sabato 4 aprile 2020

Pensieri liberi sulla “ripartenza”.



In Cina, per un’uscita ancora non definitiva dall’assedio del virus, hanno impiegato 3 mesi di chiusura davvero totale.
In Italia sono passate poco più di tre settimane di chiusura molto parziale, e già si scalpita per la riapertura.

C’è ben poco da aggiungere alle più che sagge riflessioni di Luca Ricolfi su Il Messaggero del 4 aprile 2020, se non alcuni pensieri sparsi e dilettantistici.
Riaprire presto. Ma, cosa? I bar? E’ immaginabile che senza vaccino disponibile si possano ripresentare le scene (a noi tanto care) di bar stracolmi di persone che bevono il caffè gomito a gomito? E chi assicura della sanificazione delle tazzine e dei bicchieri? E chi dell’impianto di condizionamento o di riscaldamento? Quanti saranno disposti a rientrare nei bar “a comando” come prima? Oppure, quanti accetterebbero di fare una fila distanziati di metri, aspettando anche mezze ore per assumere il caffè?
E i ristoranti? Stessi problemi di prima. Ci piacciono moltissimo le deliziose trattorie toscane o romane e, comunque, in generale le trattorie, ma anche le “focaccerie” come a Palermo. Anche lì, in tempi di pace, si sta piacevolmente compressi in spazi angusti, a godere del cibo e del vociare. Qualcuno crede davvero che il 14 aprile (o il 2 maggio o il 16 maggio, ma che importa la data?) sarà possibile davvero tornare a questo?
Cosa riaprire? Gli uffici pubblici o privati che siano a “sportello”? Ripristiniamo il rituale delle sale d’aspetto colme, delle file, degli ambienti ristretti con decine di persone? Qualcuno accetterebbe questo rischio?
E gli alberghi e le altre strutture ricettive? Senza farmaci e soprattutto vaccino, quante saranno le persone disponibili a frequentare ambienti in cui sono stati anche altri, dei quali non si conoscono le condizioni di salute, se contagiato asintomatico o meno, e senza sapere quali protocolli di sanificazione e di sicurezza assicura la struttura? Ma, si pensa davvero che tutto riaprirebbe come prima? E, per restare sul tema delle attività turistico ricettive, quanti saranno disponibili ad entrare in massa negli aerei pieni come un uovo, a mezzo centimetro di distanza dal fiato del passeggero accanto, con impianti di condizionamento potenzialmente micidiali? E quanti a stringersi nelle file interminabili dei check in e poi nei pullman che portano all’apparecchio? Quanti sarebbero disponibili, per turismo e svago, ad affrontare imbarchi che con misure di sicurezza durerebbero ore ed ore?
Riaprire le fabbriche. Certo. La manifattura non può prescindere dall’operato di chi lavora (e questa fase sta facendo riscoprire il valore enorme del lavoro delle persone, ridotto, in questo trentennio, a merce da svalutare). Ma, protocolli o non protocolli di sicurezza, quante sono le fabbriche chiamate, per adeguarsi realmente alle misure, a modificare radicalmente passaggi operativi, disposizione delle macchine e lavorazioni, per evitare contatti ravvicinati?
Parliamo dell’agricoltura? Si sta già verificando il pericolo che molti avevano paventato: non si trovano più braccianti, mezzadri, persone disposte al durissimo lavoro nei campi per raccoglierne i frutti (ed anche in questo caso: decenni e decenni di tolleranza del caporalato e di svalutazione ovviamente allontanano da questo lavoro, totalmente ridotto a merce deprezzata, in spregio all’articolo 36 della Costituzione). Pensiamoci: in pochissimi saranno disposti a fare questo lavoro, ma non solo perché durissimo e mal pagato. Il problema principale è che per la “stagione” della raccolta non si può certo andare e venire da casa al lavoro, come se si fosse in ufficio. Occorre stare nelle “masserie”, vicino ai campi. E magari fossero masserie: spesso i lavoratori sono stati ammassati in catapecchie malsane, accalcati tra loro: un sistema perfetto per far proliferare il virus e consentirgli stragi simili a quelle delle case di riposo. Qualcuno è disposto a rischiare?
Il mantra del “riaprire presto”, mentre ancora ogni giorno muoiono 800 persone, appare un sistema avventato, buono per far calare la tensione ed indurre le persone a violare e regole del distanziamento sociale.
Soprattutto, questo mantra sembra espresso da chi ha la “vocazione d’impresa”, ma in realtà non capisce che un’apertura eccessivamente imprudente potrebbe portare all’esplosione di nuovi focolai (per altro ad Hong Kong si è dimostrato che l’epidemia ha sufficiente forza per tornare violenta come prima) e al rischio di nuovi lock down anche più restrittivi, dopo l’ennesima decimazione dei lavoratori e la nuova crisi delle terapie intensive.
E questi fautori del “riaprire presto” non si rendono conto che prima di riaprire debbono fare investimenti enormi per ripensare totalmente i metodi di produzione e distribuzione. Senza il vaccino, i bar, i ristoranti, gli aerei, i treni, le fabbriche, i servizi a sportello, non potranno funzionare come prima. Occorreranno tempi completamente dilatati, spazi molto maggiori, investimenti in sicurezza certificati e soggetti a controlli impietosi. I servizi a sportello dovranno praticamente chiudere al pubblico: è l’ora della digitalizzazione obbligatoria e diffusa. E’ lo Spid il sistema per relazionarsi con la PA? Divenga obbligatorio. Niente più bollettini postali pagati alle poste: solo processi on line, con personale delle poste che lavora da remoto, anche con funzione di tutor (magari affiancato dai Caf: l’esperienza dei rapporti di questi con uffici tributari e previdenziali insegna che sono in grado di lavorare bene). Contratti commerciali, ma anche di compravendita immobiliare che richiedono forma scritta con obbligatorio intervento dei notai? Solo on line.
Chi non ha lo Spid, se lo procuri (con la preghiera agli enti emettitori di rendere molto, ma molto, ma ancor più molto, più semplice il sistema per attivarlo). Si sceglie la strada della Pec? Si renda obbligatoria la Pec e si vieti la corrispondenza cartacea. Allo stesso modo, non è più tempo di permettere la circolazione così ampia del “contante”: la diffusione obbligata dei pagamenti on line deve passare per la riduzione del contante.
Il lavoro in agricoltura? Deve essere tutelato, pagato profumatamente e deve basarsi su sistemi di trasporto verso i campi opposti all’Ape o al furgoncino pick up nel quale il caporale comprime decine di persone e su strutture di accoglienza comode, igieniche, ampie, sicure.
Certo, occorreranno molti investimenti pubblici. E’ quello che con enorme lentezza istituzioni politiche e finanziarie internazionali, abituate a guardare solo il proprio ombelico e l’aridità di curve e dati come lo spread, stanno iniziando a capire: c’è la vita, oltre l’accumulo e le regole economiche; regole, per altro, che non esistono, trattandosi solo di convenzioni. L’economia non è una scienza esatta; la medicina lo è (quasi); la medicina può salvare dal virus, l’economia no. Ma può guidare la ripresa, se non più frequentata da chi da 30 anni si è beato di regole già inadeguate alla vita in “tempo di pace”, intende perpetuarle in questa fase così diversa.
In assenza di tutto questo, parlare di “riaprire presto” è semplicemente irresponsabile ed illusorio.

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