I sindaci vogliono maggiore
libertà e, tramite la propria associazione, l’Anci, hanno presentato la
proposta di legge “Liberiamo
i sindaci”. Sì, ma esattamente da cosa?
Se leggiamo gli articoli 13 e 5
della proposta di legge appaiono sostanzialmente la riproposizione fuori tempo
e soprattutto fuori contesto di due degli elementi peggiori della già pessima
di per sé riforma Madia della dirigenza, per fortuna mai andata in porto grazie
alla sentenza della Consulta 251/2016: l’abolizione dei segretari comunali e
l’introduzione di un’esimente politica volta a privare i sindaci di qualsiasi
responsabilità, facendo dei dirigenti pubblici un parafulmine obbligato a
firmare anche le peggiori illegittimità.
Andiamo all’articolo 13 della
proposta:
“Art. 13 (Dirigente apicale
nei Comuni con popolazione pari o superiore a 100.000 e nelle Città
Metropolitane) 1. Nei comuni capoluogo, nei comuni con popolazione pari o
superiore a 100.000 abitanti e nelle città metropolitane è istituita un’unica
figura dirigenziale apicale, alla quale spettano le funzioni di attuazione
dell’indirizzo politico, di coordinamento dell’attività amministrativa e di
controllo dell’azione amministrativa. Al titolare della posizione dirigenziale
apicale sono conferite le funzioni previste dall’articolo 97, comma 4, del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. L’accesso alla posizione dirigenziale
apicale è consentito a soggetti aventi i requisiti per l’accesso alla dirigenza
pubblica con le modalità definite dall’articolo 108 del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267”.
E’ in sedicesimo la
riproposizione dell’inutile e controproducente abolizione dei segretari
comunali, promessa dal Governo Renzi appena insediato con la famosa lettera
dell’aprile 2014, ed attuata con lo schema di decreto legislativo, affossato
dalla Consulta.
La riforma della dirigenza
targata Madia, però, prevedeva l’abolizione dei segretari comunali sic et
simpliciter. L’Anci è un po’ più cauta: si limita a chiedere la cancellazione
dei segretari nei comuni con popolazione di almeno 100.000 abitanti, per
sostituirla con una figura dirigenziale “apicale” sostanzialmente nominata dal
sindaco per via fiduciaria, in applicazione dell’articolo 108 del Tuel. Con una
specifica novità sulle competenze, nelle quali la proposta di legge dell’Anci
annovera espressamente quella dell’attuazione dell’indirizzo politico. Un modo
evidente di tentare di superare le incertezze del giudizio
di legittimità costituzionale, attivato dal tribunale di Brescia, che
incombe sulla disciplina del Tuel relativa ai segretari comunali e in
particolare sullo spoil system che da oltre 20 anni precarizza la
funzione dei segretari comunali.
Soprattutto, si tratta della
stanca reiterazione della voglia che hanno i sindaci niente affatto di
liberarsi da qualcosa, quanto piuttosto di avere le “mani libere”, che è altra
cosa. Nel caso di specie, le mani libere di scegliersi un vertice a loro
immagine e somiglianza, senza concorsi, per sola via fiduciaria e politica.
Reiterando così i costi e
l’inutilità della figura dei direttori generali. Essi sono ancora oggi presenti
nei comuni con oltre 100.000 abitanti, proprio quelli nei quali si annidano i
maggiori problemi finanziari, come testimoniano i casi di Roma, Torino, Napoli
e Catania. Tutti comuni da anni dotati di city manager del tutto inutili
o incapaci di impedire i rovesci finanziari e gestionali di quegli enti.
L’Anci, con questa proposta, dà
forte la sensazione, magari sbagliata ma molto presente, di seguire una logica
politica e partitica. Fallita la riforma Madia, appare piuttosto evidente che
la componente politica alla guida dell’associazione dei comuni appartenga
ancora alla medesima che ha sorretto la maggioranza la scorsa legislatura.
L’iniziativa normativa qui in commento parrebbe indurre a concludere che
l’impressione che l’Anci abbia sempre agito negli anni non tanto e non solo nel
perseguire un interesse degli enti locali, ma anche nel sostenere una linea partitica
piuttosto chiara, sia forte ed evidente. Per quanto anche altre forze politiche
nel passato, la Lega per prima, hanno assunto iniziative per eliminare i
segretari comunali, sebbene sia stato l’allora Ministro Calderoli a prendere
atto dell’inutilità e dei costi dei direttori generali nei comuni fino a
100.000 abitanti, proponendone l’abolizione decisa nel 2009.
Per altro, sempre negli enti di
maggiori dimensioni, la figura del city manager, della quale il
dirigente apicale sarebbe l’evoluzione, si è anche connotata per commistioni
tra politica e gestione clamorose. Spesso i direttori generali altro non erano
se non assessori aggiunti con poteri gestionali. A Milano, alle scorse elezioni
hanno concorso per la carica di sindaco ben due ex direttori generali
dell’ente: non si è capito dove finiva, al tempo del loro incarico da direttore
generale, la funzione politica e dove iniziasse davvero quella squisitamente
tecnica, quella che dovrebbe essere messa al servizio della Nazione, secondo
l’articolo 98 della Costituzione, e non di questo o di quel partito.
Ancora più di ancient regime
odora l’articolo 5 della proposta di legge dell’Anci: “Art. 5
(Armonizzazione norma sulla responsabilità amministrativo-contabile) 1.
All’articolo 107, comma 6, del TUEL aggiungere il seguente periodo: “Sono
altresì titolari in via esclusiva della responsabilità amministrativo-contabile
per l’attività gestionale, ancorché derivante da atti di indirizzo dell’organo
di vertice politico”.
Insomma, l’Anci riproduce
integralmente una tra le norme più discutibili
della riforma Madia, quella mirata ad estendere all’infinito la cosiddetta
“esimente politica”.
Si continua a perseguire l’esclusiva imputabilità” dei
dirigenti per la responsabilità amministrativa dovuta all’adozione di atti
gestionali, il che equivale ad una vera e propria non imputabilità per
responsabilità amministrativa in favore degli organi politici di governo.
Allora, torna la domanda: da cosa
vogliono essere liberati i sindaci? Va benissimo chiedere di superare l’assurdo
sistema finanziario contabile denominato “armonizzazione contabile”, comunque
fin qui sostenuto da consulenti dell’Anci stessa; giusto rilevare che il codice
dei contratti costituisce un sistema per imbrigliare le decisioni, impedire gli
investimenti, bloccare le opere. Ma, la pretesa di una totale ed assoluta
irresponsabilità amministrativa per le decisioni, da scaricare addosso ad una
dirigenza che se non precarizzata per contratto, viene precarizzata sotto il
ricatto della mancata adozione di atti anche totalmente illegittimi o illeciti,
potendo essere “scaricata” poi per violazione delle direttive non è un atto di
libertà: è anarchia, meglio ricerca di impunità ed irresponsabilità.
Tutto il contrario di quel che
serve: non sindaci con le mani libere ed al di sopra delle regole sulla
responsabilità, ma liberi dalla burocrazia che l’Anci stessa ha più volte
contribuito a creare e consolidare, però assolutamente responsabili e
consapevoli dei poteri e del peso delle decisioni da adottare per l’interesse
generale.
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