Chi scrive ebbe ad esporre le medesime conclusioni ed argomentazioni nel novembre 2019, con un articolo su La Gazzetta degli Enti Locali, ed Maggioli.
Se ne riporta il testo.
Commissari di
concorso: se dipendenti pubblici sempre in servizio. I compensi solo se
“esterni”
Di Luigi Oliveri
L’articolo 3, commi da 12 a 14,
della legge 56/2019, si rivela norma estremamente complessa e difficile da
attuare. Pur appartenendo ad una legge che pomposamente di autoqualifica
“concretezza”, di concreto, considerata la poca qualità della formulazione del
testo, ha purtroppo ben poco. La concretezza nel lavoro pubblico (e ovviamente
non solo) si conquisterebbe prima di tutto scrivendo le leggi in modo chiaro e
non arruffato.
Andiamo al problema. Esaminiamo
il testo del comma 12 dell’articolo 3 citato prima: “Gli incarichi di
presidente, di membro o di segretario di una commissione esaminatrice di un
concorso pubblico per l'accesso a un pubblico impiego, anche
laddove si tratti di concorsi banditi da un'amministrazione diversa da quella
di appartenenza e ferma restando in questo caso la necessita'
dell'autorizzazione di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165, si considerano ad ogni effetto di legge conferiti in
ragione dell'ufficio ricoperto dal dipendente pubblico o comunque conferiti
dall'amministrazione presso cui presta servizio o su designazione della stessa”.
Riscritta in maniera più
comprensibile, la norma stabilisce che:
- un dipendente pubblico incaricato come presidente, membro o segretario di una commissione di concorso pubblico;
- sia che dipenda dalla medesima amministrazione che ha indetto il concorso, sia che dipenda da altra amministrazione;
- svolge l’incarico:
1.
sempre in ragione dell’ufficio ricoperto: è, quindi,
un’attività che rientra nelle prerogative dei dipendenti pubblici, e
1.
se presso la medesima amministrazione di appartenenza,
l’incarico è svolto in quanto conferito dall’amministrazione presso cui presta
servizio;
2.
se presso alta amministrazione, l’incarico è svolto su
designazione ed eventualmente designazione dell’amministrazione presso cui
presta servizio.
Il principale scopo della norma è
evidenziare che lo svolgimento dei ruoli acquisibili nell’ambito delle
commissioni di concorso pubblico attiene alla fondamentale funzione
pubblicistica di reclutamento del personale, necessario al buon andamento della
pubblica amministrazione. Quindi, affermazione 1., ogni dipendente pubblico che
venga incaricato di far parte di una commissione di concorso svolge attività
considerate comprese nei doveri d’ufficio. Questa precisazione è utile per
verificare in che rapporto stia l’assegnazione dell’incarico con la altrettanto
complessa formulazione dell’articolo 53, comma 2, del d.lgs 165/2001, ai sensi
del quale “Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti
incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano
espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che
non siano espressamente autorizzati”. Trattandosi di doveri d’ufficio
(potenziali, resi effettivi appunto dall’incarico), le pubbliche
amministrazioni possono sempre incaricare nelle commissioni d’esame propri
dipendenti.
Ora, poiché l’incarico è svolto
nell’espletamento di doveri d’ufficio, scatta una precisa conseguenza, riferita
al caso di assunzione di ruoli in commissioni d’esame nell’ambito del medesimo
ente di appartenenza: il presidente, il componente o il segretario della
commissione, poiché svolgono una funzione connessa al proprio ufficio, sono da
considerare a tutti gli effetti in servizio ed adibiti correttamente ad una
prestazione lavorativa, per quanto difforme da quella generalmente svolta, ma
liberamente pretensibile dal datore di lavoro e comunque potenzialmente
attinente sempre alle proprie mansioni.
Di conseguenza, contrariamente
alla prassi che era molto in voga tempo addietro presso le pubbliche
amministrazioni, il dipendente dell’ente che ha indetto il concorso, non deve
essere considerato assente dal servizio e tenuto a timbrare per la durata
dell’attività della commissione.
Il dipendente incaricato nella
commissione può e deve svolgere le attività nella commissione senza timbrare,
ma solo ovviamente comunicando a chi di interesse l’indisponibilità alle
attività generalmente svolte, perché impegnato in commissione.
Ulteriore conseguenza di questa
previsione è che il dipendente della medesima amministrazione procedente non
può ottenere alcun compenso per l’attività svolta nella commissione.
Come chiarito dal Tar Veneto,
Sezione II, con sentenza 700/2007, “la partecipazione alle commissioni
giudicatrici per i componenti interni rientra nell’ordinario contenuto del
rapporto di impiego con l’Amministrazione che ha indetto il concorso, il quale
ben può comprendere anche prestazioni lavorative occasionali (che, proprio per
tale loro specifica natura, non sono previste dalla contrattazione collettiva
di settore). Ed è evidente come, in tale contesto, quelle prestazioni
occasionali non possano che essere remunerate con la normale retribuzione se
svolte durante l’orario di servizio, ovvero, al di fuori di esso, con il
compenso aggiuntivo previsto per il lavoro straordinario”.
Del resto, se l’ente attribuisse
compensi al proprio dipendente per l’espletamento di un’attività comunque
rientrante nei propri doveri, ancorchè si tratti di attività svolta solo in
occasione di concorsi, si violerebbe senza alcun dubbio il principio di
onnicomprensività. Lo ha chiarito anche la Corte dei conti, Sezione regionale
di controllo per la Campania con delibera 11 dicembre 2014, n. 247, riferita
specificamente alle commissioni di gara d’appalto, ma in tutto da riconnettere
anche alla questione di cui qui si tratta: “l’onnicomprensività del
trattamento economico dei dipendenti della Pubblica Amministrazione costituisca
un principio valido per la generalità dei pubblici dipendenti, salve le
eccezioni specificamente previste dalla legge e dai contratti collettivi. Detto
principio impedisce di attribuire compensi aggiuntivi qualora gli stessi
rientrino nelle funzioni attribuite e nelle connesse responsabilità, per lo
svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili ai doveri
istituzionali dei dipendenti pubblici, e, in ogni caso, allorché ci si
trovi in cospetto di un’attività che rientri nei compiti istituzionali della
Pubblica Amministrazione cui appartiene il soggetto chiamato a svolgerla”.
D’altra parte, ai sensi
dell’articolo 45, comma 1, del d.lgs 165/2001, “il trattamento economico
fondamentale ed accessorio fatto salvo quanto previsto all'articolo 40, commi
3-ter e 3-quater, e all'articolo 47-bis, comma 1, è definito dai contratti
collettivi”. Nessun Ccnl ha mai espressamente consentito compensi, anche
accessori, per le funzioni svolte nelle commissioni. Dunque, le amministrazioni
non hanno alcuna legittima e lecita possibilità di remunerare le funzioni dei
propri dipendenti incaricati nelle commissioni d’esame.
Se quanto fin qui affermato si
può considerare acclarato, i problemi nascono con il comma 13 dell’articolo 3
della legge 56 e, soprattutto, con il comma 14.
Il comma 13 rinvia ad un
successivo decreto (il termine, ordinatorio, per adottarlo è ovviamente spirato
già da un po’) la determinazione dei compensi per i componenti delle
commissioni, precisando che “I compensi stabiliti con il decreto di cui al
precedente periodo sono dovuti ai componenti delle commissioni esaminatrici dei
concorsi pubblici per l'accesso a un pubblico impiego nominate successivamente
alla data di entrata in vigore della presente legge”.
Si dovrebbe dedurre, quindi, che
resti vigente fino al nuovo decreto il Dpcm 23 marzo 1995, attuativo
dell’articolo 18 del dpr 487/1994, come restino vigenti i regolamenti locali di
disciplina dei compensi ai commissari, purché esterni.
Ma, sui compensi ai commissari
“esterni”, fermo restando che non vi è problema alcuno per chi non abbia lo
status di dipendente pubblico, la nuova disciplina introdotta dalla legge
56/2019 è da intendere nel senso che un dipendente pubblico designato da un’amministrazione
diversa da quella che gestisce il concorso non possa percepire alcun compenso?
Oggettivamente, il comma 12
dell’articolo 3 della legge 56/2019, quando afferma che gli incarichi si
intendono assegnati in ragione dell’ufficio “anche laddove si tratti di
concorsi banditi da un'amministrazione diversa da quella di appartenenza” crea
non poca confusione. Infatti, ad una prima lettura si è portati a ritenere che,
dunque, nessun dipendente pubblico possa essere remunerato se presta attività
in una commissione di concorso pubblico anche se operante presso un ente
diverso da quello di appartenenza. Al limite, tale ente potrà solo rimborsare i
costi vivi della missione.
Ma, a complicare ulteriormente il
quadro c’è il comma 14 del medesimo articolo 3. Leggiamolo: “Fermo restando
il limite di cui all'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, la
disciplina di cui all'articolo 24, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, non si applica ai compensi dovuti al personale dirigenziale per
l'attività di presidente o di membro della commissione esaminatrice di un
concorso pubblico per l'accesso a un pubblico impiego”.
L’articolo 24, comma 3, del d.lgs
165/2001 stabilisce: “Il trattamento economico determinato ai sensi dei
commi 1 e 2 remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in
base a quanto previsto dal presente decreto, nonché qualsiasi incarico ad essi
conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall'amministrazione
presso cui prestano servizio o su designazione della stessa; i compensi dovuti
dai terzi sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e
confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della
dirigenza”.
E’ esattamente la norma che
disciplina in via esplicita l’onnicomprensività della retribuzione, che invece
per i dipendenti privi di qualifica dirigenziale opera solo come principio
elaborato dalla giurisprudenza.
Quindi, l’articolo 3, comma 14,
della legge 56/2019 è una regola speciale, posta a legittimare la
corresponsione di un compenso ai dirigenti pubblici incaricati – evidentemente
da un’amministrazione diversa da quella di appartenenza – dei ruoli di
presidente o commissario o segretario di commissioni di concorso. Infatti, tale
articolo 3, comma 14, disapplica l’articolo 24, comma 3, che estende
l’onnicomprensività non solo a qualsiasi incarico sia affidato al dirigente
dall’amministrazione di appartenenza, ma anche da amministrazioni diverse, su
designazione di quella di appartenenza.
La disapplicazione per i
dirigenti dell’articolo 24, comma 3, del d.lgs 165/2001, porta allora a
concludere:
- i dirigenti non possono essere mai remunerati, come tutti gli altri dipendenti pubblici, per incarichi nell’ambito di commissioni di concorso operanti presso l’amministrazione di appartenenza;
- al contrario, i dirigenti possono ricevere compensi, se incaricati da altre amministrazioni, previa autorizzazione o designazione dell’amministrazione di appartenenza;
- infatti, la disapplicazione dell’articolo 24, comma 3, è totale: quindi, i compensi dovuti da terzi andranno direttamente al dirigente designato e non al bilancio dell’amministrazione designante (o autorizzante) per poi confluire nelle risorse variabili del fondo contrattuale della dirigenza.
Si giunge, dunque, al paradosso
che i dirigenti possono essere remunerati, mentre i dipendenti privi di
qualifica dirigenziale no?
Questa conclusione appare
avvalorata da una prima lettura delle norme viste prima. Ma, a ben vedere è da
rigettare. Infatti, confliggerebbe, in primo luogo, con l’articolo 36 della
Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata
alla quantità e qualità del suo lavoro [...]”. Non si vede perché una prestazione
resa dal dirigente come componente di una commissione d’esame
autorizzato/designato da un’amministrazione diversa da quella procedente possa
essere considerata quantitativamente e qualitativamente diversa da una medesima
prestazione resa da un dipendente pubblico non avente qualifica dirigenziale.
In ogni caso, la precisazione
contenuta nel comma 14 dell’articolo 3 della legge 56/2019 pare debba essere
letta esattamente all’inverso di quanto a prima vista appaia. Non nel senso di
autorizzare il pagamento di compensi solo ai dirigenti, ma non ai dipendenti.
All’opposto, di consentire “anche” ai dirigenti (se componenti “esterni”) di
ottenere quella remunerazione che spetterebbe ai dipendenti privi di qualifica
dirigenziale, se incaricati in commissioni di concorso di enti diversi da
quello di appartenenza.
E’ solo per la dirigenza
pubblica, infatti, che l’onnicomprensività della retribuzione si estende, ai
sensi dell’articolo 24, comma 3, del d.lgs 165/2001, a qualsiasi incarico,
qualsiasi sia l’ente incaricante: quello di appartenenza o altro. Invece, per i
dipendenti non aventi qualifica dirigenziale, l’onnicomprensività, enunciata
solo dalla giurisprudenza e non definita dalla legge, si limita al solo
rapporto con l’ente di appartenenza.
Non osta a questa conclusione il
già citato articolo 45, comma 1, del d.lgs 165/2001: esso, infatti, rimette ai
contratti collettivi il trattamento economico, tanto fondamentale, quanto
accessorio. Ma, i contratti collettivi non possono che regolare il rapporto intercorrente
tra dipendente ed amministrazione di appartenenza, non certo gli incarichi che
un’amministrazione diversa da quella di appartenenza conferisca ai dipendenti
pubblici, fattispecie del tutto sottratta alla competenza contrattuale.
Alla luce delle considerazioni
svolte fin qui, quindi, è possibile riscrivere l’articolo 3, comma 12, della
legge 56/2019, in modo più chiaro e completo come segue:
- un dipendente pubblico incaricato come presidente, membro o segretario di una commissione di concorso pubblico;
- sia che dipenda dalla medesima amministrazione che ha indetto il concorso, sia che dipenda da altra amministrazione;
- svolge l’incarico:
1.
sempre in ragione dell’ufficio ricoperto: è, quindi,
un’attività che rientra nelle prerogative dei dipendenti pubblici, e
1.
se presso la medesima amministrazione di appartenenza,
l’incarico è svolto in quanto conferito dall’amministrazione presso cui presta
servizio; in questo caso non può mai ottenere lecitamente alcun compenso,
qualunque sia la qualifica che possiede, dirigenziale o non dirigenziale;
2.
se presso alta amministrazione, l’incarico è svolto su
autorizzazione ed eventualmente designazione dell’amministrazione presso cui
presta servizio; in questo caso, per effetto della parziale disapplicazione
dell’articolo 24, comma 3, del d.lgs 165/2001 ristretta alla sola fattispecie
delle commissioni di concorso, i dipendenti con qualifica dirigenziale potranno
essere compensati dalle amministrazioni che gestiscono i concorsi, come già
avviene per i dipendenti privi di qualifica dirigenziale.
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