La convinzione diffusissima che in Italia il Presidente della Repubblica disponga di "prerogative" come si fosse in una Repubblica presidenziale e non parlamentare, è all'origine di una serie di letture erronee dell'articolo 92 della Costituzione. Cui hanno fatto seguito - inevitabilmente - gli "smottamenti" emersi il 27 maggio e ancora in corso.
Si è dato assestamento ad una lettura dell'articolo 92 della Costituzione del tutto slegata dal resto della Carta costituzionale. Cancellando un elemento decisiva: il Governo è formato dal Presidente della Repubblica, ma è il Parlamento, che rappresenta il popolo, a farlo entrare in funzione.
In sostanza, non può esistere un "Governo del Presidente", al di là di tutte le sommarie e frettolose analisi sul tema, che si pongono fuori e non dentro la Costituzione.
Andiamo all'insieme delle norme. A partire dall'articolo 1 della Costituzione. Esso dispone, a comma 2: "La sovranita` appartiene al popolo, che la esercita
nelle forme e nei limiti della Costituzione". Dunque, non è sovrano nessuno, nemmeno il Presidente della Repubblica, ma solo il popolo.
Questo, però, non può governare direttamente. Siamo, infatti, in una forma di democrazia rappresentativa. Ecco, quindi, che la sovranità si esercita appunto "nelle forme e nei limiti della Costituzione". Come? Attraverso le elezioni del Parlamento, i cui membri rappresentano la Nazione senza vincoli di mandato, esattamente per questo motivo (articolo 67).
E' il Parlamento che consente o meno ad un Governo di funzionare. L'articolo 94 della Costituzione è chiarissimo:
"Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.
Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.
Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia".
Dunque, è vero che il Presidente della Repubblica nomina il Governo. Ma, anche se il Governo è nominato ed insediato, la Costituzione pretende che la sovranità del popolo si eserciti attraverso la manifestazione del gradimento del Governo, nominato dal Presidente, mediante l'espressione del voto di fiducia.
Ecco perchè, a dispetto delle letture che da anni si danno dell'articolo 92, il Presidente della Repubblica ha "prerogative" piuttosto ristrette nel formare il Governo.
Il Capo dello Stato ha il compito di formare un Governo che sia in grado di ottenere la fiducia delle camere. Le consultazioni, non previste dalla Costituzione ma frutto di una prassi, hanno la funzione di permettere al Presidente della Repubblica di accertare che esista una maggioranza ed un'ipotesi di programma che si stringano attorno ad un Presidente del consiglio e a dei Ministri, nei confronti dei quali le Camere, veri ed ultimi arbitri dell'avvio della piena amministrazione, abbiano fiducia.
Nelle consultazioni, dunque, anche se è il Presidente della Repubblica a trarre le conclusioni, la nomina del Presidente del Consiglio incaricato non è un'iniziativa del Capo dello stato, bensì una scelta per induzione, derivante dall'indicazione dei partiti.
I quali, per l'inesistenza di un vincolo di mandato sia individuale, sia anche collettivo, in un sistema proporzionale sono liberi di attivare entro il Parlamento qualsiasi trattativa, anche nel corso delle consultazioni col PdR, per formare le alleanze necessarie alla creazione di quella maggioranza che sostenga il Governo.
Quindi, il Presidente della Repubblica nomina, certo, il Presidente del Consiglio: ma, se non proprio su diretta indicazione, sulla base della verifica delle intenzioni "concludenti" della maggioranza che si concretizzi davanti ai suoi occhi, per effetto delle consultazioni.
Il Presidente del Consiglio incaricato, allora, non è frutto diretto dei partiti, per scongiurare il pericolo di un partito-Stato, ma è nominato dal PdR perchè attraverso le consultazioni sa che la persona scelta è quella che otterrà la fiducia su una lista di ministri ed un programma graditi alla maggioranza.
Ecco, allora, perchè i ministri sono proposti dal Presidente del Consiglio incaricato e non scelti direttamente dal Presidente della Repubblica. Se fosse corretta la lettura data da molti, secondo la quale il Capo dello stato possa, in base all'articolo 92 della Costituzione, influire in modo vincolante, o per dirla in modo più semplice, disponesse della "prerogativa" di impedire la nomina di un ministro o ancor più di suggerirne un nome o una rosa di nomi, il comma 2 dell'articolo 92 non avrebbe attribuito al Presidente del Consiglio incaricato il potere di iniziativa nella nomina dei ministri, sotteso alla "proposta". Essa è vincolante? Formalmente, no. Ma Il complesso processo di formazione del Governo, sintetizzato sopra, dimostra che l'esercizio della sovranità del popolo si trasfonde in una maggioranza che si affida ad un Presidente del Consiglio incaricato, il quale otterrà la fiducia del Parlamento con una lista di ministri di fiducia "propria" e come tale anche del Parlamento.
Dunque, se il Presidente del Consiglio incaricato ed i partiti non possono imporre diktat al PdR, nemmeno questo può impedire che il Governo si formi con le persone individuate dal PdC incaricato, se quella lista dei ministri è destinata a ricevere la fiducia da chi esercita direttamente la rappresentanza del popolo sovrano.
La riprova che sull'articolo 92 della Costituzione si sono fatte forzature inopportune, non certamente fonte di impeachement, ma altrettanto sicuramente non propizie? Nel 2011 il Governo dei tecnici fu insediato dopo che il PdR ebbe modo di accertare, con estrema sicurezza, che il Parlamento avrebbe dato la fiducia al PdC individuato dal Capo dello stato stesso, sia pure - nelle condizioni di emergenza dell'epoca - senza fare riferimento diretto alla sovranità popolare, che sicuramente nelle votazioni del 2008 non aveva fornito indicazione alcuna per u n Governo simile. Ma, poichè la sovranità si esercita nelle forme imposte dalla Costituzione, se un PdR accerta l'esistenza di una maggioranza parlamentare disposta a dare la fiducia ad un Governo non direttamente frutto del processo rappresentativo, siccome in ogni caso il Parlamento rappresenta il popolo, quel Governo nasce legittimamente, è in ogni caso espressione del popolo sovrano, e non è comunque un Governo "del Presidente", ma un Governo che nasce su un'iniziativa propositiva non tanto delle forze politiche, accertata dal PdR nelle consultazioni, bensì sulla verifica operata dal Quirinale, sempre durante le consultazioni, che le forze politiche accolgano con favore la provenienza del PdC da incaricare direttamente da un'iniziativa del PdR. Ma, senza quell'accoglienza favorevole di chi rappresenta il popolo, nel Parlamento, nemmeno il Governo dei tecnici sarebbe potuto nascere.
Infatti, stando alla cronaca, tanto è vero che un "Governo del Presidente" non sia possibile, nè in via giuridica, nè in via di fatto, che la proposta del Governo "neutrale", presieduta da un tecnico non espressione diretta dei partiti è sostanzialmente naufragata, per la semplicissima ragione che il Presidente della Repubblica ha incaricato il Presidente del Consiglio consapevole dell'impossibilità che il Parlamento esprima la fiducia a simile Governo.
Qui è il cuore della questione. L'articolo 92 della Costituzione fa del Presidente della Repubblica la garanzia che l'esercizio della sovranità popolare non si trasformi in una partitocrazia. Ma, il Presidente della Repubblica non ha la "prerogativa" di formare un Governo se non c'è una maggioranza disposta a dargli la fiducia. Perchè questa "prerogativa" finisce per esautorare il potere del Parlamento di dire, in definitiva, l'ultima parola sulla possibilità del Governo di entrare in funzione.
Per questo, tornando alla fine del 2011, il Governo dei tecnici alla fine fu, comunque, un Governo "politico": ottenne, infatti, la fiducia.
Accertato che non esiste una maggioranza che dia la fiducia, il Presidente della Repubblica non può che riprovare a verificare se in Parlamento le forze degli eletti possano sostenere un Governo diverso. Oppure, sciogliere le camere direttamente. Il passaggio di un Governo destinato ad essere sfiduciato subito è l'invenzione di una "prassi" politica priva di fondamento e foriera del pericolo di derive istituzionali.
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