giovedì 5 marzo 2020

Il virus del digital divide

Per anni se ne è solo parlato del "digital divide". Si tratta, cioè, dell'esclusione di larghissime parti della società civile, produttiva ed amministrativa, dal possesso o padroneggiamento dei sistemi di comunicazione digitali: smartphone, app, rete internet, 3o 4G, applicativi informatici, accesso alle reti, pin univoci.
Adesso, l'emergenza coronavirus fa presentare anche questo conto: l'insufficienza delle dorsali dati, degli apparati di trasmissione, delle reti civiche. Insensate politiche risalenti a quasi 20 anni fa hanno imposto la limitazione dell'accesso gratuito a reti pubbliche libere.

Pertanto, la chiusura delle scuole, accanto al problema enorme per i genitori che lavorano di non sapere come fare per stare accanto ai propri figli minori, pone l'ulteriore gravissimo problema della didattica.
Facile affermare che le lezioni si possano tenere anche via telematica, il che darebbe anche un senso alla "sospensione delle lezioni", circostanza che impone comunque ai docenti di presentarsi nelle sedi degli istituti.
Per tenere lezioni telematiche occorrono apparati di trasmissione, reti ed apparati di ricezione. Con tutta oggettività, i pochi e maldestri investimenti sulle reti rendono estremamente difficile:
1. che tutte le scuole possiedano adeguata strumentazione informatica per produrre e trasmettere attività di e-learning;
2. che esistano reti con la necessaria capacità per collegamenti stabili e veloci;
3. che tutte le famiglie siano allo stesso modo in grado di collegarsi, ricevere, salvare, stampare, elaborare.
Le evenienze 1. e 3. sono quelle più delicate. La quantità di cittadini che non possiedono nè pc, nè tablet, nè smartphone è ancora elevatissima. Molti sono anche quelli che hanno collegamenti in rete estremamente limitati, tali da non reggere alcun collegamento video se non per pochi minuti.
Non esistendo reti pubbliche aperte alle quali connettersi, queste famiglie non potrebbero comunque valersi dell'e-learning.
In ogni caso, le scuole denunciano un vuoto clamoroso nell'utilizzo di sistemi informatici e digitali. Da anni ed anni gli istituti scolastici avrebbero dovuto attrezzarsi per modificare le lezioni e gli stessi elaborati chiesti ai ragazzi, adeguandosi ai tempi ed ai modi di produzione e fruizione della cultura e dei messaggi.
Senza abbandonare i libri di testo, ci si sarebbe da tempo dovuto aspettare lezioni interattive, ricche di presentazioni mediante slide (per altro utili anche agli allievi svantaggiati, si pensi agli ipovedenti o ipoacusici). L'utilizzo degli applicativi informatici è ormai un prerequisito diremmo non solo lavorativo, ma anche di cittadinanza: in assenza delle cognizioni non solo di base, attivare il Pin Inps o lo Spid, strumenti essenziali proprio per l'esplicazione di diritti di cittadinanza, è estremamente complicato.
Le scuole, invece di insistere sul tema scritto con carta e penna, avrebbero dovuto favorire la creatività, spingendo gli allievi a produrre i propri compiti con immagini, filmati, slide ed utilizzo spinto di strumenti ed applicativi informatici, di base (editor di scritti, fogli elettronici, applicativi per la matematica).
Pc e proiettore avrebbero dovuto essere da sempre strumento ordinario di lavoro in ciascuna aula. La connessione internet altrettanto strumento per il rilascio dei compiti, la loro trasmissione al docente, lo scambio di richieste e consulenze. La video connessione il mezzo principale per i contatti con le famiglie, abbandonando l'assurdo rito delle "udienze" collettive.
Il coronavirus, purtroppo, produce un'altra epifania: la consapevolezza dell'arretratezza estrema di sistemi di collegamento e scambio dati on line e dell'organizzazione delle scuole.

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