Evidentemente la semplice
lettura delle previsioni degli articoli 50 e 54 del d.lgs 267/2000 e la
previsione contenuta nell’articolo 3, comma 2, del d.l. 19/2020 non bastano.
Tanti, troppi sindaci,
evidentemente mal supportati dall’apparato amministrativo, continuano a
produrre ordinanze, dai contenuti tanto improbabili, quanto soprattutto
illegittimi, a conferma che ancora, dopo circa 30 anni dall’immissione dell’ordinamento
del principio di separazione delle competenze politiche da quelle gestionali,
tale regola aurea, discendente dall’articolo 97 della Costituzione, risulta
indigesta. Tanto alla politica, sempre alla ricerca dell’ingerenza nella scelta
operativa (nella supposizione che giovi alla rielezione); quanto a buona parte
dell’apparato amministrativo, in ricerca perpetua della “copertura” politica (che
non mette per nulla al riparo dalle responsabilità civili, disciplinari,
penali, amministrative e contabili).
Definire i criteri per
individuare i beneficiari dei buoni spesa mediante ordinanza sindacale è
semplicemente un’aberrazione giuridica.
Analizziamo le varie norme che
comprovano questa affermazione. Partiamo dall’articolo 4, comma 1, del d.lgs
165/2001: “Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo
politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed
adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e
verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della
gestione agli indirizzi impartiti. […]”. Questa disposizione, che regola
appunto il citato principio di separazione è di immediata applicazione anche
nell’ordinamento locale, ove l’articolo 107, comma 1, del Tuel non fa altro che
ribadirla: “Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi
secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si
uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-
amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione
amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante
autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e
di controllo”.
Ora, stabilire quali siano i
cittadini ai quali spetti l’erogazione del buono spesa è attività che con l’indirizzo
politico non ha nulla a che vedere: è quanto di più legato strettamente all’ambito
tecnico-gestionale si possa immaginare.
Né basta riferirsi ai “criteri” perché
si possa, per ciò solo, attrarre l’azione di fissazione di criteri nell’alveo
della politica. I criteri possono essere di indirizzo politico o gestionali.
Nel caso del sistema dei buoni
spesi definito dall’ordinanza della Protezione Civile, l’indirizzo politico
consiste nel disporre di attivarsi realmente, e quindi di utilizzare l’intero
finanziamento, chiarendo se aggiungervi anche ulteriori risorse del comune e
invitando l’apparato a muoversi per tempo. Indirizzi che possono essere dati in
due modalità: con la deliberazione di giunta finalizzata alla variazione di
bilancio, nella quale fissare questi indirizzi, variando il peg (se esiste) o
per anticipare contenuti del peg (se non approvato). O con una direttiva del
sindaco, rivolta ai servizi competenti.
L’ordinanza, si ribadisce, è un’aberrazione.
Al di là dell’indicazione fornita dal legislatore emergenziale ai sindaci di non
adottare ordinanze per non contribuire al caos normativo esistente, mediante il
citato articolo 3, comma 2, del d.l. 19/2020, sono le norme che disciplinano il
potere di ordinanza dei sindaci a dimostrare che non può e non deve essere l’ordinanza
lo strumento per esercitare poteri di indirizzo, che di fatto trascendano in
poteri gestionali, dando vita alla plateale violazione delle norme citate prima.
Le ordinanze per emergenze
sanitarie, sono regolate dall’articolo 50, comma 5, del d.lgs 267/2000: “In particolare,
in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente
locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale
rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal
sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all'urgente
necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado
del territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del
decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di
tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in
materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di
bevande alcoliche e superalcoliche. Negli altri casi l'adozione dei
provvedimenti d'urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di
referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della
dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti
territoriali regionali”.
Le ordinanze attinenti all’ordine
pubblico sono disciplinate dall’articolo 54, comma 4, sempre del Tuel: “Il
sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato provvedimenti
[, anche][1]
contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al
fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità
pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono
preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione
degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione”.
Risulta di assoluta evidenza che
tra le materie oggetto possibile delle ordinanze sindacali non rientra certo la
fissazione di criteri di natura gestionale.
Il perché è fin troppo ovvio. Le
ordinanze sindacali sono provvedimenti urgenti e destinati a vigere per un
periodo limitato alle necessità di affrontare le urgenze connesse
(contingibilità ed urgenza), che, anche in deroga a disposizioni ordinarie di
legge, dispongano regole rivolte alla collettività amministrata.
Le ordinanze, cioè, hanno come
destinatari diretti i cittadini, la popolazione amministrata. Gli uffici sono
strumento per assicurare la corretta divulgazione e vigilanza delle ordinanze.
E’ del tutto impensabile che
ordinanze sindacali siano rivolte, invece, agli uffici per indicare loro azioni
gestionali o, ancor peggio, sostituirsi di fatto ad essi nell’adozione di decisioni
gestionali.
Un’ordinanza sindacale rivolta ad
un ufficio, allo scopo di ordinare – restando fermi al caso di specie – di
utilizzare certi criteri invece di altri per determinare i beneficiari dei buoni
spesa, oltre ad essere plateale violazione delle disposizioni sulla separazione
delle competenze, finisce per creare un cortocircuito insanabile sul piano operativo
e gestionale.
Infatti, trasforma un rapporto,
quello tra sindaco e funzionari dell’apparato, da quel che è “funzionale”, in
quel che non è e non deve essere, “gerarchico”, attraverso un comando, l’ordinanza,
che se violata espone l’ufficio addirittura alla responsabilità penale connessa
al reato previsto dall’articolo 650 del codice penale.
Ammettere simile assurda
conseguenza, significa ritenere possibile un’intromissione nelle funzioni
gestionali, che la legge, come visto prima, intende impedire al sindaco e, alla
fine, violare i principi costituzionali posti dal citato articolo 97, comma 2,
della Costituzione: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni
di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità
dell'amministrazione”. La regola della separazione delle competenze è
diretta conseguenza della citata disposizione costituzionale. Il buon andamento
è garantito da valutazioni politiche (l’opportunità, nel caso di specie, di
partire con il piano per distribuire i buoni spesa e la scelta delle risorse da
destinare), abbinato a valutazioni tecniche, proprie degli uffici (in particolare
dei servizi sociali), dotati delle competenze operative finalizzate proprio a
discernere chi e perché possa beneficiare di aiuti in casi particolari. Ma,
soprattutto, l’ordinanza impropriamente volta a gestire, invece che ad
esprimere comandi generali, va in contrasto diretto, ancorchè solo potenziale,
col principio di imparzialità. Il sindaco, per quanto possa professare di
essere il “sindaco di tutti”, ha una colorazione politica. Non è evitabile che una
determinazione di criteri per individuare destinata diretti di misure come
quella del buono spesa, se effettuata dal sindaco o da uffici che agiscano come
semplice longa manus del sindaco, guidati dai fili dell’ordinanza sindacale, possano
far insorgere il dubbio che le scelte siano determinate da appartenenze politiche,
convenienze elettorali, conoscenze specifiche. Tutto quel che, per altro, un
apparato amministrativo, guidato oltre tutto dalle regole della normativa
anticorruzione, deve sventare.
Non è l’ordinanza, quindi, lo
strumento per esercitare il potere di indirizzo politico nella fase di
attivazione delle iniziative: né nel caso di specie, né in qualsiasi altro caso.
Per altro, la cristallizzazione in
provvedimenti come ordinanze, ma anche regolamenti, per determinare i requisiti
di accesso al beneficio oggetto dell’iniziativa della Protezione Civile, è
quanto mai deleteria ai fini del buon andamento, tali e tanto diversificate potranno
essere le situazioni personali.
Non può che spettare ai
componenti dei servizi sociali analizzare lo specifico caso, dando evidenza
delle ragioni e degli indicatori utilizzati per ammettere in tutto o in parte
al beneficio, o per non ammetterlo, con un esame in tutto e solo tecnico della
questione, senza vincoli a criteri che poi si possano rivelare inadeguati, incompleti
e restrittivi e continuamente da aggiornare.
Del resto, i criteri generali li
ha già fissati l’ordinanza della protezione civile: è dentro a questi che gli
uffici debbono esercitare la propria discrezionalità tecnica.
[1]
(comma dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte costituzionale, con
sentenza n. 115 del 2011, nella parte in cui comprende la locuzione «, anche»
prima delle parole «contingibili e urgenti»)
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