La Corte dei conti, Sezione
regionale di controllo per il Friuli, col parere 2/2018 a proposito del
contrasto insanabile creatosi tra la magistratura contabile e quella ordinaria
a proposito dei diritti di rogito dei segretari comunali di fascia A e B
preposti a sedi di segreteria di comuni privi di qualifiche dirigenziali,
prosegue ed estende il conflitto con altri poteri dello Stato. Ed arriva a
teorizzare una sorta di duplicità ordinamentale o di terreno riservato,
nell’ambito del quale in sostanza la magistratura contabile agisce e dispone
sulla base di un proprio ordine di argomentazioni.
Si legge nel parere che si
evidenzia una “situazione di criticità interna all’ordinamento venutasi a
creare in ragione dei differenti opinamenti, dipendenti dai rispettivi ambiti
di competenza, espressi da Magistrature diverse su una norma di non agevole ed
immediata interpretazione. La funzione consultiva della Corte dei Conti è,
infatti, improntata ad individuare interpretazioni generali in un’ottica di
tutela della finanza pubblica e, come tale, predilige interpretazioni
sistematiche volte alla razionalizzazione dell’ordinamento per finalità di
corretto utilizzo delle risorse pubbliche, mentre al Giudice del Lavoro
spetta la verifica della fondatezza delle pretese delle parti nell’ambito di
uno specifico rapporto contrattuale di lavoro, con particolare attenzione,
in casi come quello che qui occupa, alla tutela dei diritti del lavoratore
ricorrente. Orbene, a fronte della descritta singolare situazione deve essere
tenuto presente anche il fatto che il Legislatore non è intervenuto in tempi
successivi sul punto con una modifica o con una interpretazione autentica della
norma derogatoria, effettivamente declinata in modo un po’ oscuro”.
Il ragionamento, in sintesi, è:
1)
c’è una norma, nel caso di specie l’articolo 10, comma 2-bis,
del d.l. 90/2014, convertito in legge 114/2014, che non brilla per chiarezza ed
espone alla possibilità di due diverse chiavi di lettura, per quanto appaia
tutto sommato evidente che il principio di onnicomprensività riguardi i
segretari di fascia A e B che operino in comuni con dirigenza;
2)
sulla base di questa norma, la magistratura contabile ritiene
di muovere le sue interpretazioni alla luce di un fine ulteriore e diverso da
quello specifico del legislatore: non l’applicazione specifica della singola
norma, ma una funzione generale di “razionalizzazione dell’ordinamento”, che la
porta a prediligere interpretazioni comunque restrittive sulla spesa;ù
3)
questa funzione di controllo generale di fatto crea una totale
astrazione della funzione della magistratura contabile, quanto meno in sede di
controllo, dalla fattispecie sostanziale;
4)
in altre parole, anche se sul piano del diritto sostanziale
una certa spesa risulti legittima, comunque la magistratura contabile la
considera illecita sul piano erariale;
5)
questo, perché il giudice del lavoro (ricordiamo che decine di
sentenze hanno seccamente del giudice del lavoro hanno seccamente smentito gli
“opinamenti” della Corte dei conti sulla non attribuibilità dei diritti di
rogito ai segretari comunali di fascia A e B nei comuni senza dirigenza), a
differenza della magistratura contabile, non guarda all’ordinamento nel suo
insieme, ma si limita a verificare la fondatezza delle pretese delle parti
nell’ambito di specifici e singoli rapporti di lavoro.
Manca qualcosa, in questo ragionamento. E si tratta
di questo: se il giudice del lavoro considera fondata una pretesa del lavoratore,
sia pure in una specifica questione, non può che deciderlo verificando la
conformità della pretesa ad un titolo giuridico. Ora, questo titolo giuridico
può essere anche formato per fatto illecito: derivare, quindi, da
responsabilità extra contrattuale o, comunque, per fatto lecito, ma proveniente
da un soggetto che non dispone del potere di rappresentare l’amministrazione
pubblica. Sono questi i casi tipici nei quali il fondamento della pretesa del
privato non esclude la responsabilità amministrativa connessa all’illegittimità
della spesa pubblica.
Tuttavia, la fondatezza della
pretesa del lavoratore può derivare:
a)
da un contratto stipulato nel rispetto di una norma;
b)
direttamente da una norma.
Nel caso dei diritti di rogito, le sentenze
accertano il diritto dei segretari comunali a percepirli alla luce della norma
di legge citata sopra. Non c’è un fatto illecito, non c’è una procedura di
spesa illegittima, non c’è un decisore pubblico incompetente o non titolato a
disporre la spesa.
C’è solo una lettura di una
stessa norma del tutto opposta. Ma, se il giudice dei diritti sostanziali
considera dovuta una prestazione fissata dalla legge, non appare certo
possibile (comunque non auspicabile) che una visione della funzione così ampia
e generale che la magistratura contabile ha di se stessa possa vanificare il
diritto sostanziale.
Né la Corte dei conti ha da
pretendere che il fondamento della sua posizione, nel caso di specie opposta al
diritto sostanziale accertato dai giudici del lavoro, possa basarsi sulla
circostanza che il legislatore non abbia dato corso ad un’interpretazione
autentica.
La Corte dei conti né legifera,
né può immaginare di disporre di un’iniziativa legislativa “indiretta” da
esercitare con i propri pareri, per indurre il Parlamento a legiferare.
E’ esattamente quel ping pong che si ripete anche per la questione degli
incentivi alle funzioni tecniche, e che è la spia di una concezione troppo
estensiva delle funzioni in sede di controllo collaborativo che la Corte dei
conti ha elaborato. Corretto fornire indicazioni applicative della norma
rispettose del sistema finanziario pubblico. Ma, una funzione così rilevante
non fornisce alcun potere di ignorare il diritto sostanziale accertato con
sentenze, in assenza di fatti illeciti, né di surrogare la volontà del
legislatore o di pretendere che il legislatore agisca in risposta a
sollecitazioni che giungono dai pareri delle sezioni di controllo. Non è questo
il ruolo e la funzione delle sezioni.
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