza “può chiedere, in relazione alla disponibilità di
posti in organico [dell’ente presso il quale è assegnato temporaneamente,
nda], il passaggio diretto all’amministrazione di destinazione, ai sensi
dell’art. 30 del d. lgs. n. 165/2001”.
Chi ha sottoscritto questa
previsione non si è del tutto reso conto, evidentemente, che grazie ad essa
potrà essere facilmente aggirato l’obbligo di procedura pubblica previsto
proprio dall’articolo 30 del d.lgs 165/2001. Basterà che due amministrazioni (e
il dipendente interessato) si accordino tra loro per attivare un’assegnazione
temporanea, in nota presenza di vacanze d’organico di posti compatibili con
profilo e categoria del dipendente interessato, per saltare a piè pari la procedura
pubblica.
In ogni caso, si tratta di una
tra le molte norme che ancora residuano, ma anche proliferano,
nell’ordinamento, che fanno riferimento alla dotazione organica, nonostante
l’articolo 6 del d.lgs 165/2001 ne preveda il superamento.
“Patteggiamento” della sanzione. La
preintesa contiene una lunga regolamentazione delle sanzioni disciplinari non
troppo innovativa, con l’eccezione dell’istituto della determinazione
concordata della sanzione disciplinare, previsto dall’articolo 66 in modo che autorità
disciplinare e dipendente possano concordare la sanzione da applicare, purchè
non si tratti dei casi per i quali la legge ed il contratto collettivo
prevedono la sanzione del licenziamento, con o senza preavviso.
Si tratta, dunque, di una procedura
conciliativa per concordare la sanzione da applicare: non può essere utilizzata
per determinare l’archiviazione dell’accusa.La sanzione concordemente determinata non
può essere di specie diversa da quella prevista dalla legge o dal contratto
collettivo per l’infrazione per la quale si procede. Pertanto, nel caso di
multa, resta una multa e si può concordare sulla sua commisurazione.Una volta che si sia raggiunto l’accordo
sulla sanzione esso vincola in particolare il lavoratore: la sanzione
concordemente determinata, infatti, non è soggetta ad impugnazione.
La procedura è piuttosto articolata:a) la proposta di conciliazione può provenire sia dall’autorità disciplinare competente, sia dal dipendente, entro il termine dei cinque giorni successivi alla audizione del dipendente per il contraddittorio a sua difesa;
b)
dalla data della
proposta sono sospesi i termini del procedimento disciplinare, di cui
all’articolo 55-bis del d.lgs 165/2001;
c)
la proposta
dell’autorità disciplinare o del dipendente e tutti gli altri atti della
procedura sono comunicati all’altra parte con le modalità dell’articolo 55-bis,
comma 5, del d.lgs 165/2001.
d)
la proposta di
attivazione deve contenere:
-
una sommaria
prospettazione dei fatti,
-
le risultanze del
contraddittorio
-
la proposta in ordine
alla misura della sanzione ritenuta applicabile.
e)
la mancata
formulazione della proposta entro il termine di 5 giorni successivi
dall’audizione del dipendente per il contraddittorio a sua difesa comporta la
decadenza delle parti dalla facoltà di attivare ulteriormente la procedura
conciliativa;
f)
la disponibilità della
controparte ad accettare la procedura conciliativa deve essere comunicata entro
i cinque giorni successivi al ricevimento della proposta, sempre con le
modalità dell’articolo 55-bis, comma 5, del d.lgs 165/2001. Nel caso di mancata
accettazione entro il suddetto termine, da tale momento riprende il decorso dei
termini del procedimento disciplinare;
g)
la mancata
accettazione comporta la decadenza delle parti dalla possibilità di attivare
ulteriormente la procedura conciliativa.
h)
qualora la proposta
sia accettata, l’autorità disciplinare competente convoca nei tre giorni
successivi il dipendente, con l’eventuale assistenza di un procuratore ovvero
di un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o
conferisce mandato;
i)
inizia la negoziazione
sulla commisurazione della sanzione e se la procedura conciliativa ha esito
positivo, l’accordo raggiunto è formalizzato in un verbale che va sottoscritto
dall’autorità disciplinare e dal dipendente; in esito a tale conciliazione
l’autorità competente può irrogare la sanzione;
j)
in caso di esito
negativo, se ne dovrà dare conto sempre in un verbale; in questo caso la
procedura conciliativa si estingue, con conseguente ripresa del decorso dei
termini del procedimento disciplinare;
k)
comunque, la procedura
conciliativa deve concludersi entro il termine di trenta giorni dalla
contestazione e comunque prima dell’irrogazione della sanzione.
l)
la scadenza di tale
termine comporta la estinzione della procedura conciliativa eventualmente già
avviata ed ancora in corso di svolgimento e la decadenza delle parti dalla
facoltà di avvalersi ulteriormente della stessa.
La procedura è piuttosto articolata:a) la proposta di conciliazione può provenire sia dall’autorità disciplinare competente, sia dal dipendente, entro il termine dei cinque giorni successivi alla audizione del dipendente per il contraddittorio a sua difesa;
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