Il 6 in condotta appioppato dal consiglio di classe dell'Itis Da Vinci di Carpi all'allievo che aveva criticato azienda di destinazione nell'attività di alternanza scuola-lavoro e personale scolastico addetto è davvero"esemplare", come vantato dal preside della scuola.
Ma, per ragioni totalmente diverse da quelle addotte. Il preside ha ritenuto opportuno sanzionare il ragazzo perchè "le imprese, tra le prime caratteristiche che chiedono c’è la buona educazione, al di là delle competenze tecniche", aggiungendo che "la presa di posizione" dell'allievo fosse "dovuta a convinzioni ideologiche sull’alternanza scuola lavoro, probabilmente antecedenti rispetto all’inizio del periodo in azienda".
Queste affermazioni potrebbero dare alcuni spunti. Ad esempio, osservare la sudditanza della scuola rispetto alle aziende, che chiedono "buona educazione". E' come se la scuola sentisse il dovere di scusarsi con una sorta di "benefattore". Una visione della realtà oggettivamente curiosa. L'alternanza scuola lavoro dovrebbe essere utile non solo perchè i ragazzi imparino anche ad avere contatti col lavoro, ma acquisiscano cognizioni della vita lavorativa. Tra queste cognizioni, parte molto significativa hanno le "convenienze". Il lavoro è un mercato: difficilmente un'impresa si attiva per assumere o avviare apprendistati o tirocini o anche alternanza scuola-lavoro per mecenatismo. Lo fa, ed è giusto che sia così, per propria convenienza. La scuola non dovrebbe sentirsi "grata" ed agire "a protezione" dell'azienda. Dovrebbe prendere atto che così stanno le cose e valutare gli accadimenti di un progetto di scuola lavoro con oggettività.
Si potrebbe anche osservare che il voto di condotta riguarda appunto il comportamento e non certo l'espressione di un pensiero, anche eventualmente crudo e spigoloso quanto, del resto, non può che essere quello espresso da un ragazzo di 16-17 anni, come la scuola dovrebbe perfettamente sapere.
Si potrebbe anche sostenere che un ragazzo di quella età è normale che adotti posizioni ideologiche magari preconcette: l'adolescenza è l'età del bianco e del nero. Se non lo sa una scuola superiore, e se una scuola superiore non comprende che il proprio compito è smussare gli angoli, fornire elementi per raffinare i giudizi, renderli problematici, verificare molti punti di vista, e pensa di risolvere tutto con un 6 "esemplare", l'obiettivo educativo pare mancare. Il 6 poteva anche essere deciso, ma magari a seguito di un colloquio col ragazzo, volto a sondarne le ragioni, capirne il pensiero, dibatterlo con lui, chiarirgli altri punti di vista e altri modi espressivi.
Si potrebbero affermare tutte queste cose. Ma, invece le vogliamo trascurare, perchè in effetti dietro al 6 c'è un insegnamento, preciso, chirurgico. Molto grave. Ed è questo: ormai un mondo di "spioni" naviga sui social, intento a carpire ogni post, ogni foto, ogni commento, ogni "like", per costruire a tavolino un profilo della persona o carpire un suo "comportamento", in azienda o nello studio, ma anche fuori, per ingerirsi nella sua vita e trarre da quel post o like la conclusione, come il voto, piuttosto che la prospettiva di carriera o anche il licenziamento.
Nelle settimane scorse urla di allarme sono state lanciate per il caso Facebook - Cambridge Analytica, che, in fondo, ha acquisito i dati di 50 milioni di persone allo scopo di fare pubblicità politica, "vendendo" tuttavia un prodotto che poteva essere "comprato" solo da chi già avesse una certa convinzione politica. Certo, una grave violazione della privacy, ma comunque connessa al mondo del marketing politico, non troppo diverso dal marketing commerciale. Nè il mondo politico si è mai tirato indietro nel tentativo di influenzare gli esiti delle elezioni, cooptando o irretendo la stampa, mediante spionaggio (caso Watergate) o allettando il consenso con promesse, bonus e regalìe pre elettorali.
Infinitamente più grave appare, invece, la circostanza che l'esplosione dei social non sia stata accompagnata dalla ricerca di un punto di equilibrio con l'articolo 21, comma 1, della Costituzione: "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione". Un diritto che, ovviamente, soggiace ai limiti imposti dalla legge: insulti, diffamazioni, falsità sono ovviamente da perseguire.
I social appartengono a quella categoria dell'ogni altro mezzo di diffusione. Eppure, la libertà di manifestare il proprio pensiero non è evidentemente garantita, visto che è diffusissima, ormai, tra le aziende e, si apprende, tra le scuole, l'abitudine di sguinzagliare segugi a caccia del profilo social del dipendente o dello studente, per controllare cosa scrive, cosa pubblica, con chi si accompagna, dove va, chi frequenta, a quale "ideologia" aderisce.
L'insegnamento potrebbe consistere, allora, per il ragazzo di Carpi e per noi tutti nel prendere atto di ciò e, quindi, cancellare il proprio profilo social e chiudersi ad ogni spiata.
Tuttavia, questi atti di intromissione nella vita ledono la libertà di manifestazione del pensiero. E' vero che i social espongono chi li utilizzi, perchè si tratta di spazi esposti al pubblico. Ma, questo avviene proprio perchè si tratta di mezzi di diffusione del pensiero. Se un'azienda o una scuola colgono un post poco gradito, comunque, non è un caso: è perchè qualcuno all'interno dell'azienda o della scuola, o da loro incaricato, prende di punta quei dipendenti e quegli allievi e li segue post per post, ora per ora, giorno per giorno. O, banalmente, se c'è da svolgere un colloquio di lavoro, per quel tempo necessario a precostituire un'idea del pensiero e della "forma" della persona con cui trattare un'eventuale proposta di lavoro.
Non intendiamo qui dire se questo sia giusto o scorretto. Certo è che questo modo di agire ormai radicatosi non è esattamente in linea con l'articolo 21 della Costituzione. Pare, piuttosto, stretto parente del 1984 di Orwell. Autore che ben potrebbe essere scelto per denominare scuole che vadano alla caccia dei post dei propri allievi in alternanza scuola-lavoro.
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