E’ ancora in voga, in dottrina,
giurisprudenza e tra gli operatori, la teoria secondo la quale gli incarichi a
dirigenti esterni regolati dall’articolo 110 del d.lgs 267/2000 abbiano ancora
carattere “fiduciario”.
Per questa ragione, gran parte
degli avvisi pubblici prevedono la costruzione di una procedura sui generis,
che lascia alla fine al sindaco la possibilità di pronunciarsi definitivamente
e in modo totalmente discrezionale sulla persona alla quale affidare l’incarico.
In sostanza, quindi, la
procedura fissata dal comma 1 dell’articolo 110 consisterebbe esclusivamente in
un avviso pubblico finalizzato a costruire una rosa o lista breve di candidati
aventi tutti pari requisiti, tra i quali il sindaco potrebbe liberamente scegliere
per via fiduciaria.
Questa visione è erronea e in
conflitto plateale con le regole vigenti poste a presidio dell’assegnazione di
incarichi dirigenziali a contratto.
Il primo errore di tale
impostazione, intanto, consiste nel considerare l’articolo 110 del d.lgs
267/2000 quale fonte autonoma ed a sé stante di disciplina della fattispecie
degli incarichi a contratto.
Non è così. Per attribuire
incarichi dirigenziali a contratto, gli enti locali sono obbligati, a pena di
illegittimità, ad applicare anche le disposizioni contenute nell’articolo 19,
comma 6, del d.lgs 165/2001. Infatti, il comma 6-ter del medesimo articolo 19
dispone che “Il comma 6 ed il comma 6-bis
si applicano alle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2”: tali
amministrazioni sono “le amministrazioni
dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le
istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento
autonomo, le Regioni, le Province, i
Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni
universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti
pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le
aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la
rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di
cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 […]”.
Dunque, è necessario applicare,
ai fini degli incarichi a contratto, la combinazione di quanto prevedono gli
articoli 110, comma 1, del d.lgs 267/2000 e l’articolo 19, comma 6, del d.lgs
165/2001.
Partiamo da quest’ultimo. Esso è
fondamentale perché fissa i requisiti soggettivi che debbono essere posseduti
dai destinatari degli incarichi a contratto, ovvero “persone di particolare e
comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli
dell'Amministrazione”:
1)
che abbiano svolto attività in organismi ed enti
pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita
per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali;
2)
o che abbiano conseguito una particolare
specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla
formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e
da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche
presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli
incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza;
3)
o che provengano dai settori della ricerca,
della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e
procuratori dello Stato.
Sul punto è da ricordare quanto
precisa La sentenza della Cassazione, Sezioni Unite Civili 9 ottobre 2018, n.
29081, la quale sottolinea come l’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 ai
fini dell’assegnazione degli incarichi a contratto pone un importante limite
“oggettivo”: detti incarichi possono essere attribuiti solo “a persone in
possesso di un’elevatissima professionalità”. Il che mette in serissima
discussione la legittimità di scelte adottate in particolare dagli enti locali
di attribuire incarichi a contratto senza attenersi alle condizioni oggettive
imposte dall’articolo 19, comma 6.
Sicuramente non basta possedere
una certa anzianità di servizio in attività lavorativa svolta in qualifiche
immediatamente precedenti a quella dirigenziale. Occorrono esperienza dirigenziale
in settori privati, o in alternativa titoli accademici postuniversitari accompagnati
da pubblicazioni scientifiche, oppure essere ricercatori o professori universitari,
o magistrati o avvocati e procuratori dello Stato. Sono questi i presupposti
per quella “elevatissima” professionalità che consente alla pubblica
amministrazione di selezionare i dirigenti a contratto non mediante vero e
proprio concorso, ma con una selezione più flessibile: i destinatari della
selezione, infatti, debbono disporre di un curriculum che evidenzi già il
possesso di esperienze concrete che dimostrino la professionalità propria di un
dirigente. Utilizzare gli incarichi a contratto per far compiere una
progressione verticale a soggetti privi dei requisiti soggettivi imposti dalla
norma è semplicemente illegittimo.
Ma, l’articolo 19, comma 6,
fornisce altre due fondamentali indicazioni:
1)
l’incarico può essere conferito a soggetti
esterni a condizione che la correlata professionalità sia “non rinvenibile nei
ruoli dell'Amministrazione”: occorre, quindi, dimostrare concretamente, con una
procedura che preceda la selezione, l’assenza totale nei ruoli di persone
aventi la professionalità necessari;
2)
gli “incarichi sono conferiti, fornendone esplicita motivazione”.
Questa seconda sarebbe per se
stessa già dirimente per escludere radicalmente qualsiasi scelta fiduciaria. L’organo
di governo, nel caso degli enti locali il sindaco, a differenza di quanto
prevedono la gran parte degli avvisi pubblici cui si è fatto cenno prima, non
possono in alcun modo scegliere l’incaricato in modo “discrezionale”, meglio
dire arbitrario o “fiduciario”, per la semplice ragione che occorre spiegare la
ragione per la quale si sceglie uno invece che l’altro tra i candidati, sia che
si produca una “graduatoria” concorsuale, sia che si crei una rosa o una lista
breve.
Escludiamo, per semplicità, l’ipotesi
della creazione di una graduatoria vincolante, per accettare che la selezione sia
svolta senza i modi ed i termini di un concorso vero e proprio.
Accettiamo, quindi, che la
selezione sia volta a scegliere alcuni, poniamo anche solo tre, candidati tra
gli altri, in modo che poi il sindaco individui tra questi tre l’incaricato.
Ora, se la selezione svolta ai
fini della lista breve o rosa non è stata svolta in modo sommario e a sua volta
arbitrario, i componenti dell’organismo selettivo avranno dovuto valutare se i
candidati abbiano alternativamente o cumulativamente i requisiti minimi indicati dall’articolo 19, comma
6, del d.lgs 267/2000; ma, per sceglierne tre fra tanti, ovviamente l’organismo
selettivo si sarà dovuto dare un criterio di pesatura dei requisiti posseduti,
così da giungere alla conclusione che solo tre tra tanti sono quelli che possiedano
quei requisiti in modo pieno e più ampio rispetto agli altri.
Inevitabilmente, dunque, si crea
se non una graduatoria, comunque un ordine di priorità, che, sempre se il
lavoro compiuto non sia sommario ed arbitrario, riguarderà anche proprio i tre
selezionati della lista breve.
Fermiamoci un attimo. Cosa vuol
dire esattamente “selezione”? Questa parola proviene dal latino, selectionem, a sua volta derivato dal
participio passato selectus del verbo
seligo. Esso è composto di due
elementi: il prefisso -se, che indica separazione ed il verbo lego che significa scegliere. Dunque,
selezionare significa scegliere alcuni tra tanti.
Ora, il processo selettivo non è
he si fermi nel momento in cui un organismo abbia prodotto una rosa di nomi.
Anche il sindaco prosegue nella selezione, dovendo scegliere tra i tre quel
solo cui affidare l’incarico. Poiché la scelta deve essere motivata, come impone
l’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001, basarla solo sulla “fiducia” vuol
dire produrre un provvedimento illegittimo perché privo della necessaria
motivazione.
Ma, se l’organismo di
valutazione ha pesato la professionalità dei tre selezionati, il sindaco difficilmente
potrebbe motivare di scegliere tra i tre quelli che abbiano ricevuto una
pesatura inferiore a quella del terzo con maggiore valutazione, se non conduca
un’ulteriore e diversa istruttoria a tal fine. Ed è bene sottolineare che il colloquio,
variamente denominato “motivazionale” o con altro aggettivo, non può ovviamente
considerarsi decisivo ai fini di un’opera di pesatura che deve guardare alla
professionalità derivante dai requisiti imposti dalla legge e non certo e non
tanto su un elemento poco ponderabile (in una procedura selettiva retta da
vincoli normativi; non siamo parlando di strumenti di reclutamento di tipo
privato, ove le regole sono totalmente diverse) come un colloquio.
Allora, con questa chiave di
lettura necessaria la previsione dell’articolo 110, comma 1, del d.lgs 267/2000
che impone la selezione assume tutta una luce diversa: “Fermi restando ì requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, gli
incarichi a contratto di cui al presente comma sono conferiti previa selezione pubblica volta ad.
accertare, in capo ai soggetti interessati, il possesso di comprovata
esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle materie oggetto dell'
incarico”. La “selezione pubblica” deve spingersi fino all’individuazione
dell’incaricato, non può fermarsi un po’ prima per permettere al sindaco di
scegliere per motivi non esplicitabili, come la “fiducia”, parola nemmeno
minimamente menzionata dalla norma e concetto, del resto, in assoluto contrasto
non solo con il chiaro disposto normativo dell’articolo 19, comma 6, del d.lgs
165/2001, ma con ogni principio che regge l’agire pubblico, partendo dall’articolo
97 della Costituzione e passando per la legge 241/1990.
L'assunzione del dirigente a
contratto non può essere fiduciaria perché c'è una selezione pubblica da
spingere fino all’individuazione dell’incaricato e perché l'articolo 19, comma
6, del d.lgs 165/2001 impone la motivazione, incompatibile con a qualsiasi
accento fiduciario o con l’intuitu personae.
Secondo alcuni, tuttavia,
pregiudicherebbe questa conclusione la circostanza che gli incaricati ai sensi
dell’articolo 110 el Tuel non siano stabilizzabili, visto che molta
giurisprudenza, anche contabile, ritiene che tale impossibilità di stabilizzazione
sia da agganciare proprio al carattere fiduciario dell’incarico.
Ma, tale argomentazione è
erronea e da scartare. I dirigenti (ma anche i funzionari) incaricati a
contratto non sono stabilizzabili non perché siano scelti per via fiduciaria
(il che non è), bensì perché manca il presupposto stesso della stabilizzazione:
l'abuso nell'utilizzo del tempo determinato.
La stabilizzazione, infatti, è
giustificabile solo come rimedio ad un utilizzo improprio dei contratti di
lavoro flessibili da parte del datore di lavoro, cui consegua la “precarizzazione”
che con la stabilizzazione viene rimediata mediante un’assunzione a tempo
indeterminato.
Il presupposto di ogni stabilizzazione
è l’abuso della sottoscrizione col lavoratore di contratti a tempo determinato
per fare fronte a fabbisogni che, invece, sono manifestamente a tempo
indeterminato.
Tuttavia, nel caso degli incarichi
dirigenziali a contratto (ed anche nel caso degli incarichi nello staff degli
organi di governo ai sensi dell’articolo 90 del Tuel, per i quali elementi di
fiduciarietà, invece, sono molto più evidenti) non può mai esservi alcuna
precarizzazione, perché manca qualsiasi abuso delle correlate assunzioni a
tempo determinato: il comma 1 dell’articolo 110 del Tuel, infatti, considera
esattamente il tempo determinato come tipologia di contratto “tipica” per il
reclutamento dei dirigenti a contratto. Non può quindi essere un erroneo
utilizzo di contratti flessibili su fabbisogni stabili: il fabbisogno è
necessariamente a tempo determinato, perché a tempo determinato è la durata del
mandato elettorale alla quale la legge correla necessariamente l’incarico a contratto.
Pertanto, il personale assunto
con l’articolo 110 del Tuel è assolutamente conscio che si tratti di un
contratto flessibile, il cui impiego da parte del datore di lavoro non crea
alcuna precarizzazione; di conseguenza manca radicalmente ogni presupposto per
una successiva stabilizzazione, e questo non incide minimamente sull’assoluta
assenza di fiduciarietà connessa alle argomentazioni svolte sopra.
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