Siamo rimasti alla solita Europa divisa tra Nord e Sud. A
quell’insopprimibile fastidio che i popoli del nord Europa hanno provato da sempre
per quelli mediterranei.
La tara di Arminio sembra ancora presente, anche se i
millenni e le generazioni passate hanno sconvolto l’Europa, ne hanno cambiato i
popoli, i linguaggi, le strutture politiche.
Arminio è il protagonista principale della devastante
sconfitta dell’esercito di Roma a Teutoburgo, episodio che convinse per sempre
l’Impero a non tentare di espandersi oltre il Danubio ed il Reno.
Arminio era un condottiero del popolo dei Germani,
romanizzato. Ottenne la cittadinanza romana e servì anche nell’esercito di
Roma, ma odiandola profondamente. E la disfatta di Teutoburgo, atto di libertà
del popolo germanico contro la paura dell’incalzante pressione romana, fu il frutto
di un tradimento operato da Arminio contro le legioni romane.
Quei popoli, i Germani e gli stessi Romani, si sono estinti.
Altre popolazioni del Nord Europa, centinaia di anni dopo, sotto la pressione
di popoli dell’Est, sconfinarono nell’Impero: Goti, Vandali, poi Longobardi, Franchi.
A rinnovare un conflitto, una distinzione perenne, non solo una voglia di conquista
del benessere e delle città che Roma aveva edificato, ma una inconciliabilità
esistenziale che non troverà mai un punto di mediazione.
Roma città ha subito due volte un “sacco” e due volte per
mano di popolazioni del Nord. Il sacco del 410 ad opera di Alarico ed i suoi
Visigoti. Il ben più micidiale sacco dei Landsknecht, i Lanzichenecchi al
servizio di Carlo V nel 1527.
L’impero, che per le vicende della storia, trovò nei paesi
germanici i grandi elettori dell’imperatore, sempre ha avuto tendenza ed interesse
verso il Sud, verso l’Italia e le sue ricchezze d’arte e finanziarie, con quei
banchieri che finanziavano spedizioni commerciali, scoperte geografiche e
monarchie coi loro eserciti.
Un’inconciliabilità, una tendenza al nazionalismo estremo,
scatenatasi in specie alla fine dell’800 e culminata come ben si sa.
Il Sud Europa ha anche le sue responsabilità, certo. L’inconciliabilità
è stata sostanzialmente reciproca e l’azione dei papi e del cattolicesimo
contro l’impero ha contribuito ad un clima che ha diviso e sconvolto il
continente. Guelfi contro Ghibellini. Anche nella teologia: protestantesimo e
controriforma, tutto ha contribuito a profonde divisioni, entrate nel Dna.
Divisioni testimoniate da lingue con radici diversissime e significati
rivelatori di una mentalità: la parola “debito” in tedesco significa anche “colpa”.
L’Europa ha provato ad apprendere dal passato. Con un sogno
di Unione pensato, però, per i tempi di pace, nell’illusione che la caduta del Muro
consentisse l’affermazione di un modello sociale unico, imperante, un
capitalismo senza rivali, con chiare temperature calviniste e puritane. L’attenzione
spasmodica all’inflazione, ai conti, nella replica inconscia dei Paesi del Nord
forti economicamente della convinzione che la ricchezza, l’attenzione al denaro
ed ai conti, sia la conferma terrena della Grazia divina.
L’Europa del Nord è ancora, in fondo, rappresentata e
rappresentabile con la pittura di genere del primo rinascimento, attenta a
cogliere la nascita di una borghesia presto destinata ad accogliere in pieno le
idee di Lutero e Calvino, attenta ieri, come oggi, a contare il denaro, a
registrarlo, a custodirlo
L’Europa del Sud è figlia delle proprie ipocrisie, della
scappatoia nel perdono e dell’indulgenza, specie per i “grandi”, di una
teologia che vive una conflittualità e contemporaneamente un’attrazione
irrisolta per il capitalismo e il materialismo che le corti dei papi certo non
si facevano mancare e la politica dei papi non si fece scrupolo di perseguire,
per esempio con la vendita delle indulgenze, per finanziare guerre o la
costruzione di San Pietro.
Il sogno dell’Europa è stato quello di superare una volta e
per sempre queste divisioni laceranti. Un virus ancora una volta le fa emergere
queste divisioni. Sebbene si sia vicini come forse non mai ad una scelta definitiva,
che consenta all’Europa il colpo d’ala col quale rialzare il capo chino dal
tavolo ove sono depositati i soldi da contare e conservare, per rispondere a
politiche europee senza confini, come senza confini è l’aggressione del virus.
Quel sogno è vicinissimo. Nella storia proprio un tedesco,
un teutonico, fu capace di sfiorarlo davvero: lo stupor mundi, Federico
II di Svevia, l’imperatore Hohenstaufen che ha favorito la nascita delle
lettere e della lingua in Italia, che ha governato l’Impero del Nord e riposa,
con la sua famiglia, al Sud, in Sicilia, a Palermo. Quel sogno di unità è nelle
mani ancora una volta soprattutto dei popoli del Nord. Che debbono scegliere se
restare fermi al fotogramma che li inquadra nel contare il denaro, oppure dare
il segnale definitivo di una svolta nella storia.
Quentin Metsys, Il cambiavalute , olio su tela, 1514, Museo del Louvre, Parigi. |
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