Tali conclusioni, però, possono considerarsi accoglibili solo in parte. In primo luogo, comunque, occorre chiarire subito un aspetto: le Faq della Funzione Pubblica non hanno alcuna funzione interpretativa vincolante. Costituiscono solo e nulla più se non opinioni, alla stregua di qualunque altra opinione di qualsiasi altro soggetto.
Il perchè è semplice e lo spiega l’articolo 2, comma 2, del d.lgs 165/2001: “I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano o che abbiano introdotto discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate nelle materie affidate alla contrattazione collettiva ai sensi dell’articolo 40, comma 1, e nel rispetto dei principi stabiliti dal presente decreto, da successivi contratti o accordi collettivi nazionali e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili”. Tale disposizione individua le fonti di disciplina del rapporto di lavoro, tra le quali non rientrano le Faq di Palazzo Vidoni. Non solo. L’articolo 40, comma 3-quinquies riserva ai contratti collettivi nazionali e decentrati la determinazione della destinazione delle risorse della contrattazione: “La contrattazione collettiva nazionale dispone, per le amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 41, le modalità di utilizzo delle risorse indicate all'articolo 45, comma 3-bis, individuando i criteri e i limiti finanziari entro i quali si deve svolgere la contrattazione integrativa”.
Dunque, fino a prova contraria che non è possibile dare, spetta esclusivamente alla contrattazione collettiva stabilire e disciplinare il rapporto di lavoro, ivi compreso, dunque, l’orario e le regole volte a flessibilizzarlo o rispettarlo.
E’ per questa ragione che il lavoro agile “ordinario” e non emergenziale, quello regolato, per capirsi, dalla legge 81/2017, prevede obbligatoriamente un accordo tra datore e lavoratore agile. E’ con quell’accordo, avente valore negoziale e quindi “attratto” dalla disciplina generale sopra ricordata, che è possibile regolamentare aspetti come appunto quello del dipanarsi dell’orario. E’ impensabile che Faq possano sostituirsi ai contratti collettivi o dettare disposizioni unilaterali.
Nel merito, giungere a conclusioni radicali non appare corretto. In particolare per quanto riguarda lo straordinario. E’ sicuramente vero, infatti, che il lavoro agile dà minore rilievo alla durata della prestazione lavorativa e maggiore al suo risultato. E’ altrettanto vero che il risultato deve essere stimato, valutato e rendicontato, però, anche in funzione della durata, che non è un fattore neutro: in base alla durata, infatti, si deve misurare il maturare e l’estensione del diritto alla disconnessione, per esempio.
Allora, il datore non può non stimare che la produzione dei risultati abbia certi impieghi “standard” di tempo, così da “sommare” un impegno orario, ovviamente presuntivo ma verificabile, di 7,12 ore per cinque giorni.
Poi, certo, il lavoratore agile potrebbe anche lavorare 5 ore un giorno e 9 un altro. Ovviamente, simile evenienza andrebbe comunicata e comunque rendicontata. Ma, se il datore richiede al lavoratore un’estensione dell’impegno orario, ad esempio per riunioni in videoconferenza (perfettamente misurabili nella loro durata e nella loro collocazione temporale), sì da imporre una durata del tempo di lavoro superiore al tempo standard, il problema dello straordinario si pone, specie se la riunione o il lavoro extra sia richiesto al di fuori della fascia massima lavorativa, nella quale dovrebbe scattare il diritto alla disconnessione.
Dunque, una radicale incompatibilità tra straordinario e lavoro agile non è ipotizzabile, non nei termini proposti dagli Autori.
In quanto ai permessi orari, è sicuramente meno semplice utilizzarli e farvi ricorso, proprio perchè il lavoro agile consente modulazioni estremamente flessibili. Ma, nell’ipotesi, che dovrebbe essere la regole, di una formulazione del progetto di lavoro agile capace di quantificare anche l’impegno orario connesso alla produzione di risultati, laddove si rilevassero risultati inferiori agli standard, comportanti quindi un presunto impegno orario inferiore, è evidente che il lavoratore o spiega le ragioni di un minor numero di risultati dimostrando che essi sono stati resi in tempi maggiori per particolarità evidenziabili; oppure, non può che constatare un ridotto impegno orario, che va coperto. Quindi l’ipotesi di utilizzare istituti di giustificazione di minori ore di lavoro, se la rendicontazione oggettivamente le dimostra, non può certo essere scartata.
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