La follia giuridica appare ancor più inarrestabile della pandemia ed è testimonianza da ordinanze adottate dai sindaci della Calabria, come questa:
Riassumere lo stupefacente ed incredibile intrico non è semplice, ma, in sostanza, l'ordinanza 29 aprile 2020, n. 37, del presidente della regione Calabria si pone in contrasto col Dpcm 26 aprile 2020, consentendo aperture a bar e ristoranti non contemplate nel Dpcm stesso.
Simile ordinanza regionale è in clamoroso contrasto non solo col Dpcm, ma soprattutto con l'articolo 3, comma 1, del d.l. 19/2020, ai sensi del quale "le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre misure ulteriormente restrittive, tra quelle di cui all'articolo 1, comma 2, esclusivamente nell'ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale".
La norma, con ogni evidenza, consente alle regioni di modificare i contenuti dei Dpcm solo a condizione che vi sia un aggravamento del rischio (situazione fortunatamente assente in Calabria) e che, comunque, oggetto delle ordinanze regionali siano solo le competenze sanitarie, escluse totalmente ingerenze nella regolazione delle attività produttive.
L'ordinanza della regione Calabria, dunque, è platealmente illegittima. Ma, poichè sciaguratamente da quasi 23 anni l'Italia ha totalmente rinunciato a controlli preventivi di legittimità degli atti di regioni ed enti locali, essa è vigente e non vi sono strumenti per eliminarla, se non giurisdizionali.
Tuttavia, i sindaci, pensano di poter disapplicare l'ordinanza regionale attraverso un'altra strada: adottando, cioè, proprie ordinanze sindacali, che ordinino di applicare il Dpcm e non l'ordinanza regionale calabrese.
L'ordinanza sindacale si fonda sull'articolo 50, comma 6, del d.lgs 267/2000, che però non ha nulla a che vedere con la questione. Infatti, tale disposizione stabilisce: "In caso di emergenza che interessi il territorio di più comuni, ogni sindaco adotta le misure necessarie fino a quando non intervengano i soggetti competenti ai sensi del precedente comma". Comunque, l'emergenza alla quale si riferisce il comma 6 dell'articolo 50 del d.lgs 267/2000 è la stessa di cui parla il precedente comma 5: emergenza sanitaria.
Ma, ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del già citato d.l. 19/2020, i sindaci "non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l'emergenza in contrasto con le misure statali, ne' eccedendo i limiti di oggetto cui al comma 1".
Dunque, le ordinanze dei sindaci calabresi:
a) non hanno alcun potere nè di disapplicare l'ordinanza regionale, nè tanto meno di ordinare l'applicazione del Dpcm, che, per altro, è autoapplicativo e non richiede di certo l'intermediazione di nessun altro atto;
b) in quanto certamente eccedenti i limiti di oggetto del comma 1 dell'articolo 3 del d.l. 19/2020, sono comunque inefficaci.
Ma, anche nel caso delle ordinanze dei sindaci le sciaguratissime riforme degli anni '90 hanno eliminato qualsiasi controllo preventivo.
Quindi, si assiste all'incresciosa situazione di un Dpcm, disapplicato illegittimamente (ma senza rimedi che non siano giurisdizionali) da un'ordinanza regionale, a sua volta disapplicata da un'ordinanza illegittima, anzi nulla per totale carenza di potere.
Se potremo in un futuro, si spera vicino, affermare di essere usciti dalla pandemia, in assenza di urgentissimi interventi sull'ordinamento e la corretta ripartizione delle competenze, reintroducendo controlli preventivi sugli atti, resteremo soverchiati dal caos normativo.
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