Talvolta per comprendere fatti e
norme le date, il tempo che passa, il numero degli anni contano.
Prendiamo il numero 107. E’ il
numero degli anni che separa il 2020 dal 1913. Oltre un secolo fa si approvò,
in Italia, la Legge 16 febbraio 1913 n. 89 Sull'ordinamento del notariato e
degli archivi notarili.
Nel 1913 alcune cose erano molto
diverse da oggi, ad esempio:
a)
in Italia c’era ancora la monarchia;
b)
non era ancora scoppiata la prima guerra
mondiale (e c’erano i grandi imperi centrali d’Europa);
c)
non c’era l’Onu;
d)
il primo volo aereo dell’uomo era avvenuto solo
10 anni prima e di fatto non c’era aviazione;
e)
non era stata pubblicata la teoria della
relatività;
f)
non esistevano i computer;
g)
non esisteva la televisione;
h)
non esisteva internet;
i)
non era scoppiata l’epidemia di coronavirus.
Prendiamo il numero 78. E’ il
numero degli anni che separa il 2020 dal 1942. Quell’anno fu approvato il
Codice Civile.
Nel 1942 alcune cose erano molto
diverse da oggi, ad esempio:
a)
in Italia c’era ancora la monarchia;
b)
non era ancora finita la seconda guerra mondiale;
c)
non c’era l’Onu;
d)
non era ancora stata attivata la prima pila
atomica;
e)
non esistevano i computer;
f)
non esisteva la televisione;
g)
non esisteva internet;
h)
non era scoppiata l’epidemia di coronavirus.
Grandi differenze, diremmo,
quindi tra il 2020 e il 1913 e, ancora, il 1942. Anche i meno attenti avranno
notato che mentre negli anni 1913 e 1942 (anno tormentato da situazioni disastrosissime
a sua volta) non c’era l’epidemia di coronavirus, invece nel 2020 c’è l’epidemia
di coronavirus. E, di nuovo, anche i più distratti avranno notato che mentre
negli anni 1913 e 1942 non c’erano i computer e la rete internet, invece nel
2020 ci sono e ci sono anche le risorse per la gestione digitale dei documenti
e della loro sottoscrizione.
Non solo. Nel 2020, in questi
giorni, vi è una normativa tutta finalizzata ad assicurare il contenimento del
contagio da coronavirus attualmente basata, causa l’assenza di un farmaco e di
un vaccino contro il virus, sul “distanziamento sociale”, che in altre parole impone
alle persone di limitare quanto più possibile spostamenti nel territorio e
riunioni di persona in medesima sede, se non per necessità connesse all’emergenza.
Insomma, inevitabile la presenza di più persone nelle sale rianimazione degli
ospedali; molto più evitale la presenza di più persone in uffici o studi, per
svolgere attività, utili e nobili quanto si vuole, di natura latamente
amministrativa, come sottoscrivere un contratto “rogato” dal pubblico ufficiale
nella forma pubblica amministrativa.
Come si evince dall’inchiesta qui
riportata, nel 2020, in presenza dell’emergenza coronavirus, dei pc, di internet,
della gestione digitale dei documenti e della firma digitale, la sottoscrizione
degli atti di compravendita immobiliare (che richiede a pena di nullità la
forma pubblica amministrativa assicurata dal notaio) è praticamente bloccata, perché
due disposizioni di legge, una del 1913, l’altra del 1942, stabiliscono che la
sottoscrizione degli atti nella forma pubblica debba avvenire alla “presenza”
del notaio. Lo stesso vale per gli altri contratti rogati da un pubblico
ufficiale, per tutti quelli relativi agli appalti pubblici.
La necessità della “presenza”
nella Legge Notarile è disposta dall’articolo 47:
“1. L'atto notarile non può essere ricevuto dal notaio se
non in presenza delle parti e, nei casi previsti dall'articolo 48, di due
testimoni.
2. Il notaio indaga la volontà delle parti e sotto la
propria direzione e responsabilità cura la compilazione integrale dell'atto”.
Occorre per completezza rilevare
che il testo dell’articolo citato prima è stato, in effetti, riformato e modificato
con l'articolo 12, comma 1, lettera b), della legge 28 novembre 2005, n. 246.
Anche qui guardiamo il numero “magico”: 15. Sono gli anni passati dalla riforma
del testo dell’articolo 47 visto prima. Rispetto al 2020 c’erano già molte
delle cose che abbiamo anche nel 2020. Ma non c’era l’epidemia da coronavirus.
La “presenza” è, ancora,
richiesta dalla norma pensata 78 anni fa dal Codice civile e contenuta nell’articolo
2700:
“L'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso,
della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato,
nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico
ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”.
Ora, nel 2020, a 107 anni di
distanza dalla Legge Notarile, a 78 anni di distanza dal Codice Civile, a 15
anni di distanza dalla novellazione dell’articolo 47 della Legge Notarile, se c’è
un elemento che occorre assolutamente scongiurare, per lottare efficacemente
contro il coronavirus, è proprio la “presenza”.
Immaginare che due parti (per
non dire dei fidefacenti e dei testimoni) si riuniscano in uno studio notarile
o negli uffici di un segretario comunale per sottoscrivere, sia in forma
analogica (sottoscrizione autografa), sia in forma digitale (con sottoscrizione
digitale) un contratto, è semplicemente impensabile, assurdo e fuori dalla
realtà, prima ancora che pericoloso e contrario al complesso delle norme che
impongono, ordinano, costringono, al distanziamento sociale.
Come si evince dall’inchiesta
proposta nel link riportato sopra, il Notariato ha da qualche anno adottato una
piattaforma, denominata iStumentum, finalizzata alla formazione da remoto dell’atto
in forma pubblica, ma solo 160 notai lo utilizzano. Il resto no e v’è una forte
resistenza ad utilizzarlo, per “ragioni di bottega”: il rischio che strumenti
che consentano la sottoscrizione da remoto faccia perdere la rendita di
posizione connessa alla territorializzazione delle sedi notarili e il digital
divide, per effetto del quale studi notarili più avanzati e disposti ad
investire in tecnologia potrebbero sottrarre atti agli altri notai.
Siamo, però, nel 2020. E c’è il
coronavirus. Appare assolutamente evidente che simili ragioni di resistenza all’applicazione
di sistemi per la sottoscrizione da remoto siano totalmente inaccettabili.
Fermo restando che nessuna norma
ha in fui imposto, o possa anche imporre, ai notai l’utilizzo della piattaforma
iStrumentum, appare di tutta evidenza che anche a prescindere da tale piattaforma
la sottoscrizione di contratti in forma pubblica amministrativa da remoto, con una
virtualizzazione dei partecipanti, pubblico ufficiale e parti, sia non solo
opportuna, ma doverosa. Il che impone di superare formalismi figli di
epoche nelle quali l’assenza di tecnologie digitali e telematiche richiedevano
necessariamente la “presenza” affinchè il pubblico ufficiale potesse constatare
l’identità degli intervenuti e “ricevere” le loro dichiarazioni e verificare ed
attestare la formazione del loro consenso, attraverso la sottoscrizione dell’atto.
Quei formalismi appartengono al
passato. Un passato che è anche solo di 15 anni fa, ma anche solo di pochi mesi
fa, quando ancora la pandemia non era scoppiata e non poteva nemmeno essere
pensata.
In presenza di una vastissima
produzione di norme finalizzate a contrastare l’emergenza della pandemia non è
consentito a nessun interprete ed a nessun operatore fermarsi all’interpretazione
letterale delle norme e, quindi, ritenere “nullo” l’atto in forma pubblica
amministrativa formatosi con modalità remote, in videoconferenza tra le parti.
In presenza di questa normativa
emergenziale, sarebbe corretto considerare come omissione d’atti d’ufficio il
rifiuto di rogare l’atto che debba formarsi in forma pubblica amministrativa
con modalità virtuali; e sarebbe da considerare reato contro la salute pubblica
imporre, senza ragione alcuna, la compresenza personale di persone allo scopo
di sottoscrivere un atto, che può perfettamente sottoscriversi da remoto, con o
senza piattaforme come iStrumentum.
Occorre riferirsi, allora, all’interpretazione
sistematica e teleologica. Gli articoli 47 della Legge Notarile e 2700 del
Codice Civile non solo possono, ma debbono, alla luce della normativa
emergenziale, essere letti nel senso che per “presenza” debba intendersi “partecipazione”
degli intervenienti all’atto alla videoconferenza col notaio o il pubblico ufficiale,
il quale, esattamente alla stregua di quanto consente espressamente per le
giunte ed i consigli comunali l’articolo 103 del d.l. 18/2020, altro non ha se
non da riconoscere da video l’identità di chi si presenta, richiedendo che
esibisca “in camera” in modo visibile il documento di identità, si accerti che
le parti possano ascoltare ed intendere bene, legga l’atto, lo trasmetta nel
formato indicato dalle regole tecniche ad un primo contraente, perché questo lo
firmi digitalmente e, a sua volta, lo reinoltri al notaio o pubblico ufficiale,
che lo inoltra nuovamente all’altra parte, perché lo firmi a sua volta, lo rispedisca
al notaio o pubblico ufficiale, il quale verificata la validità delle firme digitali
apposte, a sua volta sottoscriva digitalmente l’atto. Il tutto, con l’accortezza
di registrare la videoconferenza, conservando opportunamente il file, nel
fascicolo elettronico della pratica.
Per quanto una previsione
normativa in questo senso sia, ovviamente, opportuna, occorre affermare con
risolutezza che l’interpretazione sistematica e teleologica non solo consente,
ma impone da ora, da subito, di sottoscrivere i contratti e in forma pubblica
da remoto, con la metodologia sintetizzata sopra, anche per superare le
incredibili ed ingiustificabili resistenze, la cui conseguenza è, poi, l’inchiodamento
del mercato immobiliare o difficoltà nella conclusione di procedure di appalto.
Conseguenza assolutamente inaccettabile e improponibile in una fase come quella
che stiamo vivendo, nella quale una crisi economica gigantesca quanto la
pandemia si abbatte sulle imprese e sui cittadini, sicchè bloccare o rendere
difficili negozi giuridici per meri formalismi connessi a logiche di centinaia
di anni fa è semplicemente antistorico, ottuso, burocratico, pericoloso.
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