sabato 28 marzo 2020

Europa: così vicina e così lontana da un sogno di unità mai così a portata di mano


Siamo rimasti alla solita Europa divisa tra Nord e Sud. A quell’insopprimibile fastidio che i popoli del nord Europa hanno provato da sempre per quelli mediterranei.

La tara di Arminio sembra ancora presente, anche se i millenni e le generazioni passate hanno sconvolto l’Europa, ne hanno cambiato i popoli, i linguaggi, le strutture politiche.
Arminio è il protagonista principale della devastante sconfitta dell’esercito di Roma a Teutoburgo, episodio che convinse per sempre l’Impero a non tentare di espandersi oltre il Danubio ed il Reno.
Arminio era un condottiero del popolo dei Germani, romanizzato. Ottenne la cittadinanza romana e servì anche nell’esercito di Roma, ma odiandola profondamente. E la disfatta di Teutoburgo, atto di libertà del popolo germanico contro la paura dell’incalzante pressione romana, fu il frutto di un tradimento operato da Arminio contro le legioni romane.
Quei popoli, i Germani e gli stessi Romani, si sono estinti. Altre popolazioni del Nord Europa, centinaia di anni dopo, sotto la pressione di popoli dell’Est, sconfinarono nell’Impero: Goti, Vandali, poi Longobardi, Franchi. A rinnovare un conflitto, una distinzione perenne, non solo una voglia di conquista del benessere e delle città che Roma aveva edificato, ma una inconciliabilità esistenziale che non troverà mai un punto di mediazione.
Roma città ha subito due volte un “sacco” e due volte per mano di popolazioni del Nord. Il sacco del 410 ad opera di Alarico ed i suoi Visigoti. Il ben più micidiale sacco dei Landsknecht, i Lanzichenecchi al servizio di Carlo V nel 1527.
L’impero, che per le vicende della storia, trovò nei paesi germanici i grandi elettori dell’imperatore, sempre ha avuto tendenza ed interesse verso il Sud, verso l’Italia e le sue ricchezze d’arte e finanziarie, con quei banchieri che finanziavano spedizioni commerciali, scoperte geografiche e monarchie coi loro eserciti.
Un’inconciliabilità, una tendenza al nazionalismo estremo, scatenatasi in specie alla fine dell’800 e culminata come ben si sa.
Il Sud Europa ha anche le sue responsabilità, certo. L’inconciliabilità è stata sostanzialmente reciproca e l’azione dei papi e del cattolicesimo contro l’impero ha contribuito ad un clima che ha diviso e sconvolto il continente. Guelfi contro Ghibellini. Anche nella teologia: protestantesimo e controriforma, tutto ha contribuito a profonde divisioni, entrate nel Dna. Divisioni testimoniate da lingue con radici diversissime e significati rivelatori di una mentalità: la parola “debito” in tedesco significa anche “colpa”.
L’Europa ha provato ad apprendere dal passato. Con un sogno di Unione pensato, però, per i tempi di pace, nell’illusione che la caduta del Muro consentisse l’affermazione di un modello sociale unico, imperante, un capitalismo senza rivali, con chiare temperature calviniste e puritane. L’attenzione spasmodica all’inflazione, ai conti, nella replica inconscia dei Paesi del Nord forti economicamente della convinzione che la ricchezza, l’attenzione al denaro ed ai conti, sia la conferma terrena della Grazia divina.
L’Europa del Nord è ancora, in fondo, rappresentata e rappresentabile con la pittura di genere del primo rinascimento, attenta a cogliere la nascita di una borghesia presto destinata ad accogliere in pieno le idee di Lutero e Calvino, attenta ieri, come oggi, a contare il denaro, a registrarlo, a custodirlo
L’Europa del Sud è figlia delle proprie ipocrisie, della scappatoia nel perdono e dell’indulgenza, specie per i “grandi”, di una teologia che vive una conflittualità e contemporaneamente un’attrazione irrisolta per il capitalismo e il materialismo che le corti dei papi certo non si facevano mancare e la politica dei papi non si fece scrupolo di perseguire, per esempio con la vendita delle indulgenze, per finanziare guerre o la costruzione di San Pietro.
Il sogno dell’Europa è stato quello di superare una volta e per sempre queste divisioni laceranti. Un virus ancora una volta le fa emergere queste divisioni. Sebbene si sia vicini come forse non mai ad una scelta definitiva, che consenta all’Europa il colpo d’ala col quale rialzare il capo chino dal tavolo ove sono depositati i soldi da contare e conservare, per rispondere a politiche europee senza confini, come senza confini è l’aggressione del virus.
Quel sogno è vicinissimo. Nella storia proprio un tedesco, un teutonico, fu capace di sfiorarlo davvero: lo stupor mundi, Federico II di Svevia, l’imperatore Hohenstaufen che ha favorito la nascita delle lettere e della lingua in Italia, che ha governato l’Impero del Nord e riposa, con la sua famiglia, al Sud, in Sicilia, a Palermo. Quel sogno di unità è nelle mani ancora una volta soprattutto dei popoli del Nord. Che debbono scegliere se restare fermi al fotogramma che li inquadra nel contare il denaro, oppure dare il segnale definitivo di una svolta nella storia.



Quentin Metsys, Il cambiavalute , olio su tela, 1514, Museo del Louvre, Parigi.

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