domenica 3 maggio 2020

Appalti e Fase 2: cosa occorre per ripartire.

"Solo il tempo necessario per attuare la riforma, che sicuramente non sarà breve, rivelerà quanto sia stata capace di migliorare il quadro degli appalti. Nel frattempo, appare facile pronosticare che, come è già avvenuto col codice precedente, nel breve e medio periodo giungeranno frequenti e numerosi aggiustamenti".
Questa è la chiusura di un articolo che chi scrive ebbe pubblicato il 5 maggio 2016, pochissimi giorni dopo l'entrata in vigore dello sciagurato codice dei contratti pubblici, il d.lgs 50/2016.

La profezia si rivelò facilissima. Già nell'estate il codice ricevette un poderoso correttivo a centinaia di errori di scrittura. Ma, poi, nel corso degli anni, interventi e modifiche sono state così tante, da perdersi il conto. Chi fosse interessato, comunque, accedendo a questa pagina potrebbe verificare la quantità incredibile di correzioni e modifiche apportate in soli 4 anni al codice.
E' passato, dunque, un quadriennio dall'entrata in vigore del codice. In pochi, per quanto non pochissimi (è giusto citare l'acutissimo Battista Bosetti), sin da subito si resero conto dell'alto grado di nocività di una norma concepita male, scritta peggio, rimediata con pezze a colori a loro volta inefficaci. Una norma flagellata dalla complicazione della soft law, le Linee Guida il cui esisto è stato rendere il quadro ancor più sfilacciato, disordinato, pletorico e ingarbugliato.
Un disastro normativo. Che, ancora, molti media attribuiscono al facile genere per vendite ed audience "burocrazia". La quale, tuttavia, non c'entra assolutamente nulla.
I media si ostinano a scambiare per burocrazia (che sarebbe la forza soverchiante degli uffici della pubblica amministrazione nell'imporre regole astruse nella gestione delle proprie attività) la pessima qualità dell'ipernormazione.
Sta di fatto che, comunque, nei primi tempi il codice venne esaltato e difeso a spada tratta e coi denti da molti. Tanto che le inevitabili inefficienze prodotte vennero da alcuni attribuite al "boicottaggio" della PA e dei comuni.
A ben vedere, l'unico boicottaggio l'ha perpetrato chi ha voluto, pensato e scritto il codice, ma anche chi lo ha interpretato: si è trattato di un boicottaggio alla logica, all'efficienza, all'utilità, alla semplicità.
Forse, l'emergenza pandemia ha definitivamente convinto che il codice, così com'è, non può funzionare e va radicalmente modificato.
Ad un'attenta lettura, ci si rende conto che le parti che hanno reso il codice un simbolo dell'inefficienza e della complicazione sono tutte frutto del goldplating, cioè dell'aggiunta alle regole fondamentali derivanti dalla direttiva UE 24/2014 , di un'enorme serie di regole, cavilli e codicilli di diritto interno.
Basti pensare all'assurda regolazione del sotto soglia, che, come tale, non è ovviamente oggetto delle direttive europee.
L'articolo 36 del codice è stato tra i più modificati ed aggiustati. E' un inno alla complicazione. A partire dall'insensato principio di rotazione, totalmente inesistente nella normativa europea, che ha determinato diluvi di Linee Guida ed una mortificante oceanica giurisprudenza, caratterizzata da insanabili contrasti. E, soprattutto, ha vulnerato con ogni evidenza l'applicazione del principio di concorrenza.
L'articolo 36 andrebbe cancellato e riscritto. Soprattutto, andrebbe precisato che se è consentito un affidamento diretto per appalti sotto una certa soglia, non deve esistere la necessità di motivazione alcuna: la motivazione è la soglia, punto.
Totalmente fallimentare, poi, è la scelta sciagurata di ridurre le stazioni appaltanti "da 30.000 a 30". Il risultato? un caos (sempre vaticinato molti anni, visto quanto semplice era la profezia), per altro inutile. Infatti, le norme sulle aggregazioni delle stazioni appaltanti, in particolare i comuni, hanno sempre funzionato a singhiozzo, poichè non sono mai (fortunatamente) entrate in vigore le Linee Guida necessarie per la qualificazione delle stazioni appaltanti. Finchè non si è giunti alla sospensione dell'aggregazione dei comuni, attualmente disposta fino al 31 dicembre del 2020.
L'aggregazione degli appalti, frutto di idee di stampo populistico-aziendalistico è stata un disastro.
I problemi di concentrare tutto sulla Consip si sono visti nella loro immane enormità per la questione delle mascherine, ma già da prima si sarebbe dovuto capire che la Consip incide negativamente sulla concorrenza. La funzione di una centrale d'acquisto è contribuire a creare un mercato, a creare prezzi e basi gara di orientamento, a creare forme operative (le convenzioni d'acquisto) convenienti sul piano della gestione, ma non esclusive. Consip e soggetti aggregatori, sempre in ritardo nei loro mega contratti, hanno invece finito per creare oligopoli d'acquisto.
Altre assurdità del codice create solo in Italia? La composizione delle commissioni di gara per gli appalti col criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Si è inserito l'assurdo principio che della commissione non possano far parte componenti interni, nell'antieconomico e senza senso intento di creare un mercato dei commissari esterni, che per altro non si è ancora mai visto.
Inoltre, è stato praticamente vietato ai dirigenti e a chi abbia realizzato gli atti (progetti, capitolati, band) di far parte delle commissioni: un tributo pagato alla cultura del sospetto che ogni attività possa creare conflitti di interesse, tanto da indurre la giurisprudenza a fondare un principio molto metagiuridico e molto etico, ed in quanto tale assurdo, di virgin mind, buono a creare solo disfunzioni e contenzioso.
E cosa dire sul RUP (responsabile unico di gara?). L'insieme micidiale di codice e Linee Guida induce ad affermare contestualmente che possa, ma anche non possa far parte della commissione giudicatrice; che possa, ma anche non possa, valutare l'anomalia delle offerte; che possa ed insieme non possa escludere direttamente le imprese da non ammettere alla gara.
E, a proposito di "anomalia" delle offerte: il sistema sotto soglia di esclusione automatica è una perversione matematica, modificata tantissime volte, destinata a non funzionare mai a dovere.
Vogliamo parlare dei meri adempimenti? L'articolo 29 del codice, uno tra i più involuti e peggio scritti, impone una quantità spaventosa di pubblicazioni in ogni dove. Basterebbe per inchiodare gli uffici amministrativi ad attività di imputazione dati, assolutamente inutili per il fluire degli appalti, per giorni e giorni. Ma, invece, non basta: il d.lgs 33/2013, infatti, in combinazione con l'articolo 1, comma 32, della legge 190/2012, impone di duplicare tutte quelle pubblicazioni, ai fini della "trasparenza".
Un altro capitolo semplicemente folle è quello delle comunicazioni. L'articolo 76 è un peana alla ridondanza, all'oscurità, alla ripetitività.
Ma, suo stretto parente è l'articolo 106, che ha reso la disciplina delle varianti, da sempre complessa, un dedalo incomprensibile ed inestricabile.
Per non parlare delle concessioni. Il codice ha reso la disciplina dell'in house molto più complessa di quella del diritto europeo, ma al momento delle concessioni autostradali, quelle più delicate, dalle quali dipende la tenuta dei ponti delle grandi arterie, ammette deroghe incredibili.
C'è poi il capitolo insoluto delle regole troppo astruse per il subappalto e di quelle ancora scritte in sanscrito con caratteri della lineare A cretese (mai decifrata).
Ci sarebbe, infine, da comprendere che i tempi lunghi degli appalti non sono affatto quelli della gara. Sono le autorizzazioni, i piani urbanistici, le conferenze di servizio, le folli regole di contabilità pubblica che precedono; poi, la ridondanza spaventosa di regole per la sottoscrizione dei contratti, dei controlli antimafia, dell'avvio formale dei lavori, della contabilità, dei pagamenti. Un mostro barocco, che rende difficilissimo partire con i progetti e poi realizzarli. La fase della gara è di durata infinitesimale rispetto ai tempi degli appalti: eppure, l'attenzione è tutta concentrata lì. Perchè il sonno dell'attenzione mediatica sugli slogan, spesso genera mostri giuridici.



2 commenti:

  1. Non posso che condividere affermazioni che ho sempre sostenuto (prendendomi anche qualche lavata di capo da ANAC che stranamente, qui non è ricordata).
    Più che la lineare A dell'isola di Creta, farei riferimento al «Problema della recensionalità del Codice B alla luce del papiro Boedmer XIV» che si può leggere ma non comprendere

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