La Corte dei conti (da ultimo con la deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Lombardia, 21.11.2019, n. 429) insiste con l’interpretazione secondo la quale non scattano gli incentivi tecnici nei casi di concessioni o partenariati pubblico privati, che appare
assolutamente infondata.
L’articolo 113, comma 2, del d.lgs
50/2016, detta come segue le regole per costituire il fondo che
incentiva il personale tecnico: “A valere sugli stanziamenti di
cui al comma 1, le amministrazioni aggiudicatrici destinano ad un
apposito fondo risorse finanziarie in misura non superiore al 2
per cento modulate sull'importo dei lavori, servizi e forniture,
posti a base di gara per le funzioni tecniche svolte dai
dipendenti delle stesse esclusivamente per le attività di
programmazione della spesa per investimenti, di valutazione
preventiva dei progetti, di predisposizione e di controllo delle
procedure di gara e di esecuzione dei contratti pubblici, di RUP, di
direzione dei lavori ovvero direzione dell'esecuzione e di collaudo
tecnico amministrativo ovvero di verifica di conformità, di
collaudatore statico ove necessario per consentire l'esecuzione del
contratto nel rispetto dei documenti a base di gara, del progetto,
dei tempi e costi prestabiliti. Tale fondo non è previsto
da parte di quelle amministrazioni aggiudicatrici per le quali sono
in essere contratti o convenzioni che prevedono modalità diverse per
la retribuzione delle funzioni tecniche svolte dai propri dipendenti.
Gli enti che costituiscono o si avvalgono di una centrale di
committenza possono destinare il fondo o parte di esso ai dipendenti
di tale centrale. La disposizione di cui al presente comma si applica
agli appalti relativi a servizi o forniture nel caso in cui è
nominato il direttore dell'esecuzione”.
La
conclusione tratta dalla magistratura contabile secondo la quale la
disciplina degli incentivi non è estesa alle concessioni (e ai
partenariati pubblico privati) appare priva di basi.
In
primo luogo, sul piano letterale, l’articolo 113 non fa mai
riferimento alla categoria di “appalti di lavori”; possiamo
riscontrare la parola “appalti” solo nell’ultimo periodo del
comma 2, ove per altro essa è utilizzata in modo improprio. Infatti,
la parola appalto è utilizzata erroneamente come sinonimo di “gara”
o “procedura di affidamento”; il legislatore ha utilizzato,
quindi, la parola appalto in un’accezione atecnica, attribuendolo
un significato tratto dal lessico “volgare”; ma noi sappiamo che
per appalto si intende un preciso istituto giuridico, regolato
dall’articolo 1655 del codice civile e consistente nel contratto
con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari
e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un
servizio verso un corrispettivo in danaro.
Gli
incentivi sono erogati a partire dal fondo costituito come indicato
dall’articolo 113, comma 2, del codice e non riguardano sul piano
dell’oggetto la tipologia di rapporto tra amministrazione ed
operatore economico (appalto o concessione), ma premiano, invece, le
attività svolte dai dipendenti, così elencate:
- programmazione della spesa per investimenti;
- valutazione preventiva dei progetti,
- predisposizione e di controllo delle procedure di gara e di esecuzione dei contratti pubblici,
- RUP,
- direzione dei lavori ovvero direzione dell'esecuzione e collaudo tecnico amministrativo ovvero di verifica di conformità,
- collaudatore statico ove necessario
Si
tratta di attività da svolgere qualunque sia la forma di regolazione
del rapporto tra stazione appaltante ed operatore. L’oggetto
dell’incentivo è l’attività, totalmente slegata dal tipo di
contratto tra ente ed operatore. Tra l’altro, il legislatore nel
descrivere le attività incentivabili correttamente parla di
“procedure di gara” e di “contratti pubblici”, espressioni
riferibili in generale a qualsiasi procedura di individuazione di
qualsiasi tipo di contraente per qualsiasi tipo di contratto
disciplinato dal d.lgs 50/2016.
Di
fronte ad un’azione proposta al giudice del lavoro da dipendenti
intenzionati ad ottenere il riconoscimento dell’incentivo, le
argomentazioni della magistratura contabile dimostrerebbero per
intero tutta la loro debolezza ed insostenibilità (e non sarebbe la
prima volta, come insegna la storia dei diritti di rogito dei
segretari comunali).
Sarebbe
opportuno che la Corte dei conti rivedesse, e preso, la posizione
assunta, allo scopo di evitare l’insorgere di nuovi e
oggettivamente poco utili contenziosi.
Concordo. Molto spesso la predisposizione degli atti di gara per l'affidamento delle concessioni è assai più complessa rispetto agli appalti. La lettura della Corte dei Conti è formalistica, priva di attenzione alla sostanza delle attività svolte dai funzionari delle stazioni appaltanti.
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