L’intervista rilasciata a Il Messaggero del 23 novembre 2018 dal
Ministro della Funzione Pubblica Giulia Bongiorno «Statali,
l`inefficienza punita come i piccoli reati»
è il compendio di tutto ciò che non serve per una vera e utile
riforma della pubblica amministrazione.
Si tratta di una mirabile sintesi di
25 anni di slogan frusti e triti, che hanno fin qui guidato ogni
pregresso intervento risoltosi, come dimostrato dai fatti,
sostanzialmente in un nulla di fatto.
Cominciamo dalla fine. Alla
domanda rivoltale dalla giornalista se le manchi il lavoro di
avvocato, il Ministro risponde: “Quando si fa la libera
professione tutti danno il massimo perché sono sul mercato ogni
giorno, nel pubblico no”.
Una risposta meravigliosamente
ambigua. Infatti, può essere letta:
a) nel senso che nel pubblico non si
è sul mercato ogni giorno; si tratterebbe di una lettura
sostanzialmente bonaria e di un’osservazione quasi pleonastica;
b) nel senso che nel pubblico,
siccome non si è sul mercato ogni giorno, tutti non danno il
massimo.
Ovviamente, il senso da dare è
quello dell’ipotesi b), che coincide con la teoria del
fannullonismo, professata in passato da Pietro Ichino ed ormai
transitata irrevocabilmente nella logica di ogni governo, nel
lessico, nell’atteggiamento e nelle norme, attente a parole a
semplificare e razionalizzare, ma nei fatti capaci solo di introdurre
sempre nuovi adempimenti e sanzioni, stringendo sempre di più
termini e modi del controllo di chi timbra, ma avendo pochissima
attenzione al punto essenziale: ciò che accade tra una timbratura e
l’altra.
Che l’ipotesi b) sia quella
corretta lo conferma l’inizio dell’intervista. La giornalista
osserva che “c'erano una volta i fannulloni”.
Il ministro ribatte: “Preferisco dire che accanto alle
eccellenze nella Pa ci sono dipendenti che non fanno il proprio
dovere con solerzia così come ci sono gli imboscati”.
Anche in questo caso è da ammirare
l’artificio retorico-dialettico. Come si nota, il Ministro non nega
affatto che vi siano fannulloni, ma utilizza una perifrasi che in
apparenza è finalizzata a lasciar intendere che nella PA non vi
siano solo fannulloni, ma sortisce il messaggio opposto.
Si tratta della figura retorica
della concessione: si concede un minimo di ragione al discorso che si
intende avversare, per poi affermare con maggior forza la propria
tesi.
In sostanza il Ministro “concede”
che possano esservi perfino nella pubblica amministrazione delle
“eccellenze”; ma queste, in quanto tali, non possono che essere
poche e sparute. Quindi, accanto alle poche eccellenze, ci sono
dipendenti (sottinteso: tanti, quasi tutti) che non fanno il proprio
dovere con solerzia così come ci sono gli imboscati”, perché
(frase finale dell’intervista, già
vista prima) non
stanno sul mercato e quindi non danno il massimo.
Fermiamoci un attimo. Non si può
che appoggiare qualsiasi tentativo di qualsiasi Ministro di rendere
più efficiente l’azione della PA. Tuttavia, deve essere
evidenziato che i tentativi di riforma dovrebbero partire da analisi
corrette, perché solo così gli obiettivi di correzione possono
avere qualche possibilità di raggiungimento. Se si parte dall’idea
che la PA non funziona perché non sta sul mercato, l’analisi
iniziale è totalmente fuori mira. La PA non può stare sul mercato
per definizione. Il modo per far entrare nel mercato i servizi resi
dalle pubbliche amministrazioni è uno solo: privatizzarli.
La privatizzazione, la riduzione
dello Stato alle sole funzioni giudiziaria, governo dell’economia,
difesa ed ordine pubblico, possono essere una soluzione coerente con
l’analisi.
Se, invece, si paragona la PA
all’agire aziendale nel mercato, e si pensa di riformare la PA
agendo sui dipendenti, considerandoli necessariamente fannulloni in
quanto lavorano fuori dal mercato, ma con una PA che continua ad
erogare servizi che non possono non essere al di fuori del mercato
stesso, si commette per l’ennesima volta lo stesso errore che ormai
si ripete da 30 anni di riforme infatti cadute nel vuoto.
Torniamo all’intervista. Come
risolverebbe, chiede l’intervistatrice, la situazione degli
“imboscati” (categoria ancora più fannullonesca dei fannulloni,
aggiungiamo noi)? “ purtroppo frequentemente le liste di
mobilità dei dipendenti in esubero vengono usate in modo distorto
come fossero scivoli verso il prepensionamento: di fronte ad un
ricollocamento si preferisce non rispondere continuando a percepire
1'80% dello stipendio. In futuro dopo due chiamate e due rifiuti
saranno licenziati”.
Una
risposta che lascia interdetti sotto diversi aspetti:
1. secondo il Ministro sarebbero
“imboscati” (aggettivo che sottende persone che si nascondono per
non compiere il loro dovere) i dipendenti pubblici iscritti nelle
liste di “mobilità” (sic.; ne parleremo tra poco). Ma, a Palazzo
Vidoni qualcuno ha informato il Ministro che questi dipendenti non
stanno lì per propria scelta di imboscarsi, bensì perché un ente
li ha messi in esubero per ragioni organizzative o finanziarie e che
in quella lista possono stare al massimo 24 mesi, in attesa di
un’eventuale ricollocazione, con stipendio ridotto all’80% e
successivo licenziamento in mancanza della ricollocazione? Imboscato,
come visto sopra, vuol dire altro, tutt’altro;
2. sarebbe bene che, pur nelle
necessarie semplificazioni giornalistiche, si utilizzasse un lessico
corretto. Le liste cui fa riferimento il Ministro non sono di
“mobilità”, liste che per altro non esistono più (salvo ormai
pochissimi ultimi strascichi) nemmeno nel lavoro privato. Sono liste
di “disponibilità”: tale è la qualificazione dell’istituto,
datagli dall’articolo 33 del d.lgs 165/2001;
3. l’utilizzo “distorto” di
lavoratori alle soglie del licenziamento come “scivolo” verso la
pensione è una pratica larghissimamente utilizzata nel privato. Nel
lavoro pubblico essa è sostanzialmente inesistente, perché ragioni
e presupposti per collocare i dipendenti in lista di disponibilità
sono estremamente stringenti e perché, poi, di fatto queste liste
sono quasi vuote. Anche qui, visto che a Palazzo Vidoni hanno
contezza della quantità di dipendenti inseriti nelle liste, non
sarebbe male che informassero debitamente il Ministro;
4. il Ministro afferma che vi
sarebbe l’abitudine, da parte del personale in disponibilità, di
non rispondere agli avviamenti verso altri enti, preferendo percepire
l’80% dello stipendio. Ribadiamolo: se entro 24 mesi il dipendente
in disponibilità non è ricollocato (secondo la complessa disciplina
dell’articolo 34-bis del d.lgs 165/2001), viene licenziato. Il
dipendente non ha alcuna ragione, né motivazione per rifiutare la
ricollocazione. Per altro, di recente la riforma Madia ha introdotto
il demansionamento: per facilitare una propria ricollocazione, un
dipendente in disponibilità può accettare di andare a lavorare in
profilo e mansione inferiori a quelle in cui è inquadrato. L’ideona
di licenziarlo dopo due rifiuti appare semplicemente accanimento. A
Palazzo Vidoni, piuttosto, dovrebbero sapere – e di questo
informare il Ministro – che nelle pubbliche amministrazioni è
fortissima l’abitudine di saltare a piè pari la procedura di
ricollocazione dei dipendenti in disponibilità. Non perché non
diano corso all’articolo 34-bis, ma in modo molto più subdolo:
appena hanno notizia che un dipendente, per caso, sia in
disponibilità inquadrato in profilo coincidente con quello che
intenderebbero coprire per concorso, improvvisamente quel concorso,
sempre urgente ed invocato a gran voce, non si indice più, in attesa
del decorso dei 24 mesi, così da poter agire, poi, a mani libere.
Proseguiamo
con gli altri slogan. Ci informa il Ministro che “con il ddl
Concretezza, in Senato, intanto introdurremo le impronte digitali:
addio ai furbetti del cartellino”. Ecco che torna la litania:
fannulloni e furbetti. Dopo il licenziamento in 30 giorni (che
nemmeno consente di istruire per tempo complesse pratiche nel caso di
comportamenti fraudolenti collettivi, come a San Remo) e
nell’impossibilità di introdurre un licenziamento in 30
minuti o 30 secondi, allora
si farà timbrare con le impronte digitali (ma senza maggiori oneri
per lo Stato: auguri).
Ma, attenzione, il Ministro
rilancia: “Con i prossimi interventi invece vogliamo
sburocratizzare la macchina amministrativa e iniziare a eliminare
tutti gli oneri amministrativi inutili”.
Giusto. Peccato che questa affermazione, in sé apparentemente
incontrovertibile e necessariamente condivisibile, nasconda un vizio
di analisi: parte, infatti, dall’idea che siano i dipendenti “la
burocrazia” che crea oneri amministrativi inutili. Purtroppo, il
90% degli oneri amministrativi inutili o ridondanti sono creati dal
Legislatore. Qualcuno a Palazzo Vidoni faccia conoscere al Ministro i
Principi contabili della contabilità degli enti locali, oppure
leggere a fondo le Linee Guida sugli appalti, per esempio il processo
di nomina dei commissari di gara. Sarebbe molto istruttivo, per
capire dove davvero risiedano gli oneri amministrativi e chi li
produce.
Infine, l’intervistatrice
sottolinea che il problema della Pa consiste nella motivazione dei
dipendenti. La risposta lascia ulteriormente interdetti: “per fare
entrare i migliori punto sui concorsi unici”. Ma, fino a prova
contraria, la motivazione riguarda il rapporto di lavoro già
costituito, non lo strumento di reclutamento. Per altro, vista
l’esperienza tutt’altro che efficiente e positiva
dell’accentramento degli appalti (vedi caso Consip e facility
management), non saremmo così sicuri che lo strumento del concorso
unico nazionale sia vincente, proprio no.
Da ultimo, il Ministro osserva: “poi
è importante modificare l’attuale sistema di valutazione,
inadeguato. Introdurremo valutazioni fatte da terzi e dai cittadini.
E poi stop ai premi a pioggia”.
Parole già sentite? Negli ultimi 30
anni per caso qualche inquilino di Palazzo Vidoni ha affermato che il
sistema di valutazione attuale sia adeguato? Idea: istituiamo
un’Agenzia, chiamandola, per esempio, Commissione Indipendente per
la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità! Come dite? Già
fatto, dal Ministro Brunetta, sotto la spinta di Pietro Ichino, con
commissari (di area di Ichino) che subito su dimisero, con
elaborazione di metodi di valutazione pari a zero e vita brevissima,
visto che è stata abolita dopo nemmeno 4 anni totalmente
improduttivi? Ma dai, su: riproviamoci. Anche perché si
introdurranno “valutazioni fatte da terzi e dai cittadini”. Ah,
aspetta: lo ha già previsto la riforma Madia. Ma sì: ci sarà lo
stop ai premi a pioggia. Vi sarà la siccità. Se la pioggia delle
riforme fuori mira cessasse, sì che qualche raggio di sole
illuminerebbe davvero la PA.
Caro Luigi, la situazione così com'é non va, è una vera schifezza, ma dobbiamo sperare che non cambi; con la Bongiorno (che può essere il miglior avvocato del mondo ma si sta rivelando il più inutile ministro) ogni cambiamento si preannuncia verso il peggio e farà rimpiangere la situazione attuale.
RispondiEliminaL'unico sollievo (e questo è paradossale) è che molto probabilmente, per fortuna, non se ne farà nulla e resteranno parole al vento (se "fannullone" è chi non fa nulla, come chiamare chi dice e non fa o, peggio ancora, chi fa ca**ate tanto da augurarsi che sia solo un più innocuo fannullone?)
"La PA non può stare sul mercato per definizione. Il modo per far entrare nel mercato i servizi resi dalle pubbliche amministrazioni è uno solo: privatizzarli."
RispondiEliminaSolo la prima frase è vera. Il mercato implica una pluralità di soggetti che offrono servizi e prodotti in concorrenza tra loro; ma non ci possono essere due soggetti che emettono le stesse carte di identità. I servizi della PA (salvo rare eccezioni) sono un monopolio naturale. Privatizzarli non li inserisce nel mercato, li trasforma da monopolio pubblico a monopolio privato. Con aumento dei costi (il privato deve anche guadagnarci) e nessuna garanzia di maggiore efficienza.
Per fare una mirata riforma bisogna aver lavorato in entrambe le realtà privato e P.A. o affidarsi a bravi e seri professionisti provenienti da entrambi i settori al fine di coniugare al meglio le esigenze. Si può essere anche p.a. impresa...ma x farlo bisogna metterci in condizione di farlo, con Consip ho iscritto la mia P.A. nel MEPA come impresa che vende i suoi servizi ad altri enti pubblici, ma siamo imbrigliati in un tariffario regionale, e per questa innovazione nessuno di noi ha ricevuto alcun riconoscimento e siamo gli unici in Italia ad aver fatto questa cosa e la sottoscritta e l'unica a vedere tutta la piattaforma acquisti a 360 gradi.... questo x concludere che a parole siamo tutti bravi ma sono i fatti quelli che contano e devono essere tangibili perché si rischia poi di avere come risultato finale non un branco di fannulloni ma un gruppo di persone che darebbero tanto ma sono completamente demotivate.
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