lunedì 28 maggio 2018

Non è più solo un Governo che non si forma ma una crisi istituzionale senza precedenti

Partiamo da un punto, per essere molto chiari: il programma o contratto di governo era del tutto irrealizzabile e da questo punto di vista bene che il Governo a trazione M5S e Lega non sia sorto.
Male, invece, malissimo il modo con cui si è giunti al naufragio del tentativo. Nel merito e nel metodo. Con responsabilità molto forti di tutti i protagonisti.

Si è giunti alla conclusione infelice del tentativo con forzature alla Costituzione impossibili da non sottolineare, al di là dell'opportunità delle scelte del Presidente della Repubblica.
Molti interpreti si sono soffermati sul dato esclusivamente letterale dell'ormai famoso articolo 92, comma 2, della Costituzione, ai sensi del quale "Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri", concludendo che i Governi li forma il Presidente della Repubblica e che, di conseguenza, possano esistere "governi del Presidente".
Si tratta dei frutti avariati di quasi un trentennio di sovvertimento della Costituzione formale, mediante applicazioni, interpretazioni ed anche vere e proprie forzature della Costituzione "materiale", composta da prassi e comportamenti obnubilati dall'erroneo, decennale, fraitendimento di considerare la Seconda Repubblica qualcosa di diverso da una Repubblica Parlamentare.
I referendum poco meditati e poco adatti alla storia sociale e politica dell'Italia promossi a suo tempo da Mario Segni hanno inoculato un virus: quello del sistema maggioritario, che in una Costituzione che vede il Parlamento al centro non poteva che essere deflagrante. C'è voluto tempo, ma si è giunti a questo. Dopo i passaggi che hanno portato a ritenere erroneamente che il Presidente della Repubblica dovesse incaricare il "candidato alla presidenza del consiglio" indicato nelle liste. Oppure, dopo i passaggi di due legislature fa, quando in presenza di una conclamata crisi il Presidente della Repubblica in carica non ritenne di sciogliere le camere, nell'ottobre 2010, dando modo all'allora maggioranza di raccogliere in qualche modo voti qui e lì, per poi condurre alla tragica estate del 2011. Cui seguì la forzatura più evidente del "governo del Presidente" avulso dal voto, il Governo Monti. Per poi andare verso la rielezione - mai avvenuta prima - di un Presidente della Repubblica dopo un suo primo settennato, l'imposizione delle larghe intese senza considerare minimamente gli effetti dell'illegittimità costituzionale della legge elettorale con cui si formò il Parlamento nel 2013; il veto imposto al Governo Renzi sul nome del procuratore Gratteri come Ministro della Giustizia. Lo strappo per l'elezione dell'attuale Presidente della Repubblica, troppo facilmente - anche se a torto - qualificabile come "di parte", quella parte che lo ha fatto eleggere con un colpo di mano. La passività di quasi 10 anni di azione del Quirinale nel far passare ogni legge anche avente evidenti profili di illegittimità costituzionale, in particolare Porcellum prima, Italucum poi, Rosatellum infine.
Fino a giungere alla radicata convinzione che quell'articolo 92, comma 2, attribuisca effettivamente al Presidente della Repubblica il potere di formare da sè il Governo, nominando discrezionalmente Presidente del Consiglio e Ministri.
Ma, le cose non stanno così. Il Governo Cottarelli, anche se "del Presidente", entra nel pieno delle proprie funzioni, come ogni altro Esecutivo, solo se ottiene la fiducia da entrambe le Camere. Sì, perchè un Presidente della Repubblica nomina discrezionalmente i componenti dell'Esecutivo solo in una forma di Stato non parlamentare ma presidenziale, nella quale però il Presidente acquisisca dal corpo elettorale, dal popolo sovrano, la legittimazione, con le elezioni, sulla falsariga del sistema vigente in Francia.
In Parlamento si formano le maggioranze/alleanze tra forze politiche, che il Presidente della Repubblica accerta esistano. Sono le forze politiche ad indicare al Presidente della Repubblica il nome del Presidente del Consiglio da incaricare o comunque è la sensibilità del Quirinale ad individuare da sè il leader in sella della maggioranza: così avvenne, ad esempio, all'epoca del disarcionamento di Letta: non fu certo il Presidente della Repubblica a decidere di propria unilaterale iniziativa quale Presidente del Consiglio nuovo incaricare.
I Ministri sono nominati dal Presidente della Repubblica "su proposta" del Presidente del Consiglio incaricato. Significa che tale nomina non è "del Presidente della Repubblica", ma è frutto di un "concerto", tra l'esponente di vertice della maggioranza politica e il garante delle regole poste affinchè la maggioranza si traduca in Governo. Il Presidente della Repubblica, poichè l'iniziativa, cioè la "proposta" è del Presidente del Consiglio incaricato, oltre alla moral suasion non può andare: nomina i ministri indicati.
Il Quirinale ha invece posto un chiaro veto. Così, al di là del merito della decisione, ha compiuto un atto di discrezionalità politica vera e propria, per altro coperta dall'assenza di responsabilità politica che formalmente la Costituzione impone al Presidente della Repubblica, i cui atti debbono tutti essere controfirmati dall'Esecutivo.
Di fatto, dunque, anche se fermare il Governo mai nato è stato molto meglio che provare ad andare a sbattere violentemente nel tentativo di andare contro la Ue consolandosi con i mini-bot, si è dato vita ad un'azione eccentrica rispetto alla Costituzione, molto pericolosa. Perchè oggi vi è un Presidente della Repubblica moderato e profondamente cauto ed esperto. Domani, quando anche quest'ultimo effetto del virus del presidenzialismo risulterà conclamato così da rendere i cittadini indifferenti anche verso questa ennesima forzatura della Costituzione materiale, potremmo avere un Presidente della Repubblica veramente di parte, che forte dei precedenti guiderà l'azione politica con piglio commissariale. Se non oltre.
Eppure, tra le ragioni che hanno portato il Presidente della Repubblica ad opporre l'improprio rifiuto alla nomina del Ministro dell'economia, una poteva sin dall'inizio essere assunta per considerare non esistente una maggioranza credibile: l'assenza di un programma, surrogato da un contratto senza coperture e con l'iniziale previsione espressa della volontà di uscire dall'euro.
Quello era il momento per il Quirinale di non porre veti sulle persone e di non appellarsi a discutibili e semplicistiche interpretazioni dell'articolo 92, ma per operare una vera e propria prerogativa presidenziale: attestare l'inesistenza dell'alleanza di Governo, conclamata dall'assenza di un programma e di un Presidente da incaricare che ne fosse vero autore e che ne avesse garantito da subito la conformità alle regole di bilancio e ai trattati Ue.
In conclusione: la decisione del Presidente della Repubblica evita guai molto peggiori, ma tempi e metodi risultano, purtroppo, non adeguati.

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