lunedì 20 agosto 2018

Recesso, risoluzione revoca e indennizzi: gli assurdi articoli 9 e 9-bis della concessione ad Aspi



Come sempre, il sito gestito da Bosetti&Gatti è capace di riassumere in pochissime parole quanto chi scrive ha provato a spiegare con ben altro dispendio di pixel: le differenze tra decadenza, revoca, recesso e risoluzione.
Ecco cosa afferma il sito www.bosettiebgatti.eu: “Continua la serie, iniziata negli anni novanta, dei governi tutti chiacchiere e distintivo. Ai due vicepresidenti del consiglio, in quanto furbi ma sprovveduti, si può perdonare quasi tutto, al loro autista capo del governo, avvocato, non si può perdonare la confusione tra revoca, risoluzione, decadenza della concessione. Qui la convenzione tra ANAS e Autostrade per l'Italia. Si vedano i commi 1 e 2 dell'articolo 9-bis: al concessionario spetta l'indennizzo (i famosi 15 o 20 miliardi di euro di cui parlano i media) in ogni caso di revoca e di risoluzione. La clausola sarebbe (quasi) corretta se fosse riferita, oltre che alla revoca, alla RISOLUZIONE PER FATTO IMPUTABILE AL CONCEDENTE mentre non trova giustificazioni nel caso di RISOLUZIONE PER FATTO DEL CONCESSIONARIO (come dovrebbe essere, ferme restando le garanzie procedimentali, nel caso di Genova). Aver previsto nel risarcimento anche il cosiddetto lucro cessante o mancato utile per la RISOLUZIONE TOUT COURT (quindi anche per fatto imputabile al concessionario) è la trappola in cui si è infilata ANAS con la stipula della convenzione, ma è anche una mostruosità giuridica. Se una simile clausola fosse introdotta oggi in un contratto di concessione il responsabile dell'amministrazione concedente sarebbe arrestato e la chiave della cella buttata nel cratere dell'Etna. Infine (comma 5): «...l'efficacia del recesso, revoca, risoluzione e comunque di cessazione anticipata ...è sottoposta alla condizione del pagamento da parte del Concedente al Concessionario di tutte le somme previste nel presente articolo»; quindi prima si paga, poi se si può, si revoca, si recede, si risolve...”.
Senza minimamente entrare nel merito di una vicenda estremamente complicata, che richiede istruttorie amministrative molto profonde e precise (se non si possono aspettare “i tempi della giustizia” è doveroso agire con cautela, professionalità, ponderazione ed equilibrio e non in modo arbitrario), ciò che va stigmatizzato è proprio il contenuto della convenzione e, in particolare, la confusione estrema che essa denota nel regolare gli istituti di decadenza, revoca, recesso e risoluzione. Il primo, la decadenza, disciplinato dall’articolo 9; gli altri, cumulativamente e senza distinzione, nell’articolo 9-bis.
Lo comprende chiunque come sia segno di poca attenzione regolamentare con un’unica disposizione tre istituti (revoca, recesso e risoluzione) tra loro profondamente diversi.
Senza considerare che, a ben vedere, come ha spiegato l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 20 giugno 2014, n. 14, una volta stipulato il contratto di appalto, in realtà il potere di revoca – strettamente connesso ai rapporti amministrativi e non negoziali – non sia più utilizzabile. La revoca, infatti, dovrebbe riguardare l’atto di concessione, non la sua regolazione mediante la convenzione. Semmai, le convenzioni regolanti le concessioni debbono regolamentare il diritto potestativo di recesso di natura privatistica, riconosciutole dal previgente articolo 134 del d.lgs 163/2006 e oggi dall’articolo 109 del d.lgs 50/20161. L’ipotesi della revoca, dunque, nemmeno avrebbe dovuto essere prevista dall’articolo 9-bis della convenzione.
In quanto alla risoluzione del contratto, essa avrebbe meritato una disciplina specifica alla luce delle previsioni contenute nell’articolo 136 del d.lgs 163/2006, trasfusa oggi nelle prescrizioni di cui all’articolo 108, commi 3 e seguenti, del d.lgs 50/2016.
Le norme citate prima intervengono in materia di risoluzione per inadempimento (grave). Situazione sostanzialmente analoga a quella della decadenza dalla concessione, che consegue, nell’ordinamento amministrativo appunto ad un inadempimento così grave da non potersi tollerare non solo la prosecuzione del rapporto civilistico sotteso alla convenzione, ma la stessa perdurante efficacia del titolo pubblicistico concessorio.
Nei fatti, comunque, la confusione estrema si sarebbe potuta evitare regolando, nella convenzione con Aspi, semplicemente due istituti:
1. il recesso potestativo;
2. la risoluzione (o decadenza) per inadempimento.
Nel caso del recesso potestativo, non si pone alcun problema per la presenza di una clausola che regoli la “multa penitenziale” a carico della P.A. concedente. Il recesso, infatti, non è conseguenza diretta e necessaria di inadempimenti, ma è un potere concesso dalla legge o dal contratto (o da legge e contratto) ad una o ad entrambe le parti, finalizzato a consentire la valutazione di opportunità di interrompere un contratto di durata prima della scadenza prevista. In questo caso, la multa penitenziale indennizza la parte che subisce il recesso per il mancato guadagno.
L’articolo 9-bis della convenzione con Aspi prevede al comma 1 che “il Concessionario avrà diritto, nel rispetto del principio dell’affidamento, ad un indennizzo / risarcimento a carico del Concedente in ogni caso di recesso, revoca, risoluzione, anche per inadempimento del Concedente, e/o comunque cessazione anticipata del rapporto di Convenzione pur indotto da atti e/o fatti estranei alla volontà del Concedente, anche di natura straordinaria imprevedibile, ivi inclusi mutamenti sostanziali del quadro legislativo o regolatorio”.
In grassetto sono evidenziate le parole che rendono particolarmente complesso adottare un provvedimento finalizzato alla chiusura anticipata della convenzione. Infatti, la convenzione considera sussistente in capo ad Aspi sempre e comunque il diritto alla multa penitenziale per qualsiasi ipotesi (in ogni caso) che conduca all’adozione degli atti interruttivi della convenzione, “anche” per inadempimento del Concedente. Ecco, quella congiunzione “anche”, letta al contrario fa sottintendere che il “risarcimento” ad Aspi spetti appunto “anche” se vi sia inadempimento del Concessionario, cioè dell’Aspi stessa.
Questo potrebbe spiegare l’inspiegabile, quello che il sito Bosetti e Gatti considera non a torto una mostruosità giuridica: la circostanza, cioè, che l’articolo 9 della convenzione assoggetti a multa penitenziale anche la decadenza (che in realtà è la stessa cosa della risoluzione per inadempimento grave).
Sembra che l’Anas, nello stipulare la convenzione nel 2007 (quando era già in vigore il d.lgs 163/2006) abbia considerato corretto applicare alle fattispecie di conclusione anticipata della convenzione la sola previsione della risoluzione a suo tempo disciplinata dall’articolo 158 del d.lgs 163/2006:
1. Qualora il rapporto di concessione sia risolto per inadempimento del soggetto concedente ovvero quest'ultimo revochi la concessione per motivi di pubblico interesse, sono rimborsati al concessionario:
a) il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l'opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario;
b) le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione;
c) un indennizzo, a titolo di risarcimento del mancato guadagno, pari al 10 per cento del valore delle opere ancora da eseguire ovvero della parte del servizio ancora da gestire valutata sulla base del piano economico-finanziario.
2. Le somme di cui al comma 1 sono destinate prioritariamente al soddisfacimento dei crediti dei finanziatori del concessionario e dei titolari di titoli emessi ai sensi dell’articolo 157, limitatamente alle obbligazioni emesse successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione e sono indisponibili da parte di quest'ultimo fino al completo soddisfacimento di detti crediti”.
Come si nota, però, quell’articolo regolava l’ipotesi della revoca (che in realtà era da considerare recesso potestativo) e della risoluzione per fatto della PA concedente e non per inadempimento grave del concessionario, ipotesi, questa regolata, come visto sopra, dall’articolo 136 del d.lgs 163/2006. Il quale disponeva:
1. Quando il direttore dei lavori accerta che comportamenti dell'appaltatore concretano grave inadempimento alle obbligazioni di contratto tale da compromettere la buona riuscita dei lavori, invia al responsabile del procedimento una relazione particolareggiata, corredata dei documenti necessari, indicando la stima dei lavori eseguiti regolarmente e che devono essere accreditati all'appaltatore.
2. Su indicazione del responsabile del procedimento il direttore dei lavori formula la contestazione degli addebiti all'appaltatore, assegnando un termine non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle proprie controdeduzioni al responsabile del procedimento.
3. Acquisite e valutate negativamente le predette controdeduzioni, ovvero scaduto il termine senza che l'appaltatore abbia risposto, la stazione appaltante su proposta del responsabile del procedimento dispone la risoluzione del contratto.
4. Qualora, al fuori dei precedenti casi, l'esecuzione dei lavori ritardi per negligenza dell'appaltatore rispetto alle previsioni del programma, il direttore dei lavori gli assegna un termine, che, salvo i casi d'urgenza, non può essere inferiore a dieci giorni, per compiere i lavori in ritardo, e dà inoltre le prescrizioni ritenute necessarie. Il termine decorre dal giorno di ricevimento della comunicazione.
5. Scaduto il termine assegnato, il direttore dei lavori verifica, in contraddittorio con l'appaltatore, o, in sua mancanza, con la assistenza di due testimoni, gli effetti dell'intimazione impartita, e ne compila processo verbale da trasmettere al responsabile del procedimento.
6. Sulla base del processo verbale, qualora l'inadempimento permanga, la stazione appaltante, su proposta del responsabile del procedimento, delibera la risoluzione del contratto”.
Come si nota, questa disposizione non prevedeva alcuna multa penitenziale o indennizzo o risarcimento a carico della PA concedente.
Cosa dispone, oggi, l’articolo 108, commi 3 e seguenti, in tema di risoluzione?
3. Il direttore dei lavori o il responsabile dell'esecuzione del contratto, se nominato, quando accerta un grave inadempimento alle obbligazioni contrattuali da parte dell'appaltatore, tale da comprometterne la buona riuscita delle prestazioni, invia al responsabile del procedimento una relazione particolareggiata, corredata dei documenti necessari, indicando la stima dei lavori eseguiti regolarmente, il cui importo può essere riconosciuto all'appaltatore. Egli formula, altresì, la contestazione degli addebiti all'appaltatore, assegnando un termine non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle proprie controdeduzioni al responsabile del procedimento. Acquisite e valutate negativamente le predette controdeduzioni, ovvero scaduto il termine senza che l'appaltatore abbia risposto, la stazione appaltante su proposta del responsabile del procedimento dichiara risolto il contratto.
4. Qualora, al di fuori di quanto previsto al comma 3, l'esecuzione delle prestazioni ritardi per negligenza dell'appaltatore rispetto alle previsioni del contratto, il direttore dei lavori o il responsabile unico dell'esecuzione del contratto, se nominato gli assegna un termine, che, salvo i casi d'urgenza, non può essere inferiore a dieci giorni, entro i quali l'appaltatore deve eseguire le prestazioni. Scaduto il termine assegnato, e redatto processo verbale in contraddittorio con l'appaltatore, qualora l'inadempimento permanga, la stazione appaltante risolve il contratto, fermo restando il pagamento delle penali.
5. Nel caso di risoluzione del contratto l'appaltatore ha diritto soltanto al pagamento delle prestazioni relative ai lavori, servizi o forniture regolarmente eseguiti, decurtato degli oneri aggiuntivi derivanti dallo scioglimento del contratto.
6. Il responsabile unico del procedimento nel comunicare all'appaltatore la determinazione di risoluzione del contratto, dispone, con preavviso di venti giorni, che il direttore dei lavori curi la redazione dello stato di consistenza dei lavori già eseguiti, l'inventario di materiali, macchine e mezzi d'opera e la relativa presa in consegna.
7. Qualora sia stato nominato, l'organo di collaudo procede a redigere, acquisito lo stato di consistenza, un verbale di accertamento tecnico e contabile con le modalità di cui al presente codice. Con il verbale è accertata la corrispondenza tra quanto eseguito fino alla risoluzione del contratto e ammesso in contabilità e quanto previsto nel progetto approvato nonché nelle eventuali perizie di variante; è altresì accertata la presenza di eventuali opere, riportate nello stato di consistenza, ma non previste nel progetto approvato nonché nelle eventuali perizie di variante.
8. Nei casi di cui ai commi 2 e 3, in sede di liquidazione finale dei lavori, servizi o forniture riferita all'appalto risolto, l'onere da porre a carico dell'appaltatore è determinato anche in relazione alla maggiore spesa sostenuta per affidare ad altra impresa i lavori ove la stazione appaltante non si sia avvalsa della facoltà prevista dall'articolo 110, comma 1.
9. Nei casi di risoluzione del contratto di appalto dichiarata dalla stazione appaltante l'appaltatore deve provvedere al ripiegamento dei cantieri già allestiti e allo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze nel termine a tale fine assegnato dalla stessa stazione appaltante; in caso di mancato rispetto del termine assegnato, la stazione appaltante provvede d'ufficio addebitando all'appaltatore i relativi oneri e spese. La stazione appaltante, in alternativa all'esecuzione di eventuali provvedimenti giurisdizionali cautelari, possessori o d'urgenza comunque denominati che inibiscano o ritardino il ripiegamento dei cantieri o lo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze, può depositare cauzione in conto vincolato a favore dell'appaltatore o prestare fideiussione bancaria o polizza assicurativa con le modalità di cui all'articolo 93, pari all'uno per cento del valore del contratto. Resta fermo il diritto dell'appaltatore di agire per il risarcimento dei danni”.
Dunque, l’ipotesi legale della risoluzione per grave inadempimento lungi dal prevedere “risarcimenti” in favore del privato, si limita ad assicurare solo il pagamento per le prestazioni svolte fino alla risoluzione stessa.
Ma, il nuovo codice dei contratti contiene una regolamentazione specifica proprio per la cessazione anticipata delle concessioni per il caso di inadempimento del concessionario, nell’articolo 176, comma 4, ove si prescrive: “Qualora la concessione sia risolta per inadempimento del concessionario trova applicazione l'articolo 1453 del codice civile”.
Anche in questo caso, non si prevede alcuna multa penitenziale a carico della PA e a beneficio del concessionari, anche perché ai sensi del comma 1 dell’articolo 1453 del codice civile “Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”: è la parte che sceglie di risolvere il contratto a poter vantare un ristoro, consistente nel risarcimento del danno.
In conclusione, fermo restando che occorre dimostrare la assoluta imputabilità del crollo al concessionario, nelle forme, modi e tempi previsti, non pare vi sia alcun dubbio che i contenuti degli articoli 9 e 9-bis della convenzione tra Anas e Aspi siano affette da notevolissimi vizi, ponendo a carico dello Stato sempre e comunque oneri da multa penitenziale, anche quando vi sia inadempimento (previa opportuna ed ampia dimostrazione) del concessionario.
Gli articoli 9 e 9-bis, per le parti relative alla decadenza ed alla risoluzione, paiono (nella estrema confusione contenutistica) sovvertire i principi giuridici ed economici di tutela dei negozi giuridici, ponendo il soggetto che inadempie in maniera grave agli obblighi nella condizione di ottenere comunque un guadagno ragguardevole (per quanto, le decurtazioni nel caso della decadenza potrebbero essere così rilevanti da azzerare quasi la multa penitenziale).
E’ evidente che se e quando lo Stato pronuncerà la decadenza e laddove, per propria tutela, l’Aspi si rivolgerà al giudice amministrativo, la questione della stessa nullità di clausole come quelle contenute negli articoli 9 e 9-bis non potrà non porsi.
Nel frattempo, resterà irrisolvibile il mistero della leggerezza con la quale simili clausole abbiano potuto essere inserire in una convenzione di questa importanza e portata economica.

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1Art. 109. (Recesso)
1. Fermo restando quanto previsto dagli articoli 88, comma 4-ter, e 92, comma 4, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, la stazione appaltante può recedere dal contratto in qualunque momento previo il pagamento dei lavori eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alle forniture eseguiti nonché del valore dei materiali utili esistenti in cantiere nel caso di lavoro o in magazzino nel caso di servizi o forniture, oltre al decimo dell'importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite.
2. Il decimo dell'importo delle opere non eseguite è calcolato sulla differenza tra l'importo dei quattro quinti del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d'asta e l'ammontare netto dei lavori, servizi o forniture eseguiti.
3. L'esercizio del diritto di recesso è preceduto da una formale comunicazione all'appaltatore da darsi con un preavviso non inferiore a venti giorni, decorsi i quali la stazione appaltante prende in consegna i lavori, servizi o forniture ed effettua il collaudo definitivo e verifica la regolarità dei servizi e delle forniture.
4. I materiali, il cui valore è riconosciuto dalla stazione appaltante a norma del comma 1, sono soltanto quelli già accettati dal direttore dei lavori o dal direttore dell'esecuzione del contratto, se nominato, o dal RUP in sua assenza, prima della comunicazione del preavviso di cui al comma 3.
5. La stazione appaltante può trattenere le opere provvisionali e gli impianti che non siano in tutto o in parte asportabili ove li ritenga ancora utilizzabili. In tal caso essa corrisponde all'appaltatore, per il valore delle opere e degli impianti non ammortizzato nel corso dei lavori eseguiti, un compenso da determinare nella minor somma fra il costo di costruzione e il valore delle opere e degli impianti al momento dello scioglimento del contratto.
6. L'appaltatore deve rimuovere dai magazzini e dai cantieri i materiali non accettati dal direttore dei lavori e deve mettere i magazzini e i cantieri a disposizione della stazione appaltante nel termine stabilito; in caso contrario lo sgombero è effettuato d'ufficio e a sue spese.

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