Il decreto milleproroghe sembra porre, finalmente, la parola fine sulla questione della pubblicazione dei dati patrimoniali dei dirigenti pubblici.
Si badi: "dati patrimoniali", non "reddituali". I redditi percepiti dai dirigenti pubblici sono oggetto di pubblicazione nella sezione Amministrazione Trasparaente delle pubbliche amministrazioni sin dal 2019. Ed è dalla vigenza dell'articolo 17, comma 22, della legge 127/1997 (legge Bassanini) che i dirigenti depositano dichiarazioni dei redditi e patrimoniali presso le amministrazioni di appartenenza, le quali, quindi, da sempre possono attivare con ogni mezzo qualsiasi strumento di controllo sulla percezione dei redditi.
La vicenda nasce dalla riforma Madia. Nel 2016, mentre era in piena elaborazione la riforma della dirigenza pubblica, venne modificato l'articolo 14 del d.lgs 33/2013, inserendovi il comma 1-bis, il cui scopo fu estendere alla dirigenza pubblica il medesimo regime di trasparenza di redditi e patrimoni, previsto per i politici.
Una previsione dal sapore per un verso visibilmente populista, ma per altro verso tendente ad assimilare la funzione dei dirigenti pubblici a quella politica, nella persuasione che la dirigenza pubblica debba essere tutt'uno con la politica, non apparato servente, ma servile, sì che gli incarichi dirigenziali dovessero dipendere dalla "personale adesione" del dirigente all'indirizzo politico di turno. Tutta la riforma Madia della dirigenza pubblica era caratterizzata da questo intento evidentissimo di politicizzazione della dirigenza pubblica: i ruoli dirigenziali altro non sarebbero stati se non una sorta di limbo abilitativo, al quale i politici avrebbero di volta in volta attinto evidentemente solo in base agli Auto da fè più convincenti dei dirigenti, la cui precarizzazione sarebbe stata estrema, oltre ogni limite consentito dall'articolo 98 della Costituzione.
Quella riforma, fortuntamente e fortuitamente, non è andata in porto. Ma, il comma 1-bis dell'articolo 14 del d.lgs 33/2013 era chiaramente un'anticipazione delle sue conseguenze: l'equivalenza assoluta tra ruolo di dirigente pubblico e ruolo politico.
Però, quell'equivalenza assoluta nell'ordinamento non esiste o, almeno, è limitata a pochissimi dirigenti pubblici: i dirigenti dei massimi vertici dei ministeri (direttori e segretari generali), capi di gabinetto, consiglieri legislativi, prota voce, addetti stampa, capi delle segreterie particolari, dirigenti assunti a contratto senza concorsi ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001.
Gli altri dirigenti di ruolo sono assunti per concorso nei vari ruoli ed assolvono a funzioni operative nel rispetto, certo, degli indirizzi politici prestando la massima lealtà istituzionale ed obbligandosi a conseguire i risultati previsti alla luce delle proprie competenze tecniche, ma senza nessun vincolo, anche solo potenziale, di appartenenza politica e senza connettere in alcun modo il proprio ruolo agli esiti elettivi.
La stampa generalista ha cavalcato l'onda del populismo, parlando di "rivolte" dei dirigenti pubblici contro la clamorosa intromissione del legislatore nella privacy di dirgenti che sono e restano, comunque, lavoratori subordinati che prestano la propria attività nell'esclusivo interesse della Nazione e non funzionari di partito.
Il Fatto Quotidiano non ha mancato di inserirsi tra le principali voci populiste, invocanti "trasparenza" a sproposito.
Non c'è da stupirsi, quindi, se il medesimo giornale digerisca poco l'intervento del d.l. 162/2019 sul tema.
Ma, le previsioni del d.l. 162/2019 sono finalizzate ad attuare, con una rotta correttamente del tutto opposta a quella suggerita dall'Anac, la sentenza della Corte costituzionale 20/2019. E' il caso di riportarne alcuni passaggi essenziali:
- "I destinatari originari di questi obblighi di trasparenza sono titolari di incarichi che trovano la loro giustificazione ultima nel consenso popolare, ciò che spiega la ratio di tali obblighi: consentire ai cittadini di verificare se i componenti degli organi di rappresentanza politica e di governo di livello statale, regionale e locale, a partire dal momento dell’assunzione della carica, beneficino di incrementi reddituali e patrimoniali, anche per il tramite del coniuge o dei parenti stretti, e se tali incrementi siano coerenti rispetto alle remunerazioni percepite per i vari incarichi";
- "A diverse conclusioni deve pervenirsi con riferimento agli obblighi di pubblicazione indicati nella lettera f) del comma 1 dell’art. 14 del d.lgs. n. 33 del 2013, in quanto imposti dal censurato comma 1-bis dello stesso articolo, senza alcuna distinzione, a carico di tutti i titolari di incarichi dirigenziali. Anche per essi, oltre che per i titolari di incarichi politici, è ora prescritta la generalizzata pubblicazione di dichiarazioni e attestazioni contenenti dati reddituali e patrimoniali (propri e dei più stretti congiunti), ulteriori rispetto alle retribuzioni e ai compensi connessi alla prestazione dirigenziale. Si tratta, in primo luogo, di dati che non necessariamente risultano in diretta connessione con l’espletamento dell’incarico affidato. Essi offrono, piuttosto, un’analitica rappresentazione della situazione economica personale dei soggetti interessati e dei loro più stretti familiari, senza che, a giustificazione di questi obblighi di trasparenza, possa essere sempre invocata, come invece per i titolari di incarichi politici, la necessità o l’opportunità di rendere conto ai cittadini di ogni aspetto della propria condizione economica e sociale, allo scopo di mantenere saldo, durante l’espletamento del mandato, il rapporto di fiducia che alimenta il consenso popolare";
- "L’onere di pubblicazione in questione risulta, in primo luogo, sproporzionato rispetto alla finalità principale perseguita, quella di contrasto alla corruzione nell’ambito della pubblica amministrazione. La norma impone la pubblicazione di una massa notevolissima di dati personali, considerata la platea dei destinatari: circa centoquarantamila interessati (senza considerare coniugi e parenti entro il secondo grado), secondo le rilevazioni operate dall’ARAN e citate dal Garante per la protezione dei dati personali (nel parere reso il 3 marzo 2016 sullo schema di decreto legislativo che, successivamente approvato dal Governo, come d.lgs. n. 97 del 2016, ha introdotto la disposizione censurata)";
- "Nel caso in esame, alla compressione – indiscutibile – del diritto alla protezione dei dati personali non corrisponde, prima facie, un paragonabile incremento né della tutela del contrapposto diritto dei cittadini ad essere correttamente informati, né dell’interesse pubblico alla prevenzione e alla repressione dei fenomeni di corruzione";
- "Tali forme di pubblicità rischiano piuttosto di consentire il reperimento “casuale” di dati personali, stimolando altresì forme di ricerca ispirate unicamente dall’esigenza di soddisfare mere curiosità".
La Consulta, qualsiasi cosa ne pensi la stampa generalista, è stata chiarissima: pretendere di estendere ai dirigenti la cui attività non sia nè strettamente legata alla personale adesione all'indirizzo politico di chi incarica, nè dunque connessa all'esercizio di tale indirizzo politico e alla durata del mandato, significa comprimere ingiustificatamente il diritto alla protezione di dati anche particolarmente delicati, come quelli del patrimonio, al solo scopo di soddisfare la mera curiosità.
Il d.l. 162/2019 assolve, come doveroso, il compito di ridimensionare l'inopportuna estensione alla dirigenza (che non è solita ampliare il proprio patrimonio con fondazioni o conferenze internazionali) degli obblighi di pubblicare i patrimoni invece opportuni per chi dal consenso popolare tragga il proprio mandato amministrativo.
I dati patrimoniali resteranno, come ormai da 22 anni, comunque a disposizione dei datori pubblici per lo svolgimento di qualsiasi verifica.
Per quanto le "analisi del contesto", la "trasparenza", la creazione di un clima favorevole all'etica, siano opportuni, la lotta alla corruzione si fa non tanto con le piazzate, quanto con l'attivazione di strumenti di controllo. Meglio, se preventivo. La ricerca della soddisfazione della mera curiosità genera solo confusione e contenziosi; per altro, quelli inopportunamente causati dalla riforma Madia sono stati, tutti, persi dallo Stato. Ne valeva la pena?
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