“Tutto nel mondo è burla / L'uom è nato burlone / La fede in cor gli
ciurla / Gli ciurla la ragione / Tutti gabbati! Irride / L'un l'altro ogni
mortal”.
Le parole di Arrigo Boito, autore
del libretto del Falstaff e dello strepitoso movimento finale, architettato
come fuga dal grande Giuseppe Verdi, ben si attagliano alla vicenda sempre più
grottesca degli incentivi ai tecnici delle pubbliche amministrazioni.
Infatti, secondo la Sezione Puglia il nuovo comma
5-bis dell’articolo 113 sta lì, messo per non significare nulla, per non aver
innovato il diritto, per non aver chiarito la fattispecie degli incentivi ai
tecnici, la cui controversa interpretazione è stata, per altro, cagionata dalla
Corte dei conti stessa e, in particolare, dalla Sezione delle autonomie con
l’ormai celeberrimo parere 7/2017 (parere, è da ricordare, contestato dalla
Sezione Liguria, con la deliberazione 58/2017).
Leggiamo, allora, il testo del
comma 5-bis dell’articolo 113 del codice dei contratti: “Gli incentivi di cui al presente articolo fanno capo al medesimo
capitolo di spesa previsto per i singoli lavori, servizi e forniture”.
Quali le conseguenze di questa
previsione? Lo ha spiegato in maniera profusa e diffusa proprio la Corte dei conti (tanto per
non sottolineare gli insanabili contrasti all’interno della stessa magistratura
contabile), Sezione regionale di controllo per l’Umbria, con la deliberazione 5
febbraio 2018, n. 14: in estrema sintesi, gli incentivi per le funzioni tecniche
sono da considerare fuori dal tetto del salario accessorio e, quindi, non
limitate dalla previsione dell’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2017, che
impone alle amministrazioni di non superare la spesa complessiva dei fondi per
le risorse decentrate del 2016.
Le argomentazioni svolte dalla
Sezione Umbria sono molteplici e convincenti. Chi scrive le fa del tutto
proprie, ma in maniera assolutamente più pedestre si limita ad osservare che
poiché il legislatore ha stabilito che gli incentivi fanno capo al capitolo di
spesa previsto per gli appalti, ciò ha un solo significato: non passano più nel
capitolo che finanzia il fondo per le risorse decentrate e trovano una fonte di
finanziamento autonoma, tale da superare il vincolo posto dal citato articolo 23,
comma 2, del d.lgs 75/2017.
Occorre porsi, però, alcune
domande: il legislatore è obbligato ad esprimere sempre una volontà normativa?
Deve motivare i precetti inseriti nelle norme? L’interprete deve fornire le sue
letture al contenuto della legge solo a partire dalle previsioni esplicitate?
La risposta a queste domande
l’ha, da tempo, fornita lo stesso legislatore, con le disposizioni sulla legge
in generale (note come “preleggi”). L’articolo 12, comma 1, fornisce in primo
luogo al giudice i canoni essenziali dell’interpretazione: “Nell'applicare la legge non si può ad essa
attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle
parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del
legislatore”.
Ora, nel caso di specie:
1)
quale è il significato proprio delle parole
(interpretazione letterale) del comma 5-bis, se non quello dell’espressa
sottrazione degli incentivi al capitolo del fondo del salario accessorio, per
attribuirli all’egida dei capitoli di finanziamento dei singoli appalti?;
2)
quale potrebbe mai essere l’intenzione del legislatore,
se non quella di porre rimedio esattamente al problema operativo creato dalla
deliberazione 7/2017 della Sezione Autonomie e, quindi, consentire alle
amministrazioni di pagare gli incentivi ai tecnici superando gli ostacoli posti
da detta deliberazione?
Era, dunque, proprio necessario
che il legislatore esprimesse ulteriormente una propria volontà? Alla luce dei
canoni interpretativi previsti dalla legge, la risposta non può che essere
negativa.
Forte è, a questo punto, la
sensazione che parte della magistratura contabile stia agendo spinta, in
particolare, da una posizione sicuramente preoccupata per la finanza pubblica,
ma anche di puntiglio, ingaggiando col legislatore un vero e proprio confronto
a chi ha “l’ultima parola” su una questione interpretativa.
Ma, così, si innesca un latente e
sotterraneo conflitto di attribuzioni, ovviamente dannoso per l’ordinamento,
soprattutto perché spiazza del tutto gli operatori, posti tra l’incudine
dell’incombente rischio di danno erariale derivante dalle posizioni delle
sezioni Autonomie e Puglia, laddove pagassero gli incentivi, e l’altro rischio
di incorrere in responsabilità civile e lavoristica, laddove non li pagassero,
rischiando una probabilissima condanna da parte del giudice del lavoro, specie
in presenza del nuovo comma 5-bis dell’articolo 113 del d.lgs 50/2016.
Non è, per altro, la prima volta
che la magistratura contabile si rende protagonista di questa sorta di
conflitto con altri poteri. Una situazione per molti versi analoghi si è creata
da anni in merito alla possibilità di pagare i diritti di rogito ai segretari
comunali di fascia A e B, preposti a sedi di segreteria prive di qualifiche
dirigenziali: secondo una tetragona posizione della magistratura contabile,
detti diritti non spettano; ma uno tsunami di sentenze dei giudici del lavoro
dichiarano espressamente erronee le interpretazioni della Corte dei conti, e
condannano i comuni a pagare. Eppure, la Corte dei conti non recede di un millimetro.
Insiste nella propria interpretazione, che ovviamente nessun giudice può, per
altro, sottoporre a gravame.
Fermiamoci, adesso, un attimo e
astaendoci un po’ dalla singola questione, poniamo il vero problema che sorge
da queste vicende e, cioè, il ruolo concreto nell’ordinamento dei vari poteri
ed organi.
Il potere legislativo, come è
noto, spetta in via esclusiva al Parlamento (e alle regioni), salva la
possibilità per il Governo di adottare decreti legge in via d’urgenza o decreti
legislativi a seguito di delega del Parlamento.
Spetta, quindi, all’organo
elettivo rappresentante del popolo sovrano il compito di innovare
l’ordinamento, disponendo le norme considerate opportune e necessarie, in
particolare alla luce dell’indirizzo politico della maggioranza.
Il potere giudiziario ha il
compito di applicare le leggi. Un compito delicatissimo e fondamentale, perché
dà equilibrio al sistema.
Nell’applicare le leggi, certo,
occorrono canoni intepretativi, perché non sempre il testo è di semplice
lettura e, per altro, ogni legge va inserita in un ordinamento molto complesso,
coordinandola con altre disposizioni nella complicatissima interpretazione
“sistematica”.
Ma, l’interpretazione deve
fermarsi sempre davanti al testo normativo, al suo coordinamento con altre
disposizioni ed all’intenzione del legislatore. Non può e non deve sconfinare
in una meta-normazione, che trascende il significato del testo e forma una
volontà nuova e diversa, dalla quale partire per indicare precetti diversi,
oppure per considerare nullo l’effetto di una norma.
Ad affermare questo, è bene
chiarirlo, non è chi scrive, ma il Consiglio di stato, che si è occupato di un
altro soggetto da qualche tempo divenuto protagonista anche della stessa
formazione, cioè l’Anac. Nel confermare l’annullamento disposto dal Tar Lazio
contro alcuni provvedimenti dell’Anac fondati, illegittimamente secondo la
magistratura amministrativa, su un potere di ordine considerato invece
inesistente, Palazzo Spada nella sentenza della Sezione V, 11 gennaio 2018, si
è soffermato proprio sui limiti dell’interprete nell’applicare la legge. Ecco
l’importantissimo passaggio della sentenza: “nel silenzio della legge non
è dato all’interprete creare in surroga la norma, commisurando
l’efficacia delle disposizioni date rispetto alle finalità perseguite; e giungere, in ipotesi, ad innovare
all’assetto normativo affinché ne siano realizzati gli obiettivi di massima.
In base al principio di legalità, cardine irrinunziabile dello Stato di
diritto, compete soltanto alla legge di
porre nuove norme restrittive delle libertà o di modificazione delle
competenze da essa stabilite”.
Un passaggio che sembra scritto
esattamente per la questione che ne occupa, gli incentivi per le funzioni
tecniche.
Certo, il legislatore non è stato
sicuramente felicissimo nel legiferare. La disciplina degli incentivi per le
funzioni tecniche sconta un vizio genetico molto grave: quello di essere il
frutto di una aperta e conosciuta operazione lobbistica degli ordini degli
ingegneri e degli architetti, che in nome della presunta lesione del mercato
derivante dall’assegnazione di incarichi di progettazione ai dipendenti
tecnici, ha ottenuto l’eliminazione degli incentivi proprio per la progettazione.
Il che ha indotto il legislatore
a ridefinire in modo involuto, avvitato e sostanzialmente criptico la
disciplina degli incentivi, prima, invece, molto più lineare.
Il che ha fornito il destro alla
Sezione Autonomie per sostenere che tali incentivi non possano aggiungersi al
fondo della contrattazione decentrata, in quanto si tratta di spesa corrente e
per di più non tale da remunerare prestazioni tipiche, sì da poter essere
destinati in via indifferenziata al personale (poiché ne sono esclusi proprio i
progettisti).
Il parere 7/2017 della Sezione
Autonomie appare non condivisibile esattamente per la seconda delle principali
motivazioni sintetizzate prima. Sul piano della stretta interpretazione, non
può affermarsi, infatti, che gli incentivi riguardino il personale
indifferenziato, poiché proprio il comma 3 dell’articolo 113 demanda alla
contrattazione decentrata ed ai regolamenti di organizzazione il compito di
definire i criteri in base ai quali individuale i dipendenti destinatari degli
incentivi e la ripartizione degli incentivi. Se, dunque, non è la legge ex ante
a definire il personale specialistico destinatario, è comunque la legge a
titolare ex post gli enti, sulla base della loro autonomia di diritto privato e
regolamentare, ad individuare il personale limitato e definito, destinatario
degli incentivi.
Il problema è che la magistratura
contabile, ma anche altri enti come l’Aran, certamente in questo obbligati da
alcune disposizioni normative, sostanzialmente limita fin quasi a negare
proprio l’autonomia
di diritto privato delle amministrazioni, conducendo a complesse questioni
operative ed interpretative come quella in esame.
Non vi sono troppi dubbi nel considerare
che la Sezione Puglia ,
rimettendo alla Sezione Autonomie la questione interpretativa, si sia nella
sostanza proprio surrogata al legislatore, enucleando fini e contenuti
normativi nuovi e diversi da quelli, invece, facilmente evincibili dall’articolo
113, comma 5-bis, del d.lgs 50/2016, così agendo nel modo che il Consiglio di
stato ritiene non adeguato all’operato dell’interprete.
Per altro, l’ulteriore
paradossalità del caso è data dalla circostanza che la Corte dei conti fa
meritoriamente da sempre opera di vigilanza e salvaguardia del corretto operato
delle amministrazioni quando gestiscono le risorse da destinare al risultato.
Numerose sono le doverose condanne che le sezioni giurisdizionali infliggono
alle amministrazioni che paghino incentivi in carenza di obiettivi chiari e
risultati misurabili.
Proprio la realizzazione di
appalti di lavori, forniture e servizi, tuttavia, poiché richiedono ormai
attività di programmazione, pubblicità, gestione ed esecuzione resi complessi
fino al parossismo anche e soprattutto a causa del nuovo codice dei contratti,
evidenzierebbe risultati “sfidanti”, complessi, richiedenti attività lunghe,
defatiganti, tecnicamente complicate e sarebbe piuttosto semplice considerarle
alla base di una sana e virtuosa incentivazione. Invece, proprio in questo
campo, come visto sopra, il legislatore ha ceduto al lobbismo e l’interprete
comunque innesca col legislatore stesso un braccio di ferro, o almeno un ping
pong di interpretazioni, che sarebbe assolutamente da evitare.
Indubbiamente, anche il Governo,
autore del d.lgs 75/2017, ci ha messo del suo, con la previsione dell’articolo
23, comma 2. Non si può fare a meno di ricordare che essa congela al tetto del
2016 la consistenza dei fondi del salario accessorio nelle more dell’attuazione
di quanto prevede il precedente comma 1, cioè in attesa che “la contrattazione collettiva nazionale, per
ogni comparto o area di contrattazione” operi, “tenuto conto delle risorse di cui al comma 2, la graduale convergenza
dei medesimi trattamenti anche mediante la differenziata distribuzione,
distintamente per il personale dirigenziale e non dirigenziale, delle risorse
finanziarie destinate all'incremento dei fondi per la contrattazione
integrativa di ciascuna amministrazione”. Come si vede in questi giorni, i
contratti collettivi di tutto si stanno occupando tranne che di questa
“convergenza” dei trattamenti economici. Pertanto, il congelamento dei fondi al
2016 è, sì, temporaneo, ma esso potrebbe durare anche all’infinito, visto che
proprio la “giungla retributiva” è una delle questioni da sempre irrisolte
nella pubblica amministrazione. Prova ne sia il Dpcm 26 giugno 2015,
pomposamente rubricato “Definizione delle
tabelle di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi
relativi ai diversi comparti di contrattazione del personale non dirigenziale”,
che avrebbe dovuto servire per avviare un immane processo di mobilità tra le
amministrazioni, rimasto, invece, totalmente inattuato e riposto nel
dimenticatoio.
Dunque, il conflitto innescato
dalla Corte dei conti sulla questione degli incentivi tecnici rischia di durare
a lungo, se la magistratura contabile non receda dalla lettura proposta, ora,
dalla Sezione Puglia, sebbene essa sia quella surroga normativa che poco piace
al Consiglio di stato.
Il vero problema, dunque, è il
ruolo della Corte dei conti. La legge 131/2003 le ha assegnato una funzione,
quella del cosiddetto “controllo collaborativo” potenzialmente molto utile, ma
nei fatti snaturatasi.
Il controllo è sempre meno
collaborativo e sempre più impositivo, finalizzato a creare precetti ed anche
istituti nuovi (si porti ad esempio il cosiddetto “scavalco di eccedenza”
enucleato dalla Corte dei conti a partire dall’articolo 1, comma 557, della
legge 311/2004, che non lo prevede affatto in questi termini), volti a creare
vincoli nuovi, ulteriori e talvolta anche diversi da quelli previsti dal
legislatore, fino addirittura a creare contrasti con altre magistrature e col
legislatore stesso.
Gli operatori, di fronte a questo
stato delle cose, sono disorientati. Sabino Cassese nella sua recente ed
impietosa analisi
sulle “grida manzoniane” che compongono l’ordinamento giuridico, non ha
ricordato che accanto alle troppe leggi, ancor di più ad incidere
nell’ordinamento si moltiplicano pareri di ogni genere di ogni organo o
autorità (sezioni di controllo della Corte dei conti, Aran, Anac, Agid, Garanti
di ogni tipologia), comunicati, Faq, interpelli, risoluzioni, perfino tweet e
post nei vari social.
Sembra evidente che occorra porre
fine a tutto questo, anche perché non sembra che tale proliferare di fonti
“ellittiche” del diritto contribuisca a rendere l’operato più agevole,
semplice,diretto e attento al risultato.
Sarebbe opportuno ritornare sulla
legge 131/2003 e fare in modo che la
Corte dei conti controlli, senza trascendere nel conflitto di
attribuzione col legislatore e costruire nuovo diritto. E sarebbe largamente
opportuno che il controllo fosse tale: non pareri astratti su questioni di
massima, bensì controlli veri, amministrativi e di gestione, preventivi, su
atti concreti, come contratti decentrati, programmi di dismissione delle
società, progetti di project financing, contratti di concessione. Un organo
giurisdizionale non può svolgere tali funzioni? Se ne prenda atto, si modifichi
la legge 131/2003 e si costituiscano organismi di controllo o si potenzino
strutture già esistenti a questo scopo. Pare evidente che non cambiare strada
non risulti di grande utilità.
La cosa più assurda di tutta la vicenda è che basterebbe leggere un libro di Ragioneria del terzo anno della scuola superiore per capire che le spese accessorie di un investimento vanno capitalizzate, ossia fanno parte del costo imputabile all'opera: non si tratta di spese correnti.
RispondiEliminaRiporto di seguito un elenco dei principali oneri accessori di acquisto che secondo l’OIC 16 possono essere portati ad aumento diretto del costo delle immobilizzazioni materiali.
FABBRICATI:
Spese notarili per la redazione dell’atto di acquisto;
Tasse per la registrazione dell’atto;
Costi per la stipula dell'eventuale preliminare di acquisto;
Onorari per la progettazione dell’immobile;
Costi per opere di urbanizzazione primaria e secondaria posti dalla legge obbligatoriamente a carico del proprietario;
Compensi di mediazione.
IMPIANTI E MACCHINARIO:
Spese di progettazione;
Trasporti;
Dazi su importazione;
Spese di installazione;
Spese ed onorari di perizie e collaudi;
Spese di montaggio e posa in opera;
Spese di messa a punto.
MOBILI:
Trasporto;
Dazi su importazione.
Complimenti dott. Olivieri, una disamina precisa, dettagliata e terribilmente amara.... paradigma incontestabile di questo vascello alla deriva che è diventato questo paese.
RispondiEliminaGrazie
Gentile dott. Olivieri, le chiederei di esprimere una sua ulteriore considerazione relativamente alla situazione che si è ulteriormente ingarbugliata dopo il parere 25.07.2018 n. 265 della sezione Veneto, con la conseguenza che gli incentivi maturati nel periodo 19.04.2016-31.12.2017 ricadono in un limbo imprecisato.
RispondiEliminaNello specifico, che cosa dovrebbe accadere in quegli enti in cui il regolamento interno è stato approvato ma il fondo salario accessorio 2017 non ha previsto alcuna somma destinata all'art.113 del D.Lgs.50/2016, mentre nei quadri economici erano state previste ed accantonate le risorse per tale voce di spesa?
I dipendenti che hanno svolto le mansioni previste, che cosa dovranno fare per far valere le proprie ragioni e ricevere quanto previsto da norma e regolamento?
Grazie per le sue sempre utili parole.