La delegazione amministrativa tra organi politici locali – la delega dal sindaco agli assessori
Se gli
interpreti e gli operatori sono sostanzialmente concordi nel ritenere
che il nuovo ordinamento locale abbia escluso radicalmente la
possibilità per il consiglio di delegare la giunta, non altrettanto
ciò vale per l’eventuale facoltà di delega del sindaco agli
assessori.
In
merito, esistono almeno tre distinte posizioni. Una1
che ritiene legittima e possibile la delega sindacale agli assessori,
che trova moltissimi riscontri nell’operatività concreta degli
enti locali. Una seconda posizione, invece, considera illegittima ed
impossibile tale delega2.
Una terza posizione considera legittima la delega, nella misura in
cui essa sia configurata solo come “delega interna”. E’
corretto segnalare subito che la posizione che si ritiene
condivisibile e corretta è quella che esclude la legittimità di una
delega del sindaco agli assessori.
Sembra
opportuno analizzare le ragioni poste a fondamento della tesi
favorevole alla delegabilità delle funzioni del sindaco.
In primo
luogo, questa tesi sottolinea che non sia completamente corretto
l’assunto secondo il quale l’assessore, certamente non
qualificabile come organo del comune o della provincia, sia da
considerare assolutamente privo di un ambito proprio di esercizio di
funzioni, potendo svolgere tale sua funzione esclusivamente
partecipando alle manifestazioni di volontà collegiali della giunta.
Se
è senz’altro corretto sottolineare che il ruolo politico
dell’assessore viene svolto prevalentemente in modo collegiale,
all’interno della giunta3,
tuttavia non è assolutamente da escludere che l’assessore possa
esercitare un ruolo di sovrintendenza politico-amministrativa
relativamente ad un certo settore o, comunque, gruppo di materie,
come supporto al sindaco.
Ciò
troverebbe conferma nella disposizione contenuta nell’articolo 109,
comma 1, del d.lgs 267/2000, secondo il quale gli incarichi
dirigenziali possono essere revocati in caso di inosservanza delle
direttive “dell’assessore
di riferimento”4.
Se, dunque, l’assessore può esprimere direttive con valore
vincolante, tale che la loro violazione può comportare la revoca
dell’incarico dirigenziale, ciò significa che riveste un ruolo
specifico e “proprio” nell’ambito dell’ente, sicchè potrebbe
essere comunque qualificato, se non come organo, come soggetto dotato
di una sfera individuale di competenze, come tale potenziale
destinatario di una delega.
In secondo
luogo ed, in parte, a conferma del precedente assunto, si osserva che
l’articolo 48, comma 1, del d.lgs 267/2000 nel qualificare la
giunta come organo di collaborazione del sindaco non precisa le
modalità ed i contenuti della collaborazione. Ciò, allora,
lascerebbe spazi di intervento allo statuto locale, il quale
nell’esercizio della propria competenza a specificare le competenze
degli organi, potrebbe legittimamente stabilire che il sistema di
collaborazione specifico dell’assessore, quale componente della
giunta, nei riguardi del sindaco consiste nello svolgimento di
funzioni attribuitegli per delega da parte del sindaco.
In terzo
luogo, la tesi favorevole alla possibilità che il sindaco conferisca
deleghe all’assessore rileva come allo statuto, adempiendo alla
propria funzione di specificazione delle competenze degli organi,
nulla vieti di consentire espressamente al sindaco di delegare le
proprie competenze agli assessori.
Infine,
si rileva che l’articolo 84, comma 3, del d.lgs 267/2000 contenga
una disposizione dalla quale è lecito desumere una previsione
legislativa della delegabilità delle funzioni del sindaco agli
assessori (e anche ai consiglieri), laddove prevede che “agli
amministratori che risiedono fuori del capoluogo del comune ove ha
sede il rispettivo ente, spetta il rimborso per le sole spese di
viaggio effettivamente sostenute, per la partecipazione ad ognuna
delle sedute dei rispettivi organi assembleari ed esecutivi, nonché
per la presenza necessaria presso la sede degli uffici per lo
svolgimento delle funzioni proprie o delegate”.
Tale
disposizione, rilevano gli autori favorevoli alla delega, in quanto
riferita tanto ai consiglieri, quali potenziali destinatari delle
deleghe sindacali di cui all’articolo 54, comma 7, del testo unico,
quanto agli assessori, sarebbe la conferma che questi potrebbero
essere destinatari di deleghe. E queste non potrebbero che essere
quelle disposte dal sindaco.
Dunque,
l’intermediazione statutaria che disponesse in modo esplicito la
possibilità della delega di funzioni potrebbe legittimamente
introdurre nell’ordinamento locale la delegabilità delle funzioni
del sindaco nei riguardi degli assessori.
Come si è
rilevato sopra, tuttavia, la suesposta tesi non appare convincente.
E’, infatti, possibile argomentare in modo da opporre alle
motivazioni addotte argomentazioni in grado di privarle di
fondatezza.
Per quanto
concerne la prima argomentazione che mette in rilievo la soggettività
giuridica dell’assessore, essa è corretta, ma inconferente. Il
fatto che l’assessore disponga di una sfera specifica di azione
nell’ambito dell’ente, come conferma l’articolo 109, comma 1,
non vale per trarre da qui la conclusione della delegabilità delle
funzioni sindacali. La delega, infatti, può costituite uffici prima
non esistenti, sicchè essa può essere attribuita tanto ad organi
già costituiti, quanto a meri uffici non aventi prima dell’efficacia
della delega la qualità di organo, che viene assunta in uno con il
conferimento della delega medesima.
Dunque, il
possesso o meno di una soggettività giuridica o, comunque, di una
capacità di agire nell’ambito dell’ente non è presupposto
necessario per il conferimento di una delega, sicchè la riconosciuta
limitata capacità funzionale dell’assessore è argomento troppo
debole per poter essere posto a fondamento della delegabilità delle
funzioni sindacali.
La seconda
e la terza motivazione addotta dalla dottrina che qui si critica
muove essenzialmente dalla medesima considerazione: attraverso lo
statuto è possibile specificare le competenze tanto degli assessori,
quanto del sindaco, sicchè la carta statutaria potrebbe introdurre
nell’ordinamento locale ciò che il testo unico espressamente non
prevede, cioè la delegabilità delle funzioni del sindaco. Ciò
anche rilevando che la riserva di legge in merito di individuazione
delle competenze degli organi, prevista dall’articolo 97 della
Costituzione è solo relativa e non assoluta, sicchè potrebbe essere
derogata da una fonte subordinata alla legge e tanto più dallo
statuto locale, che ha una posizione nelle fonti intermedia tra legge
e regolamenti, nel vigente regime costituzionale esaltata
dall’articolo 114 della Costituzione.
Ma queste
considerazioni sono prive di fondamento. In contrario deve darsi,
invece, assoluta prevalenza al principio dell’indelegabilità delle
competenze, se la legge non lo preveda espressamente.
Si
è sostenuto acutamente in dottrina5
che nell’ordinamento precedente alla legge 142/1990, nel quale
v’era l’espressa possibilità per il sindaco di delegare i propri
assessori, fosse stato escluso il principio di generale delegabilità
delle funzioni negli enti locali, tanto che il Consiglio di stato,
con sentenza della Sezione V, 8 giugno 1971, n. 499, ebbe modo di
annullare l’atto introduttivo di un procedimento disciplinare
innescato da un assessore provinciale su delega del presidente,
proprio perché lo specifico ordinamento provinciale, a differenza di
quello comunale, non prevedeva la figura dell’assessore delegato,
ma solo quella dell’assessore anziano. Con ciò si vuole mettere in
evidenza che il principio dell’inderogablilità dell’ordine
legale delle competenze è un principio fondante dell’organizzazione
amministrativa, tale da non poter essere superato neanche per
estensione analogica nell’ambito dell’ordinamento locale
previgente.
Del resto,
se così non fosse, se cioè il principio dell’inderogabilità
delle competenze fissate per legge fosse recessivo rispetto ad un
contrapposto principio di generale delegabilità delle competenze,
non avrebbe senso escludere radicalmente la possibilità al consiglio
di delegare la giunta.
Si deve,
dunque, concludere che nel vigente sistema, poiché la legge non ha
previsto espressamente la delega di competenze del sindaco in favore
dell’assessore, essa sia del tutto esclusa e, se attivata,
illegittima, per violazione dell’articolo 97 della Costituzione e
del visto principio di inderogabilità delle competenze.
Né
lo statuto potrebbe supplire al silenzio della legge, per due ordini
di ragioni. In primo luogo, riferendosi ai limiti delle competenze
statutarie previste dal testo unico. L’articolo 6, comma 2, del
d.lgs 267/2000 prevede che lo statuto “specifica
le attribuzioni degli organi”.
Ma, tale funzione è con ogni evidenza di portata molto ridotta
rispetto alla funzione, spettante in via esclusiva alla legge, di
determinare le attribuzioni.
Nel disegno
ordinamentale del d.lgs 267/2000 è la legge dello Stato, ovvero
proprio il testo unico, a fissare le attribuzioni a specificare,
quindi, quali sono le competenze ed i poteri degli organi. Poiché,
tuttavia, per alcuni di tali organi e, in particolare, per quanto
concerne la giunta, le attribuzioni sono disposte in modo generale,
visto che la giunta dispone di una competenza generale e residuale
nell’ambito delle funzioni di governo, lo statuto ha il compito di
chiarire quelle zone grigie, quei casi particolari nei quali il
confine tra le competenze dei diversi organi si confonde, sì da
rendere necessaria un’opera che, essendo di specificazione,
consiste solo nell’accertare e nel chiarire quale sia la
competenza, non certo nell’attribuirla. Lo statuto, dunque, non può
certo istituire nuovi organi. E non può farlo né in via diretta,
creando nuovi organi, né in via indiretta, prevedendo la delega di
funzioni del sindaco nei confronti degli assessori, dal momento che
tale delega, come visto prima, finirebbe per costituire un nuovo
organo politico amministrativo, sia pure di secondo grado, senza che
la legge lo consenta.
Prima della
riforma della Costituzione, operata con la legge costituzionale
3/2001, era semplice dimostrare l’impossibilità per lo statuto di
introdurre norme contrarie o “tangenti” alla Costituzione,
essendo vigente l’articolo 128 della Costituzione.
Si potrebbe
sostenere che questo limite sarebbe stato eliminato dal nuovo
ordinamento costituzionale, che ha abrogato proprio l’articolo 128
e nell’articolo 114 menziona lo statuto come fonte peculiare
dell’autonomia locale, che incontra i suoi limiti esclusivamente
nei principi costituzionali.
Ma
anche questa osservazione non sarebbe sufficiente. In primo luogo,
perché la Costituzione non ha, comunque, disciplinato lo statuto
locale come fonte a competenza riservata nei riguardi della legge6.
In secondo
luogo, a conferma di quanto detto poco prima, anche ammesso che lo
statuto avesse assunto una competenza riservata di rango pari a
quello della legge, in ogni caso gli sarebbe preclusa la possibilità
di specificare le competenze degli organi di governo dell’ente con
funzione “costituente”. Infatti, in ogni caso l’articolo 117,
comma 2, lettera p), assegna alla competenza esclusiva della legge
dello Stato la disciplina degli organi di governo degli enti locali.
Se la competenza è esclusiva, significa che nessun’altra norma può
travalicare quella della legge statale, sicchè solo tale fonte
potrebbe prevedere che il sindaco deleghi proprie competenze agli
assessori.
Non sembra,
comunque, inopportuno segnalare che deleghe del sindaco agli
assessori appaiono del tutto difformi al sistema di assestamento
delle competenze degli organi di governo locali, introdotto dalla
legge 81/1993 e confluito nel testo unico. La legge 81/1993 ha,
infatti modificato in modo rilevante i ruoli ed i reciproci rapporti
tra sindaco, giunta ed assessori.
Il sindaco,
eletto direttamente dall'elettorato, acquisisce in maniera immediata
la rappresentatività dell'ente locale: e proprio per questo la legge
81/1993, espressamente gli ha assegnato il potere di scegliere
direttamente i suoi assessori - nella logica di un governo di stile
"presidenziale" - che divengono, quindi, suoi
collaboratori. La prospettiva, rispetto sia alla costruzione dei
rapporti tra sindaco e giunta impostata dal t.u. 383/1934, sia a
quella determinata dalla stesura della legge 142/1990 antecedente
alla riforma operata con la legge 81/1993, è completamente diversa.
Infatti,
nella precedente disciplina normativa il sindaco era una sorta di
primus inter pares,
eletto dal consiglio insieme agli assessori, ed era, in sostanza,
insieme con l'intera giunta, legato agli accordi della maggioranza
consiliare, espressione di questa e, nelle forme degenerative che
purtroppo negli anni si sono verificate, a volte schiavo della
stessa. Le imboscate degli assessori, appartenenti a correnti diverse
da quella del sindaco o a partiti di coalizione non del tutto in
linea con la maggioranza, erano tutt'altro che infrequenti. E
comunque il sindaco doveva rispondere continuamente alla coalizione e
alla Giunta, di tutta la sua azione quale capo dell'amministrazione.
La
legge 81/1993, mutando completamente la prospettiva, ha sancito che
la giunta "collabora" col sindaco, in una logica
esattamente opposta a quella del precedente sistema. La legge
81/1993, ha privilegiato la stabilità governativa, accentrando nella
figura del capo dell'amministrazione eletto direttamente i compiti di
direzione e controllo dell'azione amministrativa. Ecco perché è il
sindaco, e non più il consiglio, che nomina gli assessori, i quali
formano una sorta di consiglio politico-amministrativo, uno staff7
che lo coadiuva, ma non può più tenere le redini del gioco. Si è
osservato8
correttamente che lo spostamento delle funzioni gestionali in capo
alla dirigenza fa sì che il ruolo degli assessori si concentri sui
versanti dell’attività collegiale di giunta, esprimendo un ruolo
referente e di proposta, nelle relazioni interistituzionali con altri
enti, nonché nel coordinamento interno, mediante l’espressione
delle direttive. Tale ruolo esclude una delega operativa e
gestionale, che attribuisca poteri a rilevanza esterna.
La maggiore
forza del sindaco e del presidente della provincia nell’assetto
ordinamentale locale è ulteriormente attestata dall’attribuzione
del potere di revocare in qualsiasi tempo gli assessori che non siano
più in linea con la sua azione.
Se, dunque,
è vero che il sistema è così radicalmente cambiato, allora deve
essere vero che ci sono delle conseguenze anche sul tipico istituto
amministrativo che nel precedente regime regolava i rapporti tra
sindaco e assessori, cioè la delega delle funzioni di rappresentanza
e sovrintendenza alle funzioni dell'ente, chiedendosi se la delega
agli assessori sia oggi, e in che misura, ancora ammissibile.
La risposta
non può che essere negativa. Ovvero agli assessori il sindaco non
può conferire deleghe operative agli assessori, aventi rilevanza
esterna. L’ulteriore conferma viene dalla constatazione
dell’abrogazione definitiva delle norme antecedenti alla legge
142/1990 che ammettevano la delega tra organi di governo locale.
Tuttavia
queste norme con la legge 142/1990 sono state abrogate, probabilmente
anche perché sin dalla prima versione della legge 142/1990, il
legislatore aveva chiara in mente quella distinzione tra momento
politico e momento amministrativo, per cui se al sindaco e alla
Giunta spettano solo funzioni di programmazione ed indirizzo, e alla
dirigenza la gestione, è chiaro che sparita la competenza gestionale
degli organi amministrativi, il sindaco avrebbe avuto poco da
delegare.
E’, per
altro, necessario ricordare che il tema della delegabilità delle
funzioni del sindaco agli assessori era stato nuovamente affrontato e
risolto in maniera definitiva proprio con la legge 81/1993.
L'esame dei
lavori preparatori di tale norma rivela che il legislatore ha inteso
rinunciare definitivamente alla delega tra organi di governo:
infatti, in Parlamento l'emendamento che prevedeva la reintroduzione
delle deleghe del sindaco agli assessori venne bocciato.
Il
disegno di legge governativo, dal quale scaturì la legge 415/1993
(che ha parzialmente riformato la legge 81/1993), portava
all'articolo 8 la seguente norma: "Il
sindaco può ,conferire ai singoli componenti della giunta deleghe
per l'esercizio delle proprie attribuzioni. E’ fatto divieto di
attribuire ai consiglieri deleghe per l'esercizio di funzioni di
amministrazione aventi rilevanza esterna".
Le Camere non hanno approvato tale norma, confermando cosi
l'impossibilità della delega del sindaco.
L'obiezione
secondo la quale un sindaco, specie nei comuni di grandi dimensioni,
non potrebbe attendere al governo dell'enorme serie di questioni che
si pongono per l'amministrazione di un comune, non può valere per
affermare la necessità della delega .degli assessori.
In primo
luogo perché la legge assegna ormai al sindaco come potestà
primaria quella della "sovrintendenza" all'azione dei
dirigenti, che sono i diretti responsabili della gestione. E comunque
il sindaco, col suo potere di nomina e di definizione nell'ambito di
autonomia dei dirigenti, può esercitare con efficacia una funzione
di sovrintendenza e di controllo dei risultati, senza la necessità
dell'intervento di nessun altro organo.
Può, è
vero, ben essere opportuno che il sindaco abbia bisogno dell'ausilio
di qualcuno per essere aggiornato sulle specifiche questioni che
concernono i singoli settori della macchina comunale, sebbene sia,
comunque, esplicito dovere dei dirigenti adoperarsi per ténere su
questi aspetti continuamente aggiornato il sindaco, che del resto si
avvale anche a questo fine dell'azione di coordinamento del
segretario comunale: ed è su questo piano che può subentrare la
necessità dell'intervento dell'assessore.
Mediante
l'assessore, preposto ad un ramo amministrativo, il sindaco può
esercitare più agevolmente la funzione di indirizzo politico. Ma è
chiaro che la preposizione di cui sopra non può consistere
nell'attribuzione, mediante delega, di poteri decisionali a rilevanza
esterna all'assessore.
La
preposizione di un assessore ad un certo ramo di competenze dovrebbe
limitarsi ad un incarico di trade
union, tra sindaco e
macchina amministrativa: ovvero, l'assessore può avere la funzione
di agire in prima persona per garantire l'indirizzo politico,
esercitando il proprio potere di direttiva, controllando tempi e
modalità di attuazione di piani e programmi della giunta e nel
rispetto di questi. Così come potrebbe recepire istanze e
suggerimenti della macchina amministrativa e proporli alla giunta per
l'elaborazione e definizione di nuovi progetti, per correggere, il
tiro dei programmi, per guardare ai nuovi obiettivi.
Incarichi
di questo tipo, sarebbero perfettamente ammissibili dal punto di
vista legislativo, e funzionali ad un sistema che vede nel sindaco il
centro di imputazione dell'iniziativa amministrativa, pur non
consistendo in vere e proprie deleghe.
Resta da
dare conto alla terza tesi, che ritiene possibile assegnare agli
assessori deleghe interne. Si tratta di una posizione che non è da
considerare intermedia tra le prime due, dal momento che la delega
interna è, sostanzialmente, un provvedimento di ripartizione di
funzioni non una delega, intesa come atto consentito dalla legge,
avente lo scopo di traslare l’esercizio di funzioni a rilevanza
esterna dal delegante al delegato.
Ora, la
possibilità che il sindaco conferisca agli assessori incarichi
tecnicamente denominati deleghe aventi, invece, natura di
ripartizione di compiti funzionali propri degli organi di governo non
pare da mettere in discussione.
Il sindaco,
come rilevato poco sopra, assolve a compiti di rappresentanza
istituzionale e sovrintendenza, propri della sua figura
istituzionale. Lo stesso vale per il presidente della provincia.
Tali
compiti, però, si risolvono nell’esercizio delle funzioni più
disparate, in particolare nell’ambito delle complesse relazioni con
gli organi gestionali e gli uffici di supporto, come il nucleo di
valutazione o l’ufficio per il controllo strategico.
Oltre
tutto, logiche politiche possono consigliare che funzioni di
direzione politico-amministrativa o rappresentanza istituzionale
siano svolte dall’assessore: la trattativa per un protocollo di
intesa o una convenzione, ad esempio, così come la stipulazione
finale.
Il testo
unico sull’ordinamento locale ha, in effetti, ridato, almeno in
parte, agli assessori una funzione autonoma, nell'ambito
dell'amministrazione.
Lo si
ricava dal già visto articolo 109, comma 1, del d.lgs 267/2000, ove
si prevede che gli incarichi dirigenziali possono essere revocati in
caso di inosservanza, da parte dei dirigenti, delle direttive anche
dell'assessore.
L'articolo,
quindi, implicitamente, attribuisce all'assessore come soggetto
autonomo e non più componente di un organo collegiale, un potere
specifico, tipico del rapporto di direzione: la direttiva. Ed è un
potere talmente forte che la deviazione del dirigente dalle linee
proposte dall'assessore può comportare addirittura una sanzione
pesante come la revoca dell'incarico. Questo potere dell'assessore
va, comunque, inquadrato nel corretto piano dei rapporti
istituzionali.
E'
certamente chiaro, ormai, che l'assessore non è più solo un
componente di un collegio, ma una figura soggettiva specifica. Ma,
tale soggettività non può consentire di andare oltre alla delega
interna, o all’attribuzione di alcune funzioni direzionali del
sindaco.
In effetti,
nell’attribuire all’assessore un ruolo specifico l’ordinamento
locale non ha inteso configurarlo come organo, ma piuttosto, far
comprendere che l'assoluta separazione tra funzione di gestione,
attribuita ai dirigenti, e funzione di indirizzo e controllo,
assegnata ai politici, non può non determinare responsabilità
gestionale dei dirigenti anche nei confronti dell'assessore. Questi
è, infatti, un imprescindibile componente della compagine di governo
cui spetta la funzione di indirizzo e controllo.
Del resto,
la direttiva è proprio l'espressione tipica del potere di indirizzo
e controllo: infatti mediante questo atto l'organo politico indica al
dirigente gli obiettivi da conseguire e nel contempo può valutare i
risultati, anche in relazione a quanto stabilito con la direttiva.
Se così
stanno le cose, il riconoscimento della funzione autonoma
dell'assessore non pare consenta la delega di poteri a rilevanza
esterna da parte del sindaco.
Nel vigente
ordinamento, nessun organo politico, tranne in parte il sindaco ed il
presidente della provincia, ha più competenze dirette gestionali:
sicchè una delega di funzioni esterne all'assessore non è
giuridicamente possibile, visto che il testo unico ha chiarito
definitivamente che tali funzioni sono proprie solo dei dirigenti.
Il potere
di direttiva dell'assessore è quindi uno dei modi attraverso i quali
l'assessore medesimo collabora allo svolgimento dell'indirizzo e
controllo politico sugli organi burocratici.
Pertanto,
negli statuti o nei regolamenti di organizzazione, non pare opportuno
reintrodurre la delega, ma disciplinare gli incarichi degli
assessori, specificando che tra le loro funzioni rientra, con la
direttiva, la possibilità di incidere direttamente sull'attività
del proprio assessorato, senza dover passare necessariamente
attraverso deliberazioni collegiali. Pur imponendo, evidentemente,
agli assessori il rispetto delle linee programmatiche fondamentali
contenute nel bilancio di previsione e nel piano esecutivo di
gestione, dalle quali evidentemente neanche l'assessore può
distaccarsi.
Inoltre,
esiste un ulteriore argomento che dovrebbe far concludere per
l'impossibilità, da parte del sindaco, di delegare funzioni agli
assessori: l'articolo 107, comma 3, lettera i) stabilisce che
spettano ai dirigenti “gli
atti ad essi attribuiti dallo statuto e dai regolamenti o, in base a
questi, delegati dal sindaco”.
Quindi,
mentre manca una norma positiva che consente al sindaco di delegare
funzioni amministrative a rilevanza esterna agli assessori, ne esiste
una che tale potere di delega gli attribuisce a nei confronti dei
dirigenti.
Il sindaco,
legittimamente, può delegare le sue funzioni, ad eccezione di quelle
di ufficiale di Governo solo ai dirigenti.
Se
la delega è espressamente prevista per i dirigenti, che del resto,
in attuazione del principio di separazione tra politica e gestione
possono essere gli unici titolari delle competenze gestionali, ciò
significa che il sindaco non può delegare alcun compito operativo e
gestionale ai componenti della giunta. Anche perché una simile
delega, oltre che non conforme al dettato legislativo, apparirebbe
inutiliter data,
visto che, comunque, gli atti gestionali su delega del sindaco
sarebbero geneticamente illegittimi.
C’è, per
altro, da osservare che appare corretta l’altra affermazione
secondo la quale l’assessore è privo di un ambito di azione
proprio a rilevanza esterna: in tal senso, la conclusione secondo la
quale l’assessore possa esercitare le sue funzioni mediante
deliberazioni collegiali è corretto, nella misura in cui lo si
riferisca alla possibilità di adottare atti che impegnino
l’amministrazione verso l’esterno. La giunta, infatti, dispone di
competenze anche rilevanti verso l’esterno: basti pensare alla
deliberazione di approvazione del Piano Esecutivo di Gestione, che
autorizza la dirigenza a gestire, oppure alla deliberazione richiesta
dalla legge come presupposto alla nomina del direttore generale o
alla revoca del segretario comunale, o alla competenza in merito
all’approvazione del progetto definitivo, così come la
deliberazione di costituzione in giudizio (purchè si accetti la
testi che tale competenza sia, appunto della giunta). L’assessore
può, pertanto, svolgere funzioni rilevanti verso l’esterno solo
quale componente di un organo collegiale.
Un incarico
istituzionale di rilevanza interna, mediante il quale il sindaco
attribuisca all’assessore quota-parte delle sue funzioni di
sovrintendenza agli uffici comunali, invece, è coerente col sistema
delle competenze degli organi di governo. Ma, si ripete, non si
tratta di vera e propria delega, quanto, piuttosto, di ripartizione
di funzioni di governo tra componenti della giunta.
La delegazione amministrativa tra organi politici locali – la delega dal sindaco ai consiglieri comunali
Il problema
della possibilità che il sindaco o il presidente della provincia
attribuisca deleghe funzionali ai consiglieri ha evidenti analogie
con la questione della delegabilità di funzioni nei confronti degli
assessori, pur essendo qualitativamente molto diverso il ruolo dei
possibili destinatari di dette deleghe.
Anche in
questo caso, le tesi in merito sono tre: una favorevole alle deleghe,
l’altra contraria, la terza favorevole a condizione che le deleghe
si limitino ad incarichi istruttori utili all’espletamento del
mandato del sindaco o del presidente della provincia.
Come nel
precedente capitolo, sembra opportuno enunciare immediatamente che
l’unica tesi corretta appare la seconda, quella, ovvero, contraria
alla delegabilità delle funzioni del sindaco ai consiglieri,
partendo, però, dall’analisi delle tesi diverse, per esplicitare
le motivazioni che spingono ad esprimere la tesi negativa.
E’ bene
precisare che la tesi totalmente favorevole, senza limiti o
condizioni, alla delega di funzioni dal sindaco ai consiglieri sia in
dottrina, sia in giurisprudenza risulta largamente minoritaria. In
effetti, non vi sono troppi appigli normativi per poter concludere in
favore di deleghe rivolte dall’organo monocratico
politico-amministrativo ai consiglieri, dovendosi distinguere, per
altro, la posizione del sindaco, che può, perché legittimato dalla
legge, attribuire deleghe al ricorrere di determinati casi
specificamente previsti, da quella del presidente della provincia,
nei riguardi del quale tali casi non sono stabiliti. E’, tuttavia,
necessario richiamare l’attenzione sulla circostanza che, sul piano
pratico, il ricorso a deleghe ai consiglieri è molto esteso presso
le amministrazioni comunali in particolare.
Nel caso
della delega ai consiglieri, la tesi favorevole non individua norme
dell’ordinamento locale alle quali appoggiarsi. Infatti, quelle
amministrazioni che si avvalgono della delega ai consiglieri
inseriscono (quando lo fanno) una specifica disposizione normativa in
tal senso nello statuto.
D’altra
parte, se, come rilevato nel precedente capitolo, risulta illegittima
la delega all’assessore, che è pur sempre un componente di un
collegio, la giunta, di diretta collaborazione col sindaco o col
presidente della provincia, col quale condividono il ruolo di organo
di governo operativo dell’ente, ancor più impervia è la ricerca
di fondamenti di legge per ipotizzare una delega in favore dei
consiglieri.
Pertanto,
la tesi favorevole non potrebbe che fare perno su due elementi:
l’articolo 84, comma 3, del d.lgs 267/2000, oppure l’autonomia
statutaria.
Ma,
entrambe queste argomentazioni, utilizzate per legittimare la delega
agli assessori, non possono reggere alle critiche già mosse nei loro
confronti nel precedente capitolo, al quale si rinvia.
Trova
maggiore riscontro, invece, la tesi che considera possibile la delega
ai consiglieri, purchè limitata ad attività istruttorie, non aventi
rilevanza esterna e rivolte ad agevolare le funzioni del sindaco o
del presidente della provincia.
Questa
teoria è stata avanzata a più riprese dall’Anci9:
il sindaco non può delegare ai consiglieri comunali l’esercizio di
vere e proprie potestà amministrative, tali da esplicare effetti
giuridici nei confronti dei terzi, ma potrebbe, però, incaricare i
consiglieri del compimento di attività istruttorie, preparatorie di
atti amministrativi veri e propri, avvalendosi della loro specifica
professionalità o competenza.
In merito,
la giurisprudenza è estremamente rarefatta. Questa teoria, tuttavia,
è stata di recente fatta propria dal Tar Toscana, Sezione I, con la
sentenza 27 aprile 2004, n. 1248, secondo la quale, in sostanza, sono
da considerare legittime deleghe funzionali da parte del sindaco a
consiglieri comunali, se finalizzate all’esercizio delle attività
di indirizzo e coordinamento proprie del sindaco ed escludano
l’adozione di provvedimenti di amministrazione attiva, la
partecipazione alle giunte comunali e una posizione differenziata del
consigliere nei confronti degli altri consiglieri e della dirigenza.
A
fondamento della propria decisione, i giudici toscani utilizzano una
serie di elementi valutativi, dopo aver evidenziato che, nel caso di
specie, l’atto delega fosse, in realtà, privo dell’effetto di
conferire “poteri” di amministrazione attiva in capo al
consigliere delegato.
Per
giungere alla conclusione della legittimità dell’incarico
assegnato dal sindaco al consigliere, la sentenza riporta in maniera
puntuale alcuni fondamentali passaggi dell’atto di delega, tendenti
a precisare che:
1) la
delega è finalizzata alla cura di particolari materie e servizi
comunali e, dunque, non ad una complessa branca organizzativa;
2) il
consigliere deve svolgere esclusivamente una funzione di proposta e
consulenza al sindaco;
3) il
consigliere non partecipa alle sedute della giunta;
4) il
consigliere è privo di ogni potere decisionale;
5) il
consigliere nei confronti dei dirigenti e funzionari è privo di
qualsiasi ulteriore potere rispetto a quelli propri di ogni altro
consigliere comunale;
6) i
provvedimenti relativi alla delega fanno comunque capo al sindaco e
sono da questo sottoscritti;
7) gli
oggetti della delega riguardano i rapporti con gli uffici
dell’edilizia privata e la programmazione delle attività, lo
snellimento delle procedure e procedimenti, l’interpretazione e le
modifiche ai regolamenti comunali in materia di edilizia, compresi
gli oneri di urbanizzazione, la definizione delle pratiche di condono
edilizio, i rapporti col pubblico, i professionisti e gli ordini
professionali, la grande viabilità10.
In
particolare, a fondamento della propria decisione, il Tar Toscana,
partendo dalla considerazione che è ius
receptum la
possibilità che il sindaco deleghi i consiglieri comunali, sostiene
che la delega è legittima, perché non produce alcuna lesione ai
principi in materia di organizzazione degli enti locali.
Pertanto,
il provvedimento del sindaco è da considerare legittimo:
- perché non viola espressi divieti al conferimento di deleghe nei confronti dei consiglieri;ù
- perché, in realtà, non si tratta di una vera e propria delega, ma di un incarico per supportare il sindaco nella propria azione di governo.
Appare
necessari analizzare criticamente questa decisione del Tar Toscana,
allo scopo di introdurre le argomentazioni della tesi contraria alla
possibilità che il sindaco deleghi i consiglieri comunali, le quali
appaiono decisive e tali da privare di fondamento la tesi esposta
nella sentenza.
La
prima affermazione in essa contenuta, secondo la quale sarebbe
diritto accettato da tutti la possibilità che il sindaco deleghi i
consiglieri, per la verità, appare sufficientemente avventata, per
almeno due ragioni. In primo luogo, perché nel pur non ampio
panorama giurisprudenziale relativo alla questione in esame, esiste
una sentenza fortemente contraria alla delegabilità delle funzioni
ai consiglieri11,
il che dimostra che non è per nulla recepito nel diritto che il
sindaco possa delegare i consiglieri comunali.
In
secondo luogo, si deve osservare che se realmente le deleghe ai
consiglieri fossero ammesse come ius
receptum, allora
nell’ordinamento dovrebbe esistere il principio generale della
delegabilità delle funzioni.
Ma, si è
visto nei precedenti capitoli, che risulta vero esattamente il
contrario: nell’ordinamento è immanente l’opposto principio
dell’inderogabilità delle competenze fissate dalla legge, sicchè
la delega è legittima solo quando è espressamente prevista dalla
legge stessa.
Nel caso di
specie, la legge non prevede in alcun modo deleghe ai consiglieri, se
non nelle esclusive ipotesi di cui all’articolo 54, comma 7, del
d.lgs 267/2000, sul quale si tornerà in seguito.
Considerando,
allora, che lo statuto, come visto nel precedente capitolo, non
dispone del potere normativo di introdurre la facoltà di delega, in
quanto la disciplina degli organi di governo degli enti locali è
riservata alla competenza esclusiva della legge statale, l’unica
strada per considerare legittima una delega del sindaco al
consigliere consiste nel negare che tale provvedimento consista
operativamente in una delega vera e propria. E questa è la linea
interpretativa adottata dal Tar Toscana, con la seconda sua
affermazione.
La
sentenza, infatti, si sforza di evidenziare che la delega conferita
nel caso esaminato non modifica gli assetti delle competenze tra
organi, in particolare tra organi di governo e organi gestionali,
perché intanto è riferita a questioni specifiche e limitate, non
finalizzate all’esercizio di attività “di governo”, ma solo
alla consulenza al sindaco e alla proposta di atti che rimangono di
sua pertinenza.
La delega,
dunque, non ha alterato le regole organizzative dell’ente, perché
l’atto espressamente stabilisce la parità di posizione del
consigliere delegato con i colleghi consiglieri, negando al delegato
ogni competenza all’adozione di atti di amministrazione attiva e
diretta e particolari posizioni nei confronti della dirigenza.
Un primo
rilievo critico, allora, che è possibile muovere alla sentenza
consiste nell’aver glissato sui principi di buon andamento ed
economicità dell’azione amministrativa, intesi nell’accezione di
garantire all’azione amministrativa speditezza ed efficienza,
intesa come capacità di raggiungere gli obiettivi fissati impiegando
il minor numero di risorse.
Se, di
fatto, la delega non è una delega, quale ragione giuridica può mai
stare alla base del provvedimento, che certamente crea, comunque, un
soggetto in più, nella macchina operativa, che possa ingerirsi in
alcuni ambiti per esprimere pareri, proposte, avere contatti col
pubblico? Difficile immaginare che la struttura amministrativa non
sia chiamata, ad esempio, a gestire l’agenda del consigliere
delegato.
Dunque, il
provvedimento sindacale può apparire legittimo in quanto non è una
vera e propria delega, perché privo dell’elemento necessario
perché la delega sussista: il trasferimento da parte dal delegante
della titolarità di alcune sue competenze al delegato, così da
creare un nuovo organo, dotato di propria competenza (sia pure a
titolo derivato e non originario), autonomia e responsabilità.
Ma, se
visto sotto la luce del buon andamento dell’azione amministrativa,
non si può non rilevare, quanto meno, la chiara inefficacia o la
dubbia utilità ed economicità del provvedimento di “delega”
tecnicamente adottato dal sindaco.
Altri,
però, e più rilevanti, punti di debolezza della sentenza del Tar
Toscana emergono dalla sua approfondita lettura.
Non può
concordarsi sul fatto che la posizione del consigliere delegato non
sia diversa da quella degli altri consiglieri.
Occorre,
intanto, ricordare che il consigliere, come singolo, non è un
organo. Egli rileva esclusivamente come componente dell’organo
collegiale di cui fa parte. Sicchè il consigliere non dispone di
competenze diverse rispetto a quelle del consiglio comunale. In
relazione all’organo collegiale dispone di poteri di iniziativa e
di prerogative, disciplinate dal regolamento. Nei confronti degli
organi di governo, gode di specifici poteri ispettivi.
Queste, a
ben vedere, sono le uniche specifiche attribuzioni del consigliere,
tutte rientranti nel ruolo da esso esercitato all’interno del
collegio di cui fa parte. Anche il penetrante diritto
all’acquisizione di tutte le informazioni in possesso degli uffici
è una prerogativa finalizzata, unicamente, a permettere al
consigliere di svolgere la funzione di indirizzo e controllo propria
dell’organo del quale fa parte, non certo connessa a personali e
proprie iniziative politico-amministrative, in quanto “organo”.
Poiché
questo è l’assetto delle competenze fissato dalla legge, il
consigliere comunale non può che esercitare le proprie prerogative
ed il diritto di iniziativa limitatamente alle competenze assegnate
dalla legge all’organo del quale è componente.
Per essere
più chiari, tornando alla configurazione della delega sintetizzata
prima, la materia dell’edilizia privata può essere conosciuta e
trattata da un consigliere, come proposta politico amministrativa
(comprendente, evidentemente, la propria cultura tecnica)
esclusivamente attraverso:
- l’esame delle proposte della giunta, del sindaco, di altri consiglieri;
- la presentazione di proprie proposte;
- l’intervento in aula, allo scopo di contribuire alla formazione del convincimento del consiglio, ma solo per le materie rispetto alle quali il consiglio sia competente: piani territoriali e urbanistici, nelle loro varie articolazioni e null’altro, dal momento che il consiglio non ha alcuna competenza ulteriore nella materia dell’edilizia privata;
- atti ispettivi, come interpellanze ed interrogazioni;
Ancora,
merita segnalare che il consigliere dispone di potere di iniziativa e
consulenza (intesa come prerogativa di intervenire in aula per
esporre il proprio pensiero, al fine di formare un provvedimento il
più possibile conforme alla volontà politico amministrativa, fermo
restando che la qualità tecnica è comunque ascritta alla competenza
e responsabilità degli uffici amministrativi) solo nei confronti del
consiglio, non certo del sindaco.
Il sindaco
è organo monocratico. In quanto tale, egli agisce in base a propria
iniziativa, proprie valutazioni, proprio autonomo indirizzo. Nessuna
disposizione prevede che altri soggetti dispongano, per l’adozione
dei provvedimenti di competenza del sindaco, atti di iniziativa,
quali sono le proposte.
Una delega
sindacale, allora, che attribuisca al consigliere una funzione
propositiva nei confronti del sindaco da parte del consigliere,
introduce un modello di relazione tra un componente del consiglio e
l’organo politico monocratico che la legge assolutamente non
contempla. Pertanto, la “delega-non delega” disposta dal sindaco
altera con chiara evidenza i rapporti non tanto tra organi di
governo, ma, in modo più grave, tra un componente di un organo di
governo – il consigliere, come tale privo di ogni soggettività di
organo – ed il sindaco.
In
sostanza, una delega come quella analizzata dal Tar Toscana fa sì
che il consigliere divenga partecipe, essendo depositario di un
potere di iniziativa nei confronti del sindaco, della formazione
della volontà del sindaco stesso, nell’ambito di materie che
esulano in modo assoluto dallo spettro della sua condizione di
consigliere, come tale, dunque, circoscritto alle specifiche
competenze che la legge attribuisce al consigliere.
In
effetti, per mezzo del provvedimento “extra
ordinem” di
“para-delega” sindacale, il consigliere viene messo nelle
condizioni di trattare, approfondire, conoscere temi che non dovrebbe
assolutamente prendere in esame in veste di “proponente” o
“istruttore”, ma, invece, nel ruolo di componente del consiglio,
quando il consiglio sia investito del compito di agire nella materia,
in quanto organo dotato della competenza, o per lo svolgimento delle
proprie prerogative di impulso e controllo, attraverso gli atti
ispettivi.
Altro,
allora, è che il consigliere, come componente del collegio, esamini
una proposta di un piano di lottizzazione, di competenza del
consiglio, in tal modo esplicando il diritto ad approfondire e
conoscere il contenuto di un atto che egli contribuirà ad adottare –
o meno – col proprio intervento ed il proprio voto; altro è,
invece, che il consigliere si occupi della concessione edilizia
attuativa.
Non
si può negare che attraverso il provvedimento di “delega”
esaminato dal Tar Toscana il sindaco espanda di gran lunga la portata
della funzione del consigliere comunale; e, sebbene il provvedimento
escluda che il consigliere svolga funzioni di amministrazione attiva,
in effetti egli svolge comunque tale funzione, anche se limitata
all’iniziativa-proposta. Pertanto, il vulnus
al sistema organizzativo e delle competenze degli organi, che il Tar
Toscana assume non esservi, si manifesta in tutta la sua gravità.
E’
certamente vero che il sindaco nello svolgimento delle sue attività,
anche in quanto organo monocratico, può certamente avvalersi di
altri soggetti che lo collaborano. Ma questi sono enucleati e
tassativamente indicati dalla legge.
Il primo
collaboratore (tecnico-politico) del sindaco è la giunta, che a
mente dell’articolo 48, comma 1, del d.lgs 267/2000 “collabora
col sindaco”. Dunque, se il vertice monocratico ha bisogno, come
appare necessario, di un supporto politico e di governo alla propria
azione, è alla giunta che deve far riferimento, non ad un
consigliere comunale, che fa parte di un organo che nei confronti
della giunta assume ruolo di indirizzo e controllo, col rischio che,
se come nel caso di specie avvenuto, un consigliere sia destinatario
di deleghe sindacali, si incorra nella commistione di funzioni, in
quanto il controllore compartecipa all’attività del controllato.
Il sindaco,
poi, trova altri collaboratori edittalmente individuati dal testo
unico, nel segretario comunale, nel direttore generale, nella
dirigenza, nel nucleo di valutazione, nel servizio di controllo
interno/strategico, nei soggetti di cui all’articolo 90.
Insomma,
la legge assegna al sindaco una schiera di soggetti (alcuni dei quali
in funzione di effettivo staff)
dotati di particolari competenze e responsabilità tecniche, per
permettergli l’espletamento del proprio mandato.
Pertanto,
la collaborazione politica è fornita dalla giunta; quella tecnica
dall’apparato amministrativo; la funzione di indirizzo generale è
del consiglio comunale.
L’assegnazione
ad un consigliere anche di parte sola delle funzioni della giunta o
dell’apparato di diretta collaborazione del sindaco è al di fuori
della normativa, extra
ordinem e lesiva dei
rapporti organizzativi.
Si pensi,
per altro, alla possibilità di un utilizzo anche parzialmente
elusivo della “delega” ai consiglieri, rispetto alle norme sul
dovere di astensione degli assessori.
Come è
noto, la discutibile norma contenuta nell’articolo 78, comma 3, del
d.lgs 267/2000 obbliga i componenti della giunta competenti in
materia di urbanistica, edilizia e lavori pubblici ad astenersi
dall’esercitare la propria attività professionale in materia, nel
territorio da essi amministrato.
Allora, un
ottimo sistema per aggirare la norma consiste, per il sindaco,
nell’affidare la materia dell’edilizia ad un professionista,
senza nominarlo, però, assessore. Quale modo migliore, dunque,
attribuirgli una “delega” come consigliere, per non incorrere nei
problemi operativi che potrebbero derivare dall’articolo 78, comma
3? Nel caso di specie affrontato dalla sentenza toscana il
consigliere delegato, come detto, è un architetto. Il sospetto che
l’incarico di delega ricevuto possa anche avere avuto questo scopo
elusivo rimane forte.
Di fatto,
ancora, si può notare che il provvedimento sindacale, ricostruito
come una “non-delega” preveda certamente prerogative e funzioni
che, non solo alterano i rapporti tra organi di governo
(consiglio-giunta; consigliere delegato- consigliere non delegato),
ma determinano, inoltre, una non tanto eventuale frattura nella
separazione delle competenze politico amministrative da quelle
gestionali.
Come
rilevato sopra, il provvedimento sindacale analizzato in sentenza,
tra l’altro prevede che il consigliere delegato si occupi:
1) dei
rapporti con gli uffici dell’edilizia privata e la programmazione
delle attività;
2) dello
snellimento delle procedure e procedimenti;
3) dell’interpretazione
e le modifiche ai regolamenti comunali in materia di edilizia,
compresi gli oneri di urbanizzazione;
4) della
definizione delle pratiche di condono edilizio;
5) dei
rapporti col pubblico, i professionisti e gli ordini professionali.
Ebbene,
sotto diversi profili, nessuna di tali funzioni potrebbe essere
attribuita a nessun assessore. Sicchè, meno che mai potrebbe essere
assegnata ad un consigliere delegato. Infatti, alcune di dette
competenze riguardano attività specificamente attinenti alla
gestione, altre attengono a funzioni di governo non esercitabili dal
singolo componente dell’organo collegiale.
Si pensi
alla funzione di gestione dei rapporti con gli uffici dell’edilizia
privata e la programmazione delle attività.
Il primo
elemento, costituito dai rapporti con gli uffici, nega quanto
affermato dal Tar che, cioè, il consigliere delegato non avrebbe nei
confronti degli uffici una posizione differenziata da quella di altri
consiglieri. Ma, se il provvedimento sindacale affida al consigliere
delegato la tenuta dei rapporti con gli uffici, tale differenziazione
non può non esservi, altrimenti che senso avrebbe disposizione del
sindaco? Il consigliere delegato, a differenza di tutti gli altri
consiglieri, in effetti dispone di un rapporto privilegiato con gli
uffici, nei confronti dei quali finisce per assumere una funzione “di
direzione” per via di delega, assimilabile proprio a quella degli
assessori, il che costituisce un sicuro indice di illegittimità
della delega, per evidente violazione dell’assetto delle
attribuzioni degli organi.
Il secondo
elemento, quello della programmazione delle attività, oltre a
confermare il primo, rappresenta una gravissima violazione
dell’assetto normativo locale. Infatti, se si tratta di
programmazione gestionale concreta, intesa come adozione di misure
organizzative finalizzate a stabilire le modalità operative
dell’ufficio, la competenza è ascritta esclusivamente al dirigente
competente.
Se si
tratta, invece, di programmazione generale delle attività, intesa
come definizione degli obiettivi, delle priorità e delle risorse,
essa è di esclusiva competenza del consiglio in termini di
programmazione generale-pluriennale (bilancio di previsione e
relazione previsionale e programmatica), e della giunta in termini di
programmazione attuativa annuale (piano esecutivo di gestione).
Quanto allo
snellimento delle procedure e dei procedimenti, è assolutamente
chiaro che il programma di governo può certamente prevedere tale
obiettivo. Ma, in quanto tale, in applicazione del principio di
separazione tra programmazione-controllo e gestione, l’obiettivo
non può che essere assegnato alla dirigenza, insieme con le
necessarie risorse, affinché sia attuato secondo gli indirizzi
forniti. Il consiglio potrà valutare, in sede successiva, lo stato
di attuazione dell’obiettivo, ma con riferimento alle attività
della giunta; il sindaco, mediante i servizi di controllo e il nucleo
di valutazione, verifica cosa abbia fatto il singolo dirigente. Il
consigliere, avvalendosi dei propri poteri ispettivi, può in ogni
momento compulsare il consiglio a verificare l’andamento
dell’attività, ma non può assolutamente ingerirsi nell’attuazione
della semplificazione, aspetto, per altro, quasi esclusivamente
tecnico-amministrativo.
Ancora più
lampante è la questione della definizione delle pratiche del condono
edilizio. In questo caso, la violazione di ogni principio in merito
all’attribuzione delle competenze degli organi è chiarissima. Il
condono è materia esclusivamente organizzativa e tecnica, rispetto
alla quale nessun organo di governo ha alcuna competenza se non in
termini di direttive generali e fissazione di obiettivi e risorse. A
nessun consigliere, nessun assessore, neanche al sindaco, la legge
permette di definire la pratica di condono.
Quanto ai
rapporti col pubblico ed i professionisti, il consigliere in quanto
eletto dalla cittadinanza può, naturalmente, intrattenere rapporti
con chiunque. Purchè contenuti nella cura del proprio elettorato,
intesa come acquisizione di istanze, informazioni, sensibilità,
proposte, lagnanze, da utilizzare per il miglior espletamento del
proprio mandato. Non certo come ufficiale relazione in ruolo di
“rappresentanza” dell’ente nei confronti delle specifiche
esigenze amministrative del pubblico, perché anche questo sarebbe
una fin troppo evidente violazione dei summenzionati principi.
Infine,
anche la competenza in merito all’interpretazione e le modifiche ai
regolamenti comunali in materia di edilizia, compresi gli oneri di
urbanizzazione è impropriamente attribuita al consigliere delegato,
se intesa come proposta al sindaco di modifica.
Il
consigliere, come rilevato sopra, formula le proposte al consiglio.
Può liberamente esaminare i regolamenti e, in base a questi,
proporre deliberazioni di indirizzo ed interpretative, nell’esercizio
di un potere di iniziativa rivolto all’organo di governo di cui è
parte, che legittimamente può adottare tali provvedimenti.
Ma
il consigliere-delegato agirebbe realmente in posizione fortemente
differenziata dagli altri consiglieri se svolgesse tale funzione
avvalendosi di un ufficio, uno staff,
risorse di ogni tipo a lui assegnate nell’ambito dell’unità
organizzativa edilizia privata, alla stregua di un assessore?
La sentenza
del Tar Toscana, in conclusione, pare non aver considerato
l’efficacia sostanziale, al di là del dato formale, del
provvedimento di “delega” avverso il quale è stato proposto il
ricorso, sottovalutando in maniera superficiale le non solo
potenziali, ma effettive, violazioni all’assetto organizzativo
locale che da esso deriva.
Il Tar ha
omesso di sanzionare l’evidente tentativo di aggirare le più
svariate norme riguardanti l’assetto delle competenze tra organi di
governo e tra questi ed organi gestionali, attività nella quale sono
strenuamente ed indefessamente impegnate le amministrazioni locali,
nel tentativo di disapplicare di fatto i principi di separazione,
previsti in linea di diritto, ma mai del tutto accettati dalle
compagini politiche, perché considerati lesivi delle proprie
prerogative, considerate garantite solo se ed in quanto si estendano
alla minta gestione, vista come fonte vera del consenso elettorale.
Decisive,
allora, appaiono le motivazioni a sostegno della tesi contraria ad
ogni possibilità di delega del sindaco in favore dei consiglieri,
basata sulla ricognizione dell’assoluta assenza di una norma che
consenta al sindaco di delegare i consiglieri (con l’eccezione
dell’articolo 54, comma 7), e sull’osservazione che una delega di
funzioni sindacali ad un consigliere altera in modo irrimediabile il
rapporto tra consiglio e giunta, cioè tra il consiglio inteso come
organo di indirizzo e controllo, che ha come oggetto del controllo
l’attività della giunta, ed organo soggetto al controllo, la
giunta stessa.
In effetti,
nei fatti è evidente che dietro alle deleghe del sindaco ai
consiglieri si celi l’intento di “rinsaldare” i rapporti
politici all’interno della maggioranza, attribuendo funzioni ed
incarichi anche non previsti dalla legge per “tacitare” eventuali
malumori interni e per annullare, così, eventuali dissidi tra
maggioranza e giunta, giungendo indirettamente al risultato proprio
di azzerare di fatto la funzione di controllo che il consiglio in
quanto organo deve esercitare nei confronti della giunta.
Difficilmente, infatti, i componenti del consiglio, se coinvolti
anche surrettiziamente nell’amministrazione, in quanto controllori
di se stessi potrebbero muovere critiche, anche solo di merito, al
sindaco ed alla giunta: in tal modo, le opposizioni presenti nel
consiglio finirebbero per essere del tutto isolate, in un esercizio
di controllo che diverrebbe solo formale e, dunque, vano.
S’è, per
altro, visto prima che il Tar Lombardia-Milano nel 1994 si è
pronunciato decisamente contro la possibilità che il sindaco deleghi
i consiglieri, considerando simile delega illegittima, in mancanza di
un norma di legge che lo consenta espressamente. In particolare, il
Tar Lombardia considerò illegittimo un provvedimento sindacale
emesso sulla base di studi e ricerche effettuati da alcuni
consiglieri comunali, perché il nuovo assetto dell’ordinamento
locale ha escluso ogni possibilità collaborativa dei consiglieri col
sindaco, allo scopo di evitare la commistione tipica del precedente
assetto tra controllore e controllato.
La
mancanza, inoltre, di specifiche disposizioni normative sulla delega
e la previsione, nell’ordinamento locale, del principio di
ripartizione delle funzioni tra organi di governo, secondo la
decisione del giudice milanese, rende impossibile instaurare rapporti
non codificati, non previsti espressamente, cioè, dalla legge, tra i
diversi organi comunali.
Il Tar
Lombardia osservò, in conclusione, che tra le attività del
consigliere comunale non rientra la collaborazione diretta col
sindaco, sotto qualsiasi forma, in quanto ciò potrebbe menomare la
libertà di giudizio e la posizione di parità di ciascun
consigliere. Tanto che la collaborazione col sindaco è espressamente
riservata dalla legge agli assessori ed alla dirigenza.
Si
deve, per altro, osservare che quando la legge ha voluto concedere al
sindaco una facoltà di delega ai consiglieri, lo ha fatto
esplicitamente, nel caso dell’articolo 54, comma 7, del d.lgs
267/2000, a mente del quale “nelle
materie previste dalle lettere a), b), c) e d)12
del comma 1, nonché dall'articolo 1413,
il sindaco, previa comunicazione al prefetto, può delegare
l'esercizio delle funzioni ivi indicate al presidente del consiglio
circoscrizionale; ove non siano costituiti gli organi di
decentramento comunale, il sindaco può conferire la delega ad un
consigliere comunale per l'esercizio delle funzioni nei quartieri e
nelle frazioni”.
Poiché
la legge, quando ammette esplicitamente la delega, disciplina una
“deroga” all’ordine delle competenze, la normativa in merito
deve essere considerata tassativa e non suscettibile di applicazione
per analogia. Dunque, gli unici casi nei quali il sindaco può
delegare un consigliere sono quelli tassativamente enumerati
nell’articolo 54, comma 7, del testo unico, sicchè tutte le altre
funzioni del sindaco, che sottendono la funzione di governo
amministrativo del comune, non possono essere delegate né ad un
assessore, né, tanto meno, ad un consigliere14.
Per altro,
la delega al consigliere è da considerare alternativa e subordinata
alla delega al presidente del consiglio circoscrizionale: si può
affermare che laddove il comune abbia costituito consigli
circoscrizionali, i consiglieri non possono essere delegati neanche
nelle materie viste prima, perché il destinatario di tali deleghe
deve essere necessariamente il presidente del consiglio
circoscrizionale.
Su
questo tema, è intervenuta la giurisprudenza15
per chiarire che l’ordinamento locale determina le funzioni dei
comuni anche con riguardo alle competenze degli organi e autorità
comunali, facendo riferimento alla possibilità di conferire deleghe
al presidente del consiglio circoscrizionale esclusivamente nelle
materie, di competenza del sindaco, indicate, nel vigente sistema,
nell’articolo 54 del testo unico, afferenti alle competenze del
sindaco nei servizi statali o quale ufficiale di Governo. In
conseguenza di ciò, è da esclusa ed in configurabile ogni altra
attribuzione al presidente del consiglio circoscrizionale in
qualunque altra forma di investitura, sia diretta, sia mediante
deleghe, in particolare in materie che rientrino nella specifica
competenza gestionale dei dirigenti o dei responsabili di servizio.
Con
riferimento, ancora, all’articolo 54, merita chiarire che il suo
comma 5, a mente del quale chi sostituisce il sindaco ne esercita le
funzioni previste dall’articolo 54 medesimo, non è norma che fondi
un’ipotesi di delega dal sindaco al suo sostituto. Si è visto,
infatti, nel precedente capitolo XVI che la sostituzione è una
modalità organizzativa del tutto diversa dalla delega. Pertanto, il
vice sindaco, che sostituisca il sindaco assente o impedito
nell’adozione degli atti di cui all’articolo 54 del d.lgs
267/2000, non è un delegato, ma una persona fisica legittimata in
via straordinaria ad adottare i poteri propri del sindaco,
insediandosi temporaneamente nella funzione di sindaco.
Occorre
sottolineare che per quanto riguarda il presidente della provincia il
limite alla delegabilità delle funzioni ai consiglieri è ancora più
forte, dal momento che non esiste alcuna norma che gli attribuisca
espressamente tale potere.
1
E. Barusso, commento all’articolo 50 del d.lgs 267/2000 in Testo
unico degli enti locali cit., pag. 558; E. Sortino in I nuovi
statuti degli enti locali, Ed. Anci, pag. 55; in maniera dubitativa,
T. Tessaro, L. Vandelli, in Commenti al T.U. sull’ordinamento
delle autonomie locali, vol. 2, Organi e sistema elettorale, ed.
Maggioli, Rimini 2001, pag. 560.
2
F. Staderini Diritto degli enti locali cit., pagg. 327-339.
3
T. Tessaro, L. Vandelli, Commenti al T.U. sull’ordinamento delle
autonomie locali, vol. 2, cit. pag. 563.
4
Merita segnalare che, comunque, ai sensi dell’articolo 13 del Ccnl
23 dicembre 1999 dell’area dirigenza, che rinvia alla disciplina
dell’articolo 21 del d.lgs 165/2001, la revoca può essere
conseguenza di una qualificata gravità dell’inosservanza delle
direttive.
5
F. Staderini, Diritto degli enti locali, cit., pag. 333.
6
L. Oliveri, La potestà normativa locale dopo la legge n. 131/2003,
in Nuova Rassegna, 3/2004, pag. 331 e segg.
7
Così L. Vandelli, in Commenti al T.U. sull’ordinamento delle
autonomie locali, vol. 2, cit., pag. 413.
8
T. Tessaro, Commenti al T.U. sull’ordinamento delle autonomie
locali, vol. 2, cit., pag. 419.
9
Per tutti, si rinvia alla risposta al quesito 4.11.1996 nell’ambito
del servizio Ancirisponde del servizio Ancitel, in www.ancitel.it.
10
Il consigliere delegato, nel caso di specie, è un architetto questa
osservazione è estremamente importante per le considerazioni
critiche che si svolgeranno di seguito.
11
Tar Lombardia – Milano, Sezione I, 6 maggio 1994, n. 318.
12
Tali materie attengono:
a) alla tenuta dei registri di stato
civile e di popolazione ed agli adempimenti demandati al sindaci
dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica;
b) alla emanazione degli atti che sono
attribuiti al sindaco dalle leggi e dai regolamenti in materia di
ordine e di sicurezza pubblica;
c) allo svolgimento, in materia di
pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, delle funzioni affidate
al sindaco dalla legge;
d) alla vigilanza su tutto quanto
possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone il
prefetto.
13
Se ne riporta il testo: “Articolo 14 - Compiti del comune per
servizi di competenza statale
1. Il comune gestisce i servizi
elettorali, di stato civile, di anagrafe, di leva militare e di
statistica.
2. Le relative funzioni sono
esercitate dal sindaco quale ufficiale del Governo, ai sensi
dell'articolo 54.
3. Ulteriori funzioni
amministrative per servizi di competenza statale possono essere
affidate ai comuni dalla legge che regola anche i relativi rapporti
finanziari, assicurando le risorse necessarie”.
14
L. Giovenco, A. Romano, L’ordinamento comunale, ed. Giuffrè,
Milano, 1994, pag. 639.
15
Tar Lazio-Roma, Sezione II-ter, 1364/2001.
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