Altrettanto necessarie sono, poi, per chi quelle sentenze è chiamato ad attuarle e ad interpretarle.
Da troppo tempo, in Italia, troppi giudici hanno frainteso la loro funzione di risolvere controverse applicando la legge, per trasformarla in una modalità decisoria che spesso è praeter legem, se non creativa di diritto, come se ogni giurisdizione fosse alla ricerca di quella fetta di potere sulle leggi che è proprio solo della Corte costituzionale.
E', dunque, accaduto che il Consiglio di stato abbia pronunciato una sentenza, forse comprensibile nei fini, ma sicuramente totalmente erronea nei presupposti, nello sviluppo del ragionamento giuridico e, ovviamente, nelle conclusioni, che, adesso, sta divenendo - pur essendo un unicum nell'ordinamento e negli arresti giurisprudenziali - un "modello" da seguire. Come suggeriscono, in maniera poco prudente, temperante e meditata, alcuni interpreti.
Si tratta della sentenza 23 luglio 2018, n. 4435, pronunciata dalla Sezione Quinta. Brandita adesso come fonte per legittimare delibere adottate dalla giunta, in violazione della ripartizione delle competenze tra questa e consiglio fissate dal d.lgs 267/2000, poi oggetto di ratifica da parte del consiglio.
Oltre al diluvio di ordinanze che rendono il quadro giuridico un caos, mancava anche il suggerimento di dare corso a delibere di giunta, su competenze consiliari, salvo successiva ratifica.
Il d.lgs 267/2000, e prima ancora la legge 142/1990, ha eliminato totalmente e per sempre l’adozione di deliberazioni di competenza consiliare da parte della giunta salvo ratifica.
La sentenza del Consiglio di stato citata da chi pensa che essa basti ripristinare un modo di operare cancellato da 30 anni, oltre ad essere manifestamente erronea, è comunque connessa ad una situazione molto particolare; il consiglio del comune interessato non poteva riunirsi perchè non ancora costituito. Lo spiega la sentenza stessa: "al Consiglio comunale era, nella vicenda in esame, mancata la possibilità materiale di pronunziarsi sulle aliquote TASI e TARI entro il termine 30 luglio (così, come, del resto, sul bilancio preventivo annuale e triennale), in quanto la sua prima convocazione utile dopo la convalida degli eletti si era potuta tenere soltanto il 28 agosto, durante la moratoria scaturente dalla diffida prefettizia all'approvazione del bilancio entro 30 giorni".
Si tratta, quindi, di una situazione del tutto particolare e peculiare ed individuale. Dalla quale trarre, adesso, una regola generale appare del tutto azzardato e sbagliato. La sentenza, comunque sbagliata perchè in frontale contrasto con la legge(1), in ogni caso non enuncia un principio generale, ma ha inteso, si ribadisce erroneamente, risolvere un problema del tutto polverizzato nella situazione specifica di un solo comune.
Finchè non vi sia una legge, quella legge che pare il Governo sia intenzionato ad adottare con un ulteriore decreto d'emergenza coronavirus, l’ente locale può e deve procedere esclusivamente mediante deliberazione consiliare. La ratifica consiliare di deliberazioni di giunta è una solenne violazione della norma, finchè quella legge non vi sia.
In questi giorni tantissimi comuni stanno creando a se stessi problemi organizzativi, nel rifiuto di svolgere sedute in video conferenza, pur possibili, per allestire consigli di nessuna urgenza. Laddove si dovesse deliberare in tema di rinvio del pagamento dei tributi, l’urgenza sarebbe evincibile, ma lo strumento è organizzare il consiglio in videoconferenza, non inventare improbabili ratifiche.
(1) L'articolo 42, comma 4, del d.lgs 267/2000 dispone con estrema chiarezza: "Le deliberazioni in ordine agli argomenti di cui al presente articolo non possono essere adottate in via d'urgenza da altri organi del comune o della provincia, salvo quelle attinenti alle variazioni di bilancio adottate dalla giunta da sottoporre a ratifica del consiglio nei sessanta giorni successivi, a pena di decadenza". La sentenza del Consiglio di stato è drammaticamente sbagliata, un vulnus all'ordinamento, una spinta ad interpreti ed operatori disinvolti, che scambiano l'interpretazione delle leggi con funzioni alchemiche, basate sulla pietra filosofale della propria personale persuasione e convenienza.
Il divieto posto dal comma 42, comma 4, citato, che evidentemente Palazzo Spada ignora, oltre a rendere inefficace la deliberazione della giunta per violazione di norma imperativa (la sentenza del Consiglio di stato richiama istituti civilistici per sorreggere le sue erronee argomentazioni; istituti civilistici sorreggono la dimostrazione della sua erroneità), per altro, oltre a privare di qualsiasi effetto la delibera di giunta, priva il consiglio del legittimo potere di ratificare alcunchè.
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