Su Il quotidiano degli enti locali l’articolo di V. Giannotti
“Contrordine della Corte dei conti sugli aumenti contrattuali:
senza legge vincolo alla sola produttività” commenta l’audizione
della magistratura contabile in Parlamento, relativa al disegno di
legge “concretezza”.
Come è noto, tale iniziativa legislativa contiene un’interpretazione
autentica dell’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2017, volta ad
eliminare gli sconquassi scatenati dall’articolo 67, comma 7, del
Ccnl 21.5.2018, che lo ha erroneamente
ed inopportunamente richiamato, come se il vincolo alla spesa per il
salario accessorio fosse riferito alla contrattazione nazionale
collettiva e non a quella decentrata.
L’articolo evidenzia che la Corte dei conti avrebbe virato di 180
gradi rispetto al chiarimento finalmente fornito con la deliberazione
19/2018 della Sezione Autonomie, sicché il differenziale della spesa
per progressioni orizzontali derivante dagli incrementi tabellari,
nonché il costo dell’indennità di 83,20 euro che scatterà dal
2019, sarebbe da escludere dal computo del tetto di spesa per il 2016
solo per 2018 (per le progressioni orizzontali) e per il 2019 (nel
caso degli 83,20 euro).
Ora, che chi ha sottoscritto il Ccnl inserendo l’improvvido
articolo 67, comma 7, abbia commesso un errore estremamente grave, le
cui conseguenze sono ancora presenti è oggettivo e palpabile. Ancor
più grave è che l’errore sia stato rimediato con lo strumento
debolissimo della dichiarazione congiunta n. 5, che ha scatenato,
come prevedibile, letture diametralmente opposte tra sezioni della
Corte dei conti, che hanno tenuto sotto scacco per tutta l’estate e
l’inizio d’autunno le amministrazioni, rendendo loro impossibile
quantificare con esattezza il fondo della contrattazione decentrata
(e tanti saluti alla semplificazione per costituire il fondo, pur
predicata dal d.lgs 75/2017).
Appare altrettanto grave, però, indulgere a dare valore di
interpretazione cogente ad un’audizione della Corte dei conti,
tendente a revisionare, in parte, il chiarimento, tardivo ed
insufficiente, fornito solo a fine ottobre sul tema.
La deliberazione 19/2018 della Sezione Autonomie ha espresso il
seguente principio di diritto: “Gli incrementi del Fondo risorse
decentrate previsti dall’art. 67, comma 2, lettere a) e b) del CCNL
Funzioni locali del 21 maggio 2018, in quanto derivanti da risorse
finanziarie definite a livello nazionale e previste nei quadri di
finanza pubblica, non sono assoggettati ai limiti di crescita dei
Fondi previsti dalle norme vigenti e, in particolare al limite
stabilito dall’art. 23, comma 2, del decreto legislativo n.
75/2017”. Nella delibera non si fa neanche lontanamente cenno a
quanto riferito dalla Corte nell’audzione in Parlalento.
Ora: l’ordinamento giuridico attribuisce (è auspicabile, non
ancora per molto, perché il sistema del controllo collaborativo
della magistratura contabile ha solo reso ancor più complicato il
quadro attuativo ed interpretativo) alla Corte dei conti una
competenza a fornire pareri su temi di finanza pubblica; questi
pareri si esprimono con deliberazioni delle competenti Sezioni.
Se la Corte dei conti ha da svolgere argomenti e valutazioni, la sede
per agire è quella. Un’audizione è un’audizione: non è un
parere, non è una sentenza, non ha nulla di cogente. E’ solo un
intervento volto a chiarire al Parlamento aspetti tecnici e di
opportunità di un disegno normativo. E come tale va letto e
commentato.
Non è corretto attribuire ad un’audizione alcun significato
ulteriore. Cogliere le contraddizioni interne all’operato della
magistratura contabile è corretto e doveroso, purtroppo. Ma leggere
l’audizione come una revisione della certificazione al contratto o
come un atto che contraddice l’unica pronuncia formale sul tema, la
delibera 19/2018 della Sezione Autonomie, no.
E’ compito dell’interprete leggere l’attualità ed i fatti
dando loro il corretto peso. Sicuramente l’audizione “fa notizia”
ed è giusto intervenire su quanto la Corte dei conti ha affermato.
Ma è assolutamente corretto e necessario ricordare a tutti che
l’audizione è priva di qualsiasi valore. Se la Corte dei conti
ritiene di rivedere l’orientamento formalmente espresso con la
deliberazione 19/2018, può naturalmente farlo, ma con un atto uguale
e contrario. L’interprete non deve dedurre da un’audizione questo
effetto.
Nel frattempo, si può auspicare che il Parlamento si affretti con
l’interpretazione autentica che ponga nel nulla l’inaccettabile
vulnus costituito dall’articolo 67, comma 7, del ccnl 21.5.2018, di
fatto rendendo inoperante l’articolo 23, comma 2, del d.lgs
75/2018.
Sarebbe interessante, tuttavia, se le cose non finissero lì, con
l’interpretazione autentica e si procedesse oltre, per scoprire
come sia stato possibile e perché l’insorgere del guazzabuglio
creato da una clausola contrattuale, l’articolo 67, comma 7,
sbagliata che si poteva e doveva non sottoscrivere o, comunque,
cancellare di corsa, prima della sottoscrizione definitiva del
contratto.
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