Ancora sul tema della pubblicazione dei patrimoni dei dirigenti, come fosse una questione di chissà quale rilevanza, torna il Corriere della sera, ospitando una lettera aperta del presidente dell'Anac, Francesco Merloni. Eccolo:
"la trasparenza è sempre un valore.
la lettera
Caro direttore, l'inchiesta di Gian Antonio Stella «Per i burocrati la trasparenza è voyeurismo» (Corriere
, 12 gennaio) impone una domanda ineludibile: la trasparenza è ancora considerata un valore nel nostro Paese? Essa è di certo un potente strumento di prevenzione della corruzione perché rende le amministrazioni «case di vetro» (sia riguardo l'organizzazione interna che la loro attività) e realizza inoltre quel diritto conoscere del cittadino che rappresenta il tratto distintivo delle democrazie più avanzate. Eppure essa sembra essere divenuta per alcuni un fastidio.
Il tema riguarda l'obbligo per tutti i dirigenti di rendere pubblici i dati reddituali e patrimoniali, su cui già nel 2016 l'Anac aveva espresso perplessità per la previsione eccessiva e indifferenziata della norma. La Corte costituzionale al riguardo è stata chiara: questo tipo di informazioni va graduato in funzione del ruolo, non abrogato tout court. Sussistono infatti esigenze di particolare pubblicità «nei confronti di soggetti cui siano attribuiti ruoli dirigenziali di particolare importanza», proprio in ragione dei «compiti di elevatissimo rilievo».
Il decreto Milleproroghe ha rinviato la materia a un futuro Regolamento governativo e, nell'attesa, ha sospeso le sanzioni in caso di inadempienza. Eppure la trasparenza di redditi e patrimoni esiste per i parlamentari dal lontano 1982 e nessuno ha mai gridato allo scandalo: non si capisce perché dovrebbero essere esclusi da un analogo regime di trasparenza coloro che ricoprono funzioni apicali o collaborano direttamente con gli organi politici.
Non vi è nessun pregiudizio, come qualcuno artatamente lascia intendere: la prevenzione e la trasparenza prescindono da valutazioni sulla propensione personale alla corruzione, mirano solo a rendere più complicato il suo verificarsi (fermo restando, come ha rilevato un recente dossier Anac, che sempre più spesso accade che dei dirigenti abbiano avuto ruoli non secondari negli illeciti scoperti).
C'è da augurarsi che la graduazione della disciplina non produca un ripiegamento, anche culturale. A leggere la norma vi è infatti il rischio che, ben al di là delle prescrizioni della Consulta, venga ridotta anche la trasparenza sui compensi percepiti dai dirigenti, pacificamente in vigore fin dalla riforma Brunetta del 2009 .
È una vicenda all'apparenza minore, ma che rischia di mettere in discussione, se il Parlamento non vi pone rimedio in sede di conversione del decreto, i progressi conseguiti dall'Italia in tema di trasparenza e riconosciuti di recente anche dalle Nazioni Unite".
A leggere questa nota si ha l'impressione, certamente sbagliata, di una sorta di "crociata" per la trasparenza, come se da un lato vi fossero i "buoni" la stampa che fa le inchieste, e dall'altra i cattivi, cioè i dirigenti, che fanno le bizze e non vogliono essere trasparenti.
La nota del presidente dell'Anac si connota per almeno questi punti un po' strani:
1. parla dell'articolo di Gian Antonio Stella come di "inchiesta". A ben vedere, dell'inchiesta, che consiste in un approfondimento anche tecnico della questione e che non deve mai fare a meno di sentire due possibili opinioni non coincidenti, l'articolo non ha nulla. E' sostanzialmente un commento alla norma del decreto milleproroghe che sospende le sanzioni per la mancata pubblicazione di redditi e patrimoni, delegando il Governo ad adottare un regolamento che chiarisca devinitivamente la vicenda, enunciando il preciso intento di attuare la sentenza della Consulta 20/2019. Una norma che lo Stella non condivide. Ma, che è obbligatoria: la sentenza dela Consulta è valida e vigente, qualsiasi cosa ne pensi Stella e chiunque altro.;
2. afferma che la trasparenza "per alcuni" sarebbe "un fastidio". Sarebbe interessante sapere chi siano questi "qualcuno". Già, perchè se il "fastidio" fosse rappresentato dalla sentenza della Corte costituzionale 20/2019, apparirebbe abbastanza strano considerare la Consulta come soggetto che muova un "fastidio" verso la trasparenza. Inutile girare intorno con perifrasi e sofismi: il Governo ha emanato la norma di cui si parla per attuare la sentenza della Consulta. Qui nessuno prova "fastidio" per la trasparenza. Semplicemente, la Corte costituzionale si è pronunciata su una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tar Lazio ed ha ritenuto che la norma introdotta nel 2016 per imporre a tutta la dirigenza, senza eccezione alcuna, di pubblicare i dati patrimoniali (non i redditi: nessuno ha messo in discussione questo obbligo) fosse incostituzionale, nella parte appunto che obbliga tutti i dirigenti, e non solo quelli di massimo vertice il cui incarico sia connotato da fiduciarietà tale da fondarsi sulla "personale adesione" (come indica la giurisprudenza constante della Consulta);
3. parla, poi, di un "ripiegamento culturale" sulla trasparenza. Ma, quale ripiegamento? Da cosa deriverebbe? Da una sentenza della Consulta che accerta l'incostituzionalità di una norma?
Appare francamente un po' contraddittorio:
a) affermare che "già nel 2016 l'Anac aveva espresso perplessità per la previsione eccessiva e indifferenziata della norma";
b) aggiungere che "La Corte costituzionale al riguardo è stata chiara: questo tipo di
informazioni va graduato in funzione del ruolo, non abrogato tout court.
Sussistono infatti esigenze di particolare pubblicità «nei confronti di
soggetti cui siano attribuiti ruoli dirigenziali di particolare
importanza», proprio in ragione dei «compiti di elevatissimo rilievo»"
C) e poi, però, paventare ripiegamenti culturali e fastidi nei confronti della trasparenza.
Poichè nel 2016 l'Anac aveva espresso le proprie (fondate) perplessità, l'Anac dovrebbe in toto condividere le conclusioni della sentenza, che non portano a nessun ripiegamento culturale, ma hanno sollecitato il legislatore a graduare gli adempimenti. Infatti, l'articolo 1, comma 7, del d.l. 162/2019 contiene esattamente questo criterio di delega al regolamento governativo: "a) graduazione degli obblighi di pubblicazione dei dati di cui al
comma 1, lettere a), b), c), ed e), dell'articolo 14, comma 1, del
decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, in relazione al rilievo
esterno dell'incarico svolto, al livello di potere gestionale e
decisionale esercitato correlato all'esercizio della funzione
dirigenziale". Non pare che il criterio sia del tutto coerente con la sentenza, come sintetizzata egregiamente dal Merloni?
Infine. Il presidente dell'Anac sottolinea che "la trasparenza di redditi e patrimoni esiste per i parlamentari dal
lontano 1982 e nessuno ha mai gridato allo scandalo: non si capisce
perché dovrebbero essere esclusi da un analogo regime di trasparenza
coloro che ricoprono funzioni apicali o collaborano direttamente con gli
organi politici".
Osservazione giusta. Ma, fuori tema. Non si sta parlando degli obblighi di pubblicità per gli organi elettivi, ma per i dirigenti.
Il presidente dell'Anac, come il giornalista Stella, ha certamente letto la sentenza della Consulta 20/2019, approfondendola e cogliendone ogni aspetto. Sa perfettamente che è proprio la Corte costituzionale a ritenere inevitabile una differenziazione del regime di trasparenza tra chi deve la propria carica ad un mandato fiduciario di tipo elettivo e chi, invece, svolga un lavoro subordinato. Scrivono i giudici della Consulta: "A diverse conclusioni deve pervenirsi con riferimento agli obblighi di pubblicazione indicati nella lettera f) del comma 1 dell’art. 14 del d.lgs. n. 33 del 2013, in quanto imposti dal censurato comma 1-bis dello stesso articolo, senza alcuna distinzione, a carico di tutti i titolari di incarichi dirigenziali. Anche per essi, oltre che per i titolari di incarichi politici, è ora prescritta la generalizzata pubblicazione di dichiarazioni e attestazioni contenenti dati reddituali e patrimoniali (propri e dei più stretti congiunti), ulteriori rispetto alle retribuzioni e ai compensi connessi alla prestazione dirigenziale. Si tratta, in primo luogo, di dati che non necessariamente risultano in diretta connessione con l’espletamento dell’incarico affidato. Essi offrono, piuttosto, un’analitica rappresentazione della situazione economica personale dei soggetti interessati e dei loro più stretti familiari, senza che, a giustificazione di questi obblighi di trasparenza, possa essere sempre invocata, come invece per i titolari di incarichi politici, la necessità o l’opportunità di rendere conto ai cittadini di ogni aspetto della propria condizione economica e sociale, allo scopo di mantenere saldo, durante l’espletamento del mandato, il rapporto di fiducia che alimenta il consenso popolare".
Una graduazione degli obblighi di pubblicità tra cariche elettive, dirigenti fiduciari di queste e dirigenza di ruolo non fiduciaria è considerata legittima e naturale dalla Corte costituzionale. Non è un "fastidio" verso la trasparenza, nè un "ripiegamento culturale". E' la presa d'atto che oggettivamente il controllo pubblico sul patrimonio è tale da incidere sulla riservatezza nei confronti di chi svolga un ruolo pubblico con poteri molto forti di determinazione dell'indirizzo politico e che deve la propria carica alla formazione del consenso. Ruolo che non implica per nulla la presunzione di una propensione alla corruzione, ma un rischio potenziale rilevante.
Il presidente dell'Anac ha dimenticato di ricordare che, in ogni caso, i dati dei redditi e dei patrimoni dei dirigenti, tutti i dirigenti, non sono affatto "segreti", come l'occhiello dell'articolo di Stella suggerisce. I dirigenti sono tenuti da anni, ai sensi dell'articolo 17, comma 22, della legge 127/1997, a depositare alle amministrazioni di appartenenza dichiarazioni dei redditi e dei patrimoni. A parte la circostanza che le amministrazioni possono accedere senza alcun problema per qualsiasi controllo a dati, quelli reddituali e patrimoniali, comunque inseriti in banche dati pubbliche di Agenzia delle Entrate, Agenzia del Territorio e Inps e, quindi, attivare in ogni momento ogni genere di controllo, affidandolo alle forze dell'ordine.
Certo, se poi qualcuno tiene denari oggetto di corruzione o concussione dentro i pouf di casa o riesca a nasconderli con complicati giri finanziari internazionali, i controlli sono difficili. Ma, non è con "crociate" che alla fine vanno a scontrarsi contro la Consulta e creano un clima di pregiudizio nei confronti dei dirigenti pubblici che si risolvano i problemi connessi alla complicata lotta alla corruzione.
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