venerdì 4 gennaio 2019

Orlando? Non è un eroe. I problemi restano lo spoil system e la mancanza di controlli



Essendo stato reso pubblico il provvedimento[1] adottato dal sindaco di Palermo in merito alla “sospensione” del d.l. 113/2018, convertito in legge 132/2018, è possibile inquadrare meglio la questione giuridica connessa.

Per chi non avesse voglia di leggere l’intero atto, si riporta il passaggio cruciale: “impartisco la disposizione di SOSPENDERE, per gli stranieri eventualmente coinvolti dalla controversa applicazione della legge 132/2018, qualunque procedura che possa intaccare i diritti fondamentali della persona con particolare, ma non esclusivo, rifermento alle procedure di iscrizione della residenza anagrafica”.
Dunque, dato il tono letterale, si deve concludere che si tratti di un vero e proprio ordine di servizio, col quale il sindaco di Palermo ordina, appunto, al dirigente dei servizi demografici di sospendere le disposizioni di legge contenute nel “decreto sicurezza”.
Così inquadrato il provvedimento, ne derivano come corollario considerazioni in via di fatto e, soprattutto, in via di diritto.
In via di fatto, il tenore del provvedimento denota che il ritratto del sindaco di Palermo come un “eroe” che stanno proponendo in molti è del tutto erroneo.
Eroe è chi affronta personalmente un rischio estremamente elevato, nella consapevolezza certa di pagare direttamente ogni conseguenza di tale rischio.
Ebbene, nel caso di specie, non è così. Il sindaco di Palermo, come si nota, in realtà non affronta alcun rischio in prima persona. Infatti, il primo cittadino non ha sospeso il decreto sicurezza. Bensì ha ordinato al dirigente dei servizi demografici di sospenderlo.
La cosa è estremamente diversa. L’eventuale iscrizione anagrafica dei richiedenti protezione internazionale, non più consentita dal d.l. 113/2018 e quindi in sua violazione, determinerebbe una responsabilità eventualmente anche penale (molto probabile è che si rientri nel reato di abuso di ufficio) non del sindaco, ma del dirigente e persino dello stesso operatore dell’anagrafe che, violando la norma, materialmente consentissero l’acquisizione della residenza non permessa dalla norma.
Nella sostanza, il sindaco di Palermo con la lettera evidenzia una serie di possibili vizi di costituzionalità del decreto Salvini, ma si astiene dall’adottare egli in prima persona un provvedimento. Materialmente, manda avanti il dirigente, assegnando integralmente ad esso ogni responsabilità.
Infatti, l’eventuale illecito penale e le illegittimità amministrative non saranno riconducibili al sindaco, ma al dirigente che eseguirà l’ordine ricevuto (potrebbe anche andare diversamente, tuttavia, come si vedrà più avanti in questo scritto).
Poiché la responsabilità penale è personale, il rischio cede a carico del dirigente e dell’operatore che assentiranno all’acquisizione della residenza: il sindaco ne resta fuori.
Dunque, in prima battuta, di eroico l’atto del sindaco di Palermo ha ben poco, se non del tutto nulla. L’iniziativa adottata ha avuto ed ha un immenso impatto mediatico, ma non lo espone a nessun rischio.
Oltre tutto, la circostanza che il sindaco di Palermo abbia rivolto un ordine di servizio al dirigente e non abbia direttamente sospeso la legge rivela, indirettamente, un elemento decisivo: la consapevolezza che in effetti il sindaco non dispone di alcun potere di sospensione delle leggi. Come moltissimi costituzionalisti hanno ben evidenziato.
Se il sindaco di Palermo fosse stato davvero convinto di poter sospendere il decreto Salvini, avrebbe magari adottato un’ordinanza, atto tipico e di competenza esclusiva dei primi cittadini. Invece, ha rivolto un vero e proprio ordine di servizio, rimettendo ad un terzo, il dirigente dei servizi demografici, l’obbligo di attenersi a detto ordine, invece che di applicare la legge.
Andiamo, allora, agli aspetti tecnico-giuridici. Essendo in presenza di un ordine di servizio, cade del tutto l’argomentazione di chi giustifichi l’iniziativa del sindaco di Palermo sulla base della circostanza che essa è tesa ad indurre il Prefetto ad intervenire con un proprio atto di annullamento, in modo che il comune possa ricorrere contro detto atto avanti al giudice amministrativo e, così, sollevare in via incidentale la questione di legittimità costituzionale sul d.l. 113/2018. Questa ipotesi non si può materialmente verificare, almeno non con riferimento alla nota sindacale: l’ordine di servizio, infatti, è un atto esclusivamente interno al comune, sul quale il Prefetto non dispone di nessun potere di intervento.
Semmai, il Prefetto potrebbe intervenire per annullare l’attribuzione della residenza ai richiedenti asilo. Ciò sarebbe di difficilissima realizzazione. Intanto, sul piano procedurale. Infatti, il Prefetto non dispone direttamente di un potere di annullamento degli atti dei comuni. Il d.lgs 267/2000, testo unico sull’ordinamento degli enti locali, infatti, disciplina l’annullamento straordinario degli atti degli enti locali all’articolo 138, nel testo seguente: “In applicazione dell'articolo 2, comma 3, lettera p), della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo, a tutela dell'unità dell'ordinamento, con d.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, ha facoltà, in qualunque tempo, di annullare, d'ufficio o su denunzia, sentito il Consiglio di Stato, gli atti degli enti locali viziati da illegittimità”. Quindi, il potere di annullamento è di competenza del Consiglio dei Ministri. Il Prefetto potrebbe eventualmente avviare il procedimento, lungo e defatigante, per giungere all’annullamento.
Ma, come rilevato sopra, questo potrebbe riguardare solo l’acquisizione della residenza e non l’ordine di servizio impartito dal sindaco al dirigente.
Tuttavia, la residenza viene acquisita sulla base di una semplice dichiarazione di residenza rilasciata dal soggetto interessato: se il comune accetta la dichiarazione senza opposizione, la residenza si acquisisce per semplice decorso di 45 giorni, laddove entro questo termine non si adotti un provvedimento contrario.
Dunque, evidenziare la fattispecie giuridica da annullare, da parte del Governo, risulterebbe certo non impossibile, ma particolarmente complesso e mal certo.
Cambiamo pagina, pur restando sempre nell’analisi tecnico giuridica della fattispecie, e guardiamo comunque i profili di legittimità dell’ordine di servizio.
Sono ravvisabili almeno due vizi molto forti: illegittimità per falsa o erronea applicazione di norme o sentenze e illegittimità per incompetenza assoluta.
Il primo vizio discende da una lettura di norme costituzionali e sentenze della Consulta citate dal provvedimento a supporto dell’ordine impartito. Ma, la motivazione addotta risulta falsa e foriera di sviamento evidente nell’applicazione ed interpretazione delle norme; infatti, spetta esclusivamente al giudice di legittimità delle leggi, la Corte costituzionale, applicare un potere interpretativo e di analisi di una legge, per giungere a considerarla contrastante con l’ordinamento e quindi disapplicarla, con effetto ex tunc mediante una sentenza di accoglimento della questione di legittimità costituzionale.
Il secondo vizio è ancora più grave ed evidente: il sindaco non può legittimamente impartire alcun ordine di servizio nei confronti dei dirigenti, per la semplice ragione che non è un loro superiore gerarchico.
Nei comuni, come nelle altre amministrazioni, vige il principio di separazione delle competenze degli organi di governo da quelli tecnici.
Tale principio è posto con estrema chiarezza dalle seguenti norme;
1.      articolo 4 del d.lgs 165/2001:
Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare:
a) le decisioni in materia di atti normativi e l'adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed applicativo;
b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l'azione amministrativa e per la gestione;
c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-fmanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale;
d) la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi;
e) le nomine, designazioni ed atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche disposizioni;
f) le richieste di pareri alle autorità amministrative indipendenti ed al Consiglio di Stato;
g) gli altri atti indicati dal presente decreto.
2. Ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati.
3. Le attribuzioni dei dirigenti indicate dal comma 2 possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”.
2.      l’articolo 107 del d.lgs 267/2000:
1. Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico- amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.
2. Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108.
3. Sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi, tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente:
a) la presidenza delle commissioni di gara e di concorso;
b) la responsabilità delle procedure d'appalto e di concorso;
c) la stipulazione dei contratti;
d) gli atti di gestione finanziaria, ivi compresa l'assunzione di impegni di spesa;
e) gli atti di amministrazione e gestione del personale;
f) i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie;
g) tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale;
h) le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza;
i) gli atti ad essi attribuiti dallo statuto e dai regolamenti o, in base a questi, delegati dal sindaco.
4. Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative.
5. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'articolo 50, comma 3, e dall'articolo 54.
6. I dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione.
7. Alla valutazione dei dirigenti degli enti locali si applicano i principi contenuti nell'articolo 5, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, secondo le modalità previste dall'articolo 147 del presente testo unico”.
Gli organi di governo si interessano della definizione degli obiettivi e dei programmi generali. I concreti atti amministrativi, invece, sono competenza e responsabilità esclusiva dei dirigenti, i quali li adottano nel rispetto, certo, dell’indirizzo politico, ma prima ancora della legge, in applicazione del principio di legalità, fissato dagli articolo 97 e 98 della Costituzione.
Dunque, vista l’esclusività della competenza e della responsabilità dirigenziale, il sindaco non può in alcun modo ordinare di adottare o non adottare un atto, oppure sospendere o non sospendere l’applicazione di una norma.
Del resto, se il sindaco fosse un superiore gerarchico dei dirigenti, significherebbe che sindaco e dirigenti condividerebbero la medesima competenza, col sindaco in posizione di supremazia. L’ordine di servizio è tipico del potere di gerarchia propria, nell’ambito del quale il superiore gerarchico impartisce la disposizione al subordinato, proprio perché condivide la medesima competenza ma col potere fortissimo di determinare le scelte del subordinato, potendosi anche sostituire a questo con l’avocazione.
La divisione di competenze tra organi di governo e dirigenza disposta dalle norme ricordate prima, attuazione diretta per altro degli articolo 97 e 98 della Costituzione, impedisce al sindaco di emanare legittimamente qualsivoglia ordine di servizio ai dirigenti.
Qui si passa al tema delicatissimo dello spoil system. Cosa potrebbe fare, infatti, il dirigente che riceva un ordine come quello formulato dal sindaco di Palermo?
La questione è affrontata molto bene da iusmanagement.org. Sta di fatto, comunque, che le soluzioni possibili cambiano di molto, in relazione allo status giuridico del dirigente.
La prima ipotesi riguarda il dirigente di ruolo, assunto per concorso e non fiduciario. Detto dirigente ha tre scelte:
1)                          evidenziare l’illegittimità dell’ordine di servizio del sindaco, cagionata dai molteplici profili evidenziati sopra, con una risposta al sindaco e quindi dare corso, come doveroso, alla legge, senza altri indugi;
2)                          attuare le previsioni normative e contrattuali sull’ordine illegittimo (come indicato nel link riportato sopra) e, quindi fare rimostranza scritta al sindaco, attendere eventuale conferma dell’ordine e, di conseguenza, attuarlo; questa seconda strada appare, però, sbagliata: essa presuppone, infatti, la sussistenza del rapporto di gerarchia, invece inesistente. In questo caso, potrebbe emergere, tuttavia, la responsabilità penale del sindaco (ipotesi di cui si era accennato sopra).
3)                          attuare senz’altro l’ordine di servizio, impartendo a sua volta disposizioni di servizio nei confronti:
a.       dei dipendenti della struttura, per indicare loro di avviare comunque il procedimento di rilascio della redisenza, anche se il richiedente manchi totalmente dei requisiti soggettivi per chiederla;
b.      della polizia municipale: questa, infatti, dovrebbe essere esentata dall’effettuare verifiche procedurali, in assenza dei requisiti soggettivi per acquisire la residenza.
Non sfugge che l’attuazione dell’ordine di servizio del sindaco, comporterebbe a cascata il venire in essere di una serie di responsabilità penali ed amministrative di tanti altri soggetti, oltre al dirigente.
La seconda ipotesi concerne, invece, un dirigente “fiduciario” assunto a contratto ai sensi dell’articolo 110 del d.lgs 267/2000 o anche un dirigente di ruolo, il cui incarico dirigenziale sia comunque frutto di una particolare “assonanza” politica col sindaco.
In questo caso, è facile immaginare che la “assonanza” possa essere alla base di un accordo tra sindaco e dirigente, con quest’ultimo disposto ad assecondare l’intento del primo cittadino condividendone la strategia politica (non tecnicoamministrativa) e quindi con la piena disponibilità ad attuare l’ordine di servizio, nonostante le evidenti illegittimità che lo affliggono, scatenando senza troppi problemi le conseguenze descritte sopra (per altro, col rischio che siano poi i dipendenti della struttura ad attivare il rifiuto-rimostranza, con un effetto a catena estremamente complesso da gestire).
Si evidenzia, dunque, ancora una volta che lo spoil system e, comunque, il potere degli organi di governo di attribuire gli incarichi dirigenziali sia deleterio.
Infatti:
1)                          il dirigente non fiduciario è comunque sottoposto ad una pressione politica e mediatica enorme e per lui non applicare l’ordine di servizio risulta estremamente complicato e fonda un rischio elevatissimo di rimozione e di conseguenze anche pesanti sull’incarico;
2)                          il dirigente fiduciario segue l’ordine del sindaco come la ciurma del Pequod il capitano Achab.
In ogni caso, il potere indiscriminato di nomina ed incarico dell’organo politico, finirebbe per condizionare in maniera evidente le scelte gestionali del dirigente, che invece dovrebbero essere autonome e connesse solo a valutazioni tecniche e non politiche.
La questione posta, oltre che portare ai problemi di merito, evidenzia gli sconquassi legati allo spoil system vigente in Italia.
Ed emerge anche un altro dato: l’eliminazione della funzione di controllo preventivo di legittimità interno del segretario comunale e l’abolizione di controlli preventivi di legittimità esterni, frutto delle sciagurate riforme Bassanini, espone l’ordinamento a forzature estreme, come quella prodotta a Palermo.
Ve ne sarebbe abbastanza per un ripensamento profondo delle riforme della pubblica amministrazione di questi 22 ultimi anni.
In conclusione, si deve comunque sottolineare come in effetti il d.l. 113/2018, convertito in legge 132/2018 si esponga a fortissimi sospetti di legittimità costituzionale. Sollevare il problema è, quindi, corretto, ma nei modi utilizzati a Palermo non giustificabile.


[1] Al Sig. Capo Area Servizi al Cittadino SEDE

OGGETTO: Procedure per residenza anagrafica degli stranieri.

Nella mia qualità di Sindaco della Città di Palermo, da sempre luogo di solidarietà e di impegno in favore dei diritti umani, in coerenza con posizioni assunte e atti deliberativi adottati da parte di questa Amministrazione comunale, che considera prioritario il riconoscimento dei diritti umani per tutti coloro che comunque risiedono nella nostra città, Le sottopongo una richiesta di ponderazione e una precisa indicazione riguardo alla Legge 132/2018.
Tale impianto normativo continua a suscitate riflessioni, polemiche e allarmi diffusi anche a livello internazionale per il rischio di violazione dei diritti umani in caso di errata applicazione, con grave pericolo di violazione anche della legge umanitaria internazionale.
À tal proposito si richiama la nostra Carta costituzionale (mi piace qui ricordare che quest'anno si è celebrato il 70° anniversario della entrata in vigore) con particolare riferimento all’art. 2 (laddove il rifiuto di residenza anagrafica limita il soggetto nell’esercizio della partecipazione alle formazioni sociali); all'art. 14 (laddove l’inviolabilità del domicilio verrebbe incisa da un provvedimento negativo in materia anagrafica); all’art. 16 (laddove la libertà di movimento verrebbe condizionata, se non addirittura disumanamente compressa, in caso di incisione del diritto di residenza oltre ogni ragionevole protezione di altri interessi pubblici eventualmente concorrenti); all’art. 32 (laddove il diritto alla salute potrebbe essere meno garantito in ragione della differente area di residenza anagrafica, o peggio, della mancanza assoluta di residenzialità formale). Non solo: è la giurisprudenza stessa della Corte Costituzionale che da sempre afferma e statuisce “che lo straniero è anche titolare di tutti i diritti fondamentali che la Costituzione riconosce spettanti alla persona (...) In particolare, per quanto qui interessa, ciò comporta il rispetto, da parte del legislatore, del canone della ragionevolezza, espressione del principio di eguaglianza, che, in linea generale, informa il godimento di tutte le posizioni soggettive” (Sentenza n. 148/2008; si vedano altresì le sentenze n. 203/1997, n. 252/2001, n. 432/2005, n. 324/2006).
Ebbene, al fine di evitare applicazioni ultronee delle nuove norme, che possano pregiudicare proprio l’attuazione di quei diritti ai quali lo scrivente responsabilmente faceva riferimento e ossequio, Le conferisco mandato di approfondire, nella Sua qualità di Capo Area dei Servizi al Cittadino, tutti i profili giuridici anagrafici derivanti dall'applicazione della citata L.132/2018 e, nelle more di tale approfondimento, impartisco la disposizione di SOSPENDERE, per gli stranieri eventualmente coinvolti dalla controversa applicazione della legge 132/2018, qualunque procedura che possa intaccare i diritti fondamentali della persona con particolare, ma non esclusivo, rifermento alle procedure di iscrizione della residenza anagrafica.

Distinti saluti.
Sindaco Leoluca Orlando

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