La questione del genitore
multato alla presenza del figlio di quattro anni per il giro in bicicletta
intorno all’edificio di casa andava risolta in un modo solo: l’annullamento d’ufficio
della sanzione e una bella e chiara spiegazione a chi l’ha disposta di come
funzionano le cose. Questo, in un mondo normale. In
Italia, no.
Il Paese non riesce a liberarsi dal micidiale viluppo della
mentalità burocratica, che è quella da cui derivano norme ancora più burocratiche.
Come quella che stabilisce di dare a tutti i titolari di partita Iva l’indennità
di 600 euro ma “con regolare istanza, sottoscritta in calce”, con inevitabile e
perfettamente prevedibile tilt totale del sito Inps. Sarebbe bastato stabilire
che l’erogazione sarebbe stata disposta d’ufficio, con l’eccezione dei soli che
avessero segnalato sul sito di non volere il sostegno, dando a costoro 5-10 giorni
per farlo.
L’idea è sempre quella di
intervenire con una norma che preveda il singolo dettaglio, cui, far seguire,
in caso di dubbi, altra regola che chiarisce un dettaglio ulteriore,
specificata da linee guida, attuata da una disciplinare operativo, a sua volta
spiegato da una direttiva, sulla base di un protocollo, adeguato ad un
indirizzo tecnico, fondato su specifiche tecniche, chiarite da una circolare,
interpretata autenticamente da una rettifica, cui segua un decreto attuativo.
Non ci si rende conto che è l’ipernormazione
una delle cause primarie del caos operativo ed interpretativo.
Ne è ulteriore esempio l’altro
caos di questi giorni: i buoni spesa. Non è risultato chiaro che la disciplina
di questo intervento è contenuta in un’ordinanza d’urgenza, adottata dalla
Protezione Civile con i poteri straordinari previsti dal d.gs 1/2018. L’ordinanza
ha fissato due criteri due per individuare gli assegnatari: la condizione di bisogno
e la priorità per chi non fruisca giù di un sostegno pubblico. Bastava, doveva
bastare, per orientare i tecnici degli uffici sociali a verificare in concreto
lo stato di bisogno, sulla base dell’anamnesi dei casi specifici analizzati.
Ma no. In tantissimi hanno
ritenuto di dover far seguire all’ordinanza della Protezione Civile, un’ordinanza
o un decreto del sindaco (perché non un editto o una pragmatica sanctio?), per
ripetere quanto già previsto dall’ordinanza della Protezione Civile, cui far
conseguire una delibera di giunta per definire i criteri già definiti dall’ordinanza
della Protezione Civile, seguita da Linee Guida, per “declinare” i criteri
della delibera, di specificazione di quelli dell’ordinanza sindacale, a sua
volta specificativa dell’ordinanza della Protezione Civile.
L’esperienza concreta indubbiamente
avrà dimostrato che i casi di bisogno possono essere molti di più e molto diversi
da quelli cristallizzati nelle linee guida di chiarimento dei criteri della
delibera attuativa dell’ordinanza sindacale; con la necessità di adottare la
circolare chiarificatrice, oppure di adottare l’ordinanza sindacale che
autorizzi la giunta a modificare i criteri, da cui conseguano nuove linee guida
aggiornate “versione 2.0”.
Un profluvio di atti, che rende
l’iter perfetto, come l’operazione chirurgica tecnicamente riuscita a malato
morto.
Il tutto a discapito di logica
ed efficienza: quel banale principio che implica il conseguimento di un risultato
(output) col minor impiego possibile di risorse (input). O, se vogliamo, a
discapito della semplificazione: quell’ancor più banale operazione di riduzione
dei termini di un assunto: inutile scrivere “8/8*2+3” per dire “4”.
Invece, nell’Italia del paradosso,
sotto attacco del virus, ai decreti legge sorretti dal d.lgs 1/2018 e basati sulla
deliberazione dello stato di emergenza, si sommano i Dpcm, le Ordinanze dei
Ministeri, le Ordinanze delle regioni, le Ordinanze dei sindaci, i moduli, le
istanze, i buoni, tutti simili, tutti diversi, con la beffa di chiedere ai
cittadini di sottoscrivere autocertificazioni nelle quali affermare di essere a
conoscenza della ridda di norme (centinaia in un mese) che così tante e diverse
autorità, in modo nemmeno coordinato tra loro, hanno stabilito. Nella
convinzione che un problema si risolva con una legge o con un regolamento,
rinunciando al compito fondamentale dell’azione amministrativa: esercitare la
discrezionalità della scelta. Che significa saper ponderare, tra due scelte
legittime, quella che persegue in modo migliore l’interesse pubblico col minor
sacrificio di quello privato.
L’abitudine all’ipernormazione,
invece, spinge all’applicazione cieca delle norme da parte dei livelli di
controllo e alla iperproduzione di rettifiche, interpretazioni, aggiunte,
correzioni, novellazioni, codicilli, alinea, linee guida e quant’altro. Inutile
rinfacciare a certi soggetti di imperversare con delibere, segnalazioni, linee
guida più volte aggiornate, correzioni apportate con comunicati stampa, se poi,
anche al livello che dovrebbe essere il più vicino al cittadino lo si costringe
ad orientarsi, anzi a disorientarsi, tra mille gride manzoniane.
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