Come sempre, il sito gestito da Bosetti&Gatti è capace di
riassumere in pochissime parole quanto chi scrive ha provato
a spiegare con ben altro dispendio di pixel: le differenze tra
decadenza, revoca, recesso e risoluzione.
Ecco cosa afferma il sito www.bosettiebgatti.eu:
“Continua la serie, iniziata negli anni novanta, dei governi
tutti chiacchiere e distintivo. Ai due vicepresidenti del consiglio,
in quanto furbi ma sprovveduti, si può perdonare quasi tutto, al
loro autista capo del governo, avvocato, non si può perdonare la
confusione tra revoca, risoluzione, decadenza della concessione. Qui
la convenzione tra ANAS e Autostrade per l'Italia. Si vedano i commi
1 e 2 dell'articolo 9-bis: al concessionario spetta l'indennizzo (i
famosi 15 o 20 miliardi di euro di cui parlano i media) in ogni caso
di revoca e di risoluzione. La clausola sarebbe (quasi) corretta se
fosse riferita, oltre che alla revoca, alla RISOLUZIONE PER FATTO
IMPUTABILE AL CONCEDENTE mentre non trova giustificazioni
nel caso di RISOLUZIONE PER FATTO DEL CONCESSIONARIO (come dovrebbe
essere, ferme restando le garanzie procedimentali, nel caso di
Genova). Aver previsto nel risarcimento anche il cosiddetto lucro
cessante o mancato utile per la RISOLUZIONE TOUT COURT (quindi anche
per fatto imputabile al concessionario) è la trappola in
cui si è infilata ANAS con la stipula della convenzione, ma è anche
una mostruosità giuridica. Se una simile clausola fosse
introdotta oggi in un contratto di concessione il responsabile
dell'amministrazione concedente sarebbe arrestato e la chiave della
cella buttata nel cratere dell'Etna. Infine (comma 5):
«...l'efficacia del recesso, revoca, risoluzione e comunque di
cessazione anticipata ...è sottoposta alla condizione del pagamento
da parte del Concedente al Concessionario di tutte le somme previste
nel presente articolo»; quindi prima si paga, poi se si può, si
revoca, si recede, si risolve...”.
Senza minimamente entrare nel merito di una vicenda estremamente
complicata, che richiede istruttorie amministrative molto profonde e
precise (se non si possono aspettare “i tempi della giustizia” è
doveroso agire con cautela, professionalità, ponderazione ed
equilibrio e non in modo arbitrario), ciò che va stigmatizzato è
proprio il contenuto della convenzione e, in particolare, la
confusione estrema che essa denota nel regolare gli istituti di
decadenza, revoca, recesso e risoluzione. Il primo, la decadenza,
disciplinato dall’articolo 9; gli altri, cumulativamente e senza
distinzione, nell’articolo 9-bis.
Lo comprende chiunque come sia segno di poca attenzione regolamentare
con un’unica disposizione tre istituti (revoca, recesso e
risoluzione) tra loro profondamente diversi.
Senza considerare che, a ben vedere, come ha spiegato l’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 20 giugno 2014, n.
14, una volta stipulato il contratto di appalto, in realtà il potere
di revoca – strettamente connesso ai rapporti amministrativi e non
negoziali – non sia più utilizzabile. La revoca, infatti, dovrebbe
riguardare l’atto di concessione, non la sua regolazione mediante
la convenzione. Semmai, le convenzioni regolanti le concessioni
debbono regolamentare il diritto potestativo di recesso di natura
privatistica, riconosciutole dal previgente articolo 134 del d.lgs
163/2006 e oggi dall’articolo 109 del d.lgs 50/20161.
L’ipotesi della revoca, dunque, nemmeno avrebbe dovuto essere
prevista dall’articolo 9-bis della convenzione.
In quanto alla risoluzione del contratto, essa avrebbe meritato una
disciplina specifica alla luce delle previsioni contenute
nell’articolo 136 del d.lgs 163/2006, trasfusa oggi nelle
prescrizioni di cui all’articolo 108, commi 3 e seguenti, del d.lgs
50/2016.
Le norme citate prima intervengono in materia di risoluzione per
inadempimento (grave). Situazione sostanzialmente analoga a quella
della decadenza dalla concessione, che consegue, nell’ordinamento
amministrativo appunto ad un inadempimento così grave da non potersi
tollerare non solo la prosecuzione del rapporto civilistico sotteso
alla convenzione, ma la stessa perdurante efficacia del titolo
pubblicistico concessorio.
Nei fatti, comunque, la confusione estrema si sarebbe potuta evitare
regolando, nella convenzione con Aspi, semplicemente due istituti:
1. il recesso potestativo;
2. la risoluzione (o decadenza) per inadempimento.
Nel caso del recesso potestativo, non si pone alcun problema per la
presenza di una clausola che regoli la “multa penitenziale” a
carico della P.A. concedente. Il recesso, infatti, non è conseguenza
diretta e necessaria di inadempimenti, ma è un potere concesso dalla
legge o dal contratto (o da legge e contratto) ad una o ad entrambe
le parti, finalizzato a consentire la valutazione di opportunità di
interrompere un contratto di durata prima della scadenza prevista. In
questo caso, la multa penitenziale indennizza la parte che subisce il
recesso per il mancato guadagno.
L’articolo 9-bis della convenzione con Aspi prevede al comma 1 che
“il Concessionario avrà diritto, nel rispetto del
principio dell’affidamento, ad un indennizzo / risarcimento a
carico del Concedente in ogni caso di recesso,
revoca, risoluzione, anche
per inadempimento del Concedente, e/o comunque cessazione anticipata
del rapporto di Convenzione pur indotto da atti e/o fatti estranei
alla volontà del Concedente, anche di natura straordinaria
imprevedibile, ivi inclusi mutamenti sostanziali del quadro
legislativo o regolatorio”.
In grassetto sono evidenziate le parole che rendono particolarmente
complesso adottare un provvedimento finalizzato alla chiusura
anticipata della convenzione. Infatti, la convenzione considera
sussistente in capo ad Aspi sempre e comunque il diritto alla multa
penitenziale per qualsiasi ipotesi (in ogni caso)
che conduca all’adozione degli atti interruttivi della convenzione,
“anche” per inadempimento del Concedente. Ecco, quella
congiunzione “anche”, letta al contrario fa sottintendere che il
“risarcimento” ad Aspi spetti appunto “anche” se vi sia
inadempimento del Concessionario, cioè dell’Aspi stessa.
Questo potrebbe spiegare
l’inspiegabile, quello che il sito Bosetti e Gatti considera non a
torto una mostruosità giuridica: la circostanza, cioè, che
l’articolo 9 della convenzione assoggetti a multa penitenziale
anche la decadenza (che in realtà è la stessa cosa della
risoluzione per inadempimento grave).
Sembra che l’Anas, nello stipulare
la convenzione nel 2007 (quando era già in vigore il d.lgs 163/2006)
abbia considerato corretto applicare alle fattispecie di conclusione
anticipata della convenzione la sola previsione della risoluzione a
suo tempo disciplinata dall’articolo 158 del d.lgs 163/2006:
“1. Qualora il rapporto di concessione sia risolto per
inadempimento del soggetto concedente ovvero quest'ultimo
revochi la concessione per motivi di pubblico interesse,
sono rimborsati al concessionario:
a) il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al
netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l'opera non abbia
ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti
dal concessionario;
b) le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in
conseguenza della risoluzione;
c) un indennizzo, a titolo di risarcimento del mancato guadagno,
pari al 10 per cento del valore delle opere ancora da eseguire ovvero
della parte del servizio ancora da gestire valutata sulla base del
piano economico-finanziario.
2. Le somme di cui al comma 1 sono destinate prioritariamente al
soddisfacimento dei crediti dei finanziatori del concessionario e dei
titolari di titoli emessi ai sensi dell’articolo 157, limitatamente
alle obbligazioni emesse successivamente alla data di entrata in
vigore della presente disposizione e sono indisponibili da parte di
quest'ultimo fino al completo soddisfacimento di detti crediti”.
Come si nota, però, quell’articolo regolava l’ipotesi della
revoca (che in realtà era da considerare recesso potestativo) e
della risoluzione per fatto della PA concedente
e non per inadempimento grave del concessionario,
ipotesi, questa regolata, come visto sopra, dall’articolo
136
del d.lgs 163/2006. Il quale
disponeva:
“1. Quando il direttore dei
lavori accerta che comportamenti dell'appaltatore concretano grave
inadempimento alle obbligazioni di contratto tale da compromettere la
buona riuscita dei lavori, invia al responsabile del procedimento una
relazione particolareggiata, corredata dei documenti necessari,
indicando la stima dei lavori eseguiti regolarmente e che devono
essere accreditati all'appaltatore.
2. Su indicazione del responsabile del procedimento il direttore
dei lavori formula la contestazione degli addebiti all'appaltatore,
assegnando un termine non inferiore a quindici giorni per la
presentazione delle proprie controdeduzioni al responsabile del
procedimento.
3. Acquisite e valutate negativamente le predette controdeduzioni,
ovvero scaduto il termine senza che l'appaltatore abbia risposto, la
stazione appaltante su proposta del responsabile del procedimento
dispone la risoluzione del contratto.
4. Qualora, al fuori dei precedenti casi, l'esecuzione dei lavori
ritardi per negligenza dell'appaltatore rispetto alle previsioni del
programma, il direttore dei lavori gli assegna un termine, che, salvo
i casi d'urgenza, non può essere inferiore a dieci giorni, per
compiere i lavori in ritardo, e dà inoltre le prescrizioni ritenute
necessarie. Il termine decorre dal giorno di ricevimento della
comunicazione.
5. Scaduto il termine assegnato, il direttore dei lavori verifica,
in contraddittorio con l'appaltatore, o, in sua mancanza, con la
assistenza di due testimoni, gli effetti dell'intimazione impartita,
e ne compila processo verbale da trasmettere al responsabile del
procedimento.
6. Sulla base del processo verbale, qualora l'inadempimento
permanga, la stazione appaltante, su proposta del responsabile del
procedimento, delibera la risoluzione del contratto”.
Come si nota, questa disposizione non prevedeva alcuna multa
penitenziale o indennizzo o risarcimento a carico della PA
concedente.
Cosa dispone, oggi, l’articolo 108, commi 3 e seguenti, in tema di
risoluzione?
“3. Il direttore dei lavori o il responsabile dell'esecuzione
del contratto, se nominato, quando accerta un grave
inadempimento alle obbligazioni contrattuali da parte
dell'appaltatore, tale da comprometterne la buona riuscita delle
prestazioni, invia al responsabile del procedimento una relazione
particolareggiata, corredata dei documenti necessari, indicando la
stima dei lavori eseguiti regolarmente, il cui importo può essere
riconosciuto all'appaltatore. Egli formula, altresì, la
contestazione degli addebiti all'appaltatore, assegnando un termine
non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle proprie
controdeduzioni al responsabile del procedimento. Acquisite e
valutate negativamente le predette controdeduzioni, ovvero scaduto il
termine senza che l'appaltatore abbia risposto, la stazione
appaltante su proposta del responsabile del procedimento dichiara
risolto il contratto.
4. Qualora, al di fuori di quanto previsto al comma 3,
l'esecuzione delle prestazioni ritardi per negligenza
dell'appaltatore rispetto alle previsioni del contratto, il direttore
dei lavori o il responsabile unico dell'esecuzione del contratto, se
nominato gli assegna un termine, che, salvo i casi d'urgenza, non può
essere inferiore a dieci giorni, entro i quali l'appaltatore deve
eseguire le prestazioni. Scaduto il termine assegnato, e redatto
processo verbale in contraddittorio con l'appaltatore, qualora
l'inadempimento permanga, la stazione appaltante risolve il
contratto, fermo restando il pagamento delle penali.
5. Nel caso di risoluzione del contratto l'appaltatore ha
diritto soltanto al pagamento delle prestazioni relative ai lavori,
servizi o forniture regolarmente eseguiti, decurtato degli oneri
aggiuntivi derivanti dallo scioglimento del contratto.
6. Il responsabile unico del procedimento nel comunicare
all'appaltatore la determinazione di risoluzione del contratto,
dispone, con preavviso di venti giorni, che il direttore dei lavori
curi la redazione dello stato di consistenza dei lavori già
eseguiti, l'inventario di materiali, macchine e mezzi d'opera e la
relativa presa in consegna.
7. Qualora sia stato nominato, l'organo di collaudo procede a
redigere, acquisito lo stato di consistenza, un verbale di
accertamento tecnico e contabile con le modalità di cui al presente
codice. Con il verbale è accertata la corrispondenza tra quanto
eseguito fino alla risoluzione del contratto e ammesso in contabilità
e quanto previsto nel progetto approvato nonché nelle eventuali
perizie di variante; è altresì accertata la presenza di eventuali
opere, riportate nello stato di consistenza, ma non previste nel
progetto approvato nonché nelle eventuali perizie di variante.
8. Nei casi di cui ai commi 2 e 3, in sede di liquidazione finale
dei lavori, servizi o forniture riferita all'appalto risolto, l'onere
da porre a carico dell'appaltatore è determinato anche in relazione
alla maggiore spesa sostenuta per affidare ad altra impresa i lavori
ove la stazione appaltante non si sia avvalsa della facoltà prevista
dall'articolo 110, comma 1.
9. Nei casi di risoluzione del contratto di appalto dichiarata
dalla stazione appaltante l'appaltatore deve provvedere al
ripiegamento dei cantieri già allestiti e allo sgombero delle aree
di lavoro e relative pertinenze nel termine a tale fine assegnato
dalla stessa stazione appaltante; in caso di mancato rispetto del
termine assegnato, la stazione appaltante provvede d'ufficio
addebitando all'appaltatore i relativi oneri e spese. La stazione
appaltante, in alternativa all'esecuzione di eventuali provvedimenti
giurisdizionali cautelari, possessori o d'urgenza comunque denominati
che inibiscano o ritardino il ripiegamento dei cantieri o lo sgombero
delle aree di lavoro e relative pertinenze, può depositare cauzione
in conto vincolato a favore dell'appaltatore o prestare fideiussione
bancaria o polizza assicurativa con le modalità di cui all'articolo
93, pari all'uno per cento del valore del contratto. Resta fermo il
diritto dell'appaltatore di agire per il risarcimento dei danni”.
Dunque, l’ipotesi legale della risoluzione per grave inadempimento
lungi dal prevedere “risarcimenti” in favore del privato, si
limita ad assicurare solo il pagamento per le prestazioni svolte fino
alla risoluzione stessa.
Ma, il nuovo codice dei contratti contiene una regolamentazione
specifica proprio per la cessazione anticipata delle concessioni per
il caso di inadempimento del concessionario, nell’articolo 176,
comma 4, ove si prescrive: “Qualora la concessione sia risolta
per inadempimento del concessionario trova applicazione l'articolo
1453 del codice civile”.
Anche in questo caso, non si prevede alcuna multa penitenziale a
carico della PA e a beneficio del concessionari, anche perché ai
sensi del comma 1 dell’articolo 1453 del codice civile “Nei
contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti
non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere
l'adempimento o la risoluzione del contratto,
salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”:
è la parte che sceglie di risolvere il contratto a poter vantare un
ristoro, consistente nel risarcimento del danno.
In conclusione, fermo restando che occorre dimostrare la assoluta
imputabilità del crollo al concessionario, nelle forme, modi e tempi
previsti, non pare vi sia alcun dubbio che i contenuti degli articoli
9 e 9-bis della convenzione tra Anas e Aspi siano affette da
notevolissimi vizi, ponendo a carico dello Stato sempre e comunque
oneri da multa penitenziale, anche quando vi sia inadempimento
(previa opportuna ed ampia dimostrazione) del concessionario.
Gli articoli 9 e 9-bis, per le parti relative alla decadenza ed alla
risoluzione, paiono (nella estrema confusione contenutistica)
sovvertire i principi giuridici ed economici di tutela dei negozi
giuridici, ponendo il soggetto che inadempie in maniera grave agli
obblighi nella condizione di ottenere comunque un guadagno
ragguardevole (per quanto, le decurtazioni nel caso della decadenza
potrebbero essere così rilevanti da azzerare quasi la multa
penitenziale).
E’ evidente che se e quando lo Stato pronuncerà la decadenza e
laddove, per propria tutela, l’Aspi si rivolgerà al giudice
amministrativo, la questione della stessa nullità di clausole come
quelle contenute negli articoli 9 e 9-bis non potrà non porsi.
Nel frattempo, resterà irrisolvibile il mistero della leggerezza con
la quale simili clausole abbiano potuto essere inserire in una
convenzione di questa importanza e portata economica.
_________
1Art.
109. (Recesso)
1. Fermo restando quanto previsto dagli
articoli 88, comma 4-ter, e 92, comma 4, del decreto legislativo 6
settembre 2011, n. 159, la stazione appaltante può recedere dal
contratto in qualunque momento previo il pagamento dei lavori
eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alle forniture
eseguiti nonché del valore dei materiali utili esistenti in
cantiere nel caso di lavoro o in magazzino nel caso di servizi o
forniture, oltre al decimo dell'importo delle opere, dei servizi o
delle forniture non eseguite.
2. Il decimo dell'importo delle opere non
eseguite è calcolato sulla differenza tra l'importo dei quattro
quinti del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d'asta
e l'ammontare netto dei lavori, servizi o forniture eseguiti.
3. L'esercizio del diritto di recesso è
preceduto da una formale comunicazione all'appaltatore da darsi con
un preavviso non inferiore a venti giorni, decorsi i quali la
stazione appaltante prende in consegna i lavori, servizi o forniture
ed effettua il collaudo definitivo e verifica la regolarità dei
servizi e delle forniture.
4. I materiali, il cui valore è riconosciuto
dalla stazione appaltante a norma del comma 1, sono soltanto quelli
già accettati dal direttore dei lavori o dal direttore
dell'esecuzione del contratto, se nominato, o dal RUP in sua
assenza, prima della comunicazione del preavviso di cui al comma 3.
5. La stazione appaltante può trattenere le
opere provvisionali e gli impianti che non siano in tutto o in parte
asportabili ove li ritenga ancora utilizzabili. In tal caso essa
corrisponde all'appaltatore, per il valore delle opere e degli
impianti non ammortizzato nel corso dei lavori eseguiti, un compenso
da determinare nella minor somma fra il costo di costruzione e il
valore delle opere e degli impianti al momento dello scioglimento
del contratto.
6. L'appaltatore deve rimuovere dai magazzini
e dai cantieri i materiali non accettati dal direttore dei lavori e
deve mettere i magazzini e i cantieri a disposizione della stazione
appaltante nel termine stabilito; in caso contrario lo sgombero è
effettuato d'ufficio e a sue spese.
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