Il problema delle aggregazioni delle stazioni appaltanti
e dell’obbligo di avvalersi delle centrali di committenza è una gravosa eredità
lasciata dai velleitari tentativi di spending review del Governo Monti, prima, e degli studi dell’ex Commissario
Cottarelli. Come è noto, del lavoro dell’ex commissario non è rimasto nulla, se
non, per l’appunto, l’idea di poter conseguire risparmi sulla spesa di
acquisizione di lavori, beni e servizi limitando il numero delle
amministrazioni appaltanti, concentrandole “da 30.000 in sole 35” , come da anni ormai ci
sentiamo dire.
Ovviamente, le cose, nella vita concreta, non stanno
affatto così. La concentrazione delle stazioni appaltanti di per sé non è e non
può essere sintomo di riduzione dei costi degli appalti. Per un verso, il caso
del Cev dimostra come anche le centrali di committenza possano essere al centro
di corruttele e turbative d’asta; per altro verso, è a tutti largamente noto che
se si mettono a base di gara i prezzi delle convenzioni Consip, generalmente si
ottengono ribassi ulteriori e molto robusti rispetto a quanto “spuntato” dalla
principale centrale di committenza italiana.
Sta di fatto che la volontà di assecondare gli slogan
facili a fare breccia nei media ha prodotto, come noto, le contorte regole
dell’articolo 1 del d.l. 95/2012, l’obbrobrioso articolo 33, coma 3-bis (più
volte ritoccato) del d.lgs 163/2006 e le ultime ancora più criptiche
disposizioni della legge 208/2015 in merito alle acquisizioni di beni e
servizi, anche informatici, normativa che ci ha anche regalato il problema
dell’identificazione del cosiddetto “organo di vertice amministrativo”, del
quale nessuno sentiva il bisogno.
La questione viene trattata, ovviamente, anche dal nuovo
codice dei contratti, a tutti presentato come norma di semplificazione e
razionalizzazione degli istituti vigenti.
Tuttavia, nel caso di specie il codice non pare aver
centrato l’obiettivo di semplificare o razionalizzare alcunché. Le complesse e
disarmoniche superfetazioni normative create caoticamente nell’inseguire gli
slogan a basso prezzo, non hanno consentito all’estensore del decreto di
giungere all’unica utile conclusione da trarre: fare pizza pulita di tutte le
norme in essere e realizzare un nuovo sistema di disciplina delle aggregazioni
degli enti, semplice, facile da applicare e da controllare.
Invece, nulla di tutto ciò. La disciplina contenuta nel
testo del decreto legislativo approvato dal Governo si incammina lungo i binari
del caos esistente, limitandosi ad un leggero maquillage.
L’idea di fondo è puntare sulla qualificazione delle
stazioni appaltanti. Considerato che non tutti gli enti dispongono di pari
strutture per gli appalti, né come dimensione quantitativa, né come qualità
degli operatori, si presuppone che non tutti gli enti siano in grado di gestire
tutti gli appalti, specie quelli di particolare delicatezza, legata all’importo
elevato oppure alla complessità delle specifiche tecniche.
Ci si poteva, allora, limitare a definire fasce e
tipologie di appalti autonomamente gestibili dalle stazioni appaltanti. Ma, il
treno delle centrali di committenza è ormai partito; così come anche il sistema
delle deroghe varie ai tanti vincoli operativi.
Il risultato è che anche il nuovo codice dei contratti
presenta un intreccio complicatissimo ed involuto di disposizioni, con le
conseguenti difficoltà operative e lacune.
Qualificazione non
necessaria. Si
delinea, in primo luogo, un’area nella quale non è necessario che le amministrazioni
appaltanti siano qualificate. Si tratta:
1.
dell’acquisizione di forniture e servizi di importo inferiore a 40.000
euro;
2.
della realizzazione di lavori di importo inferiore a 150.000 euro.
In questi casi, dunque, le amministrazioni, anche se non
in possesso della qualificazione potranno procedere direttamente
all’acquisizione di detti appalti. Per altro, il nuovo codice dei contratti in
questi casi consente di individuare il contraente anche in via diretta, senza
particolari formalità di gara. Nell’ambito di questa area di qualificazione
necessaria delle stazioni appaltanti, esse potranno acquisire lavori, beni e
servizi anche attraverso l’effettuazione di ordini nell’ambito di strumenti di
acquisto telematici, messi a disposizione dalle centrali di committenza, come
ad esempio l’ordine diretto di acquisto o la richiesta di offerta nell’ambito
del Me.Pa. gestito dalla Consip.
Però, detti margini di autonomia non sono applicabili in
presenza di obblighi normativi che impongono strumenti di acquisto e negoziazione
anche telematici, previsti dalle vigenti disposizioni in materia di
contenimento della spesa.
Il che significa comunque il divieto di acquisire in via
autonoma beni e servizi:
1.
in applicazione dell’articolo 26 della legge 488/1999;
2.
in applicazione dell’articolo 9, comma 3, del d.l. 66/2014, convertito in
legge 89/2014, che prevede l’individuazione ogni anno di categorie di beni e
servizi (non lavori) e loro soglie di valore, al superamento delle
quali è comunque obbligatorio ricorrere a Consip o ad altri soggetti
aggregatori (vedi il Dpcm 24/12/2015);
3.
in applicazione dell’attuale articolo 1, comma 512, della legge 208/2015,
che obbliga tutte le amministrazioni pubbliche (e le società partecipate)
individuate dall’Istat ad acquisire beni e servizi informatici
esclusivamente da Consip o altri soggetti aggregatori. Tuttavia, ciò nei limiti
dei “beni e servizi disponibili”;
4.
in applicazione dell’articolo 1, comma 7, del d.l. 95/2012, convertito in
legge 135/2012, per le categorie merceologiche di:
a.
energia elettrica,
b.
gas,
c.
carburanti rete e carburanti extra-rete,
d.
combustibili
per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile.
Per quanto riguarda, in
particolare, gli enti locali, tuttavia, c’è da precisare che essi non sono da
considerare obbligati ad applicare l’articolo 26 della legge 488/1999. Infatti l’articolo
1, comma 449, della legge 296/2006 dispone: “Nel rispetto del sistema delle convenzioni di cui agli articoli 26
della legge 23
dicembre 1999 , n. 488, e successive modificazioni, e 58 della legge
23 dicembre 2000 ,
n. 388, tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi
compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni
educative e le istituzioni universitarie, nonché gli enti nazionali di
previdenza e assistenza sociale pubblici e le agenzie fiscali di cui al
decreto legislativo 30
luglio 1999 , n. 300, sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le
convenzioni-quadro. Le restanti
amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001 ,
n. 165, e successive modificazioni, possono
ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente
articolo, ovvero ne utilizzano i
parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei
contratti. Gli enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso
tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali
regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni
regionali, le convenzioni-quadro stipulate da Consip S.p.A.”.
Dunque, in termini generali, i
comuni e gli altri enti locali (“restanti amministrazioni” di cui al comma 449
trascritto sopra) hanno la facoltà e non l’obbligo di utilizzare le
convenzioni; nel caso in cui non se ne avvalgano, debbono comunque utilizzarne
i parametri prezzo-qualità per le proprie gare autonomamente gestite.
C’è da ricordare che tra gli “obblighi” finalizzati al
contenimento della spesa, l’articolo 1, commi 510 e 516, della legge 208/2015
prevede la necessaria autorizzazione all’acquisizione di beni e servizi e, in
particolare, informatici, extra convenzioni Consip o di altre centrali di
committenza. Poiché il comma 510 richiama l’articolo 26 della legge 488/1999,
non applicabile in via obbligatoria alle amministrazioni locali, si può
dubitare della sua obbligatorietà appunto per gli enti locali; non così la
disposizione dell’articolo 516, che lascia pochi dubbi sulla necessità di far
precedere l’acquisizione di beni e servizi informatici dalla preventiva
autorizzazione del fantomatico “organo di vertice amministrativo”.
Il nuovo codice dei contratti porta alla conclusione
secondo la quale detti commi della legge 508/2015 restino in vigore, anche se
una vera razionalizzazione e semplificazione avrebbe dovuto condurre gli
estensori del testo alla scelta opposta, quella di eliminarli, viste le varie
complicazioni amministrative da essi scatenate.
Qualificazione
obbligatoria per acquisti autonomi. Per le amministrazioni appaltanti esiste la possibilità
di effettuare acquisizioni in via autonoma nell’ambito di un’area di
qualificazione obbligatoria:
1.
per gli acquisti di forniture e servizi di importo superiore a 40.000 euro
e inferiore alla soglia comunitaria;
2.
per gli acquisti di lavori di manutenzione ordinaria d’importo superiore a
150.000 euro e inferiore a 1 milione di euro,
ferma restando la disciplina descritta in precedenza.
Tuttavia, si tratta di un’autonomia procedurale limitata:
infatti, in questi casi le amministrazioni procedono mediante ricorso autonomo
agli strumenti telematici di negoziazione messi a disposizione dalle centrali
di committenza qualificate secondo la normativa vigente.
Solo nel caso di indisponibilità di tali strumenti, anche
in relazione alle singole categorie merceologiche, le stazioni appaltanti:
1.
procedono all’acquisizione di forniture, servizi e lavori
a. ricorrendo a una centrale di
committenza
b. ovvero mediante aggregazione con
una o più stazioni appaltanti aventi la necessaria qualifica
2.
procedono mediante lo svolgimento di procedura ordinaria ai sensi di quanto
stabilito dal nuovo codice dei contratti.
Occorrerà comprendere cosa debba intendersi per
“indisponibilità” degli strumenti telematici di negoziazione: assenza assoluta
degli strumenti, oppure mancanza delle categorie merceologiche? La precisazione
contenuta nel nuovo codice secondo la quale l’indisponibilità è relativa anche
alle singole categorie merceologiche fa propendere per la seconda risposta, più
razionale e utile alla chiusura del sistema.
Comuni non
capoluogo di provincia. C’è, poi, una disciplina specifica per i comuni non capoluogo di
provincia, i quali, fermo restando quanto sopra (cioè per acquisizioni maggiori
pari o maggiori a 40.000 euro per beni e servizi e a 150.000 per lavori, nonché
in via di “autonomia limitata” per le soglie superiori viste prima – se
qualificati - ), procedono secondo una delle seguenti modalità:
a) ricorrendo
a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati;
b) mediante
unioni di comuni costituite e qualificate come centrali di committenza, ovvero
associandosi o consorziandosi in centrali di committenza nelle forme previste
dall’ordinamento.
Facoltà di
avvalersi delle centrali di committenza. In ogni caso, ferme restando le previsioni fin qui
analizzare, resta ferma per tutte le amministrazioni la possibilità di acquisire
lavori, forniture o servizi mediante ricorso ad una centrale di committenza
qualificata.
Qualificazione. La qualificazione delle
stazioni appaltanti sarà curata dall’ANAC, che redigerà un elenco, del quale
faranno parte anche le centrali di committenza; l’elenco sarà pubblicato
secondo le regole che saranno stabilite successivamente.
La qualificazione sarà assegnata:
1.
in rapporto alla tipologia e complessità del contratto
2.
per fasce d’importo.
Saranno iscritti di diritto nell’elenco di cui sopra il
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ivi compresi i Provveditorati
interregionali per le opere pubbliche, CONSIP S.p.a., nonché i soggetti
aggregatori regionali di cui all’articolo 9 del decreto legge 24 aprile 2014,
n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, e le
città metropolitane.
Un successivo Dpcm definirà i requisiti tecnico
organizzativi per l’iscrizione all’elenco delle stazioni appaltanti qualificate,
in applicazione dei criteri di qualità, efficienza e professionalizzazione, tra
cui per le centrali di committenza il carattere di stabilità delle attività e
il relativo ambito territoriale. Il decreto definisce, inoltre, le modalità
attuative del sistema delle attestazioni di qualificazione e di eventuale
aggiornamento e revoca.
In particolare, la qualificazione riguarderà il complesso
delle attività che caratterizzano il processo di acquisizione di un bene,
servizio o lavoro in relazione ai seguenti ambiti:
a) capacità
di programmazione e progettazione;
b) capacità
di affidamento;
c) capacità
di esecuzione e controllo.
I requisiti di cui sopra saranno valutati dall’Anac sulla
base dei seguenti parametri:
a) requisiti
di base, quali:
1) strutture organizzative stabili deputate agli ambiti di cui
al comma 3;
2) presenza nella struttura organizzativa di dipendenti aventi
specifiche competenze in rapporto alle attività di cui al comma 3;
3) sistema di formazione ed aggiornamento del personale;
4) numero di gare svolte nel triennio con indicazione di tipologia,
importo e complessità;
b) requisiti
premianti, quali:
1) valutazione positiva dell’ANAC in ordine all’attuazione di
misure di prevenzione dei rischi di corruzione e promozione della legalità;
2) presenza di sistemi di gestione della qualità conformi alla
norma UNI EN ISO 9001 degli uffici e dei procedimenti di gara, certificati da
organismi accreditati per lo specifico
scopo ai sensi del regolamento CE 765/2008 del Parlamento Europeo e del
Consiglio;
3) disponibilità di tecnologie telematiche nella gestione di
procedure di gara;
4) livello di soccombenza nel contenzioso;
5) applicazione di criteri di sostenibilità ambientale e
sociale nell’attività di progettazione e affidamento.
La qualificazione varrà per una durata di cinque anni e
può essere rivista a seguito di verifica, anche a campione, da parte di ANAC o
su richiesta della stazione appaltante.
Le modalità attuative del sistema di qualificazione
saranno fissate dall’Anac, che assegnerà alle stazioni appaltanti un termine
congruo per porre in essere effettivi processi di riorganizzazione e
professionalizzazione finalizzati allo scopo di acquisire concretamente i dei
requisiti necessari alla qualificazione. L’Anac indicherà, comunque, modalità
diversificate di qualificazione, per tenere anche conto delle peculiarità dei
soggetti privati che richiedano la qualificazione.
Sarà anche prevista la qualificazione “con riserva”, per
consentire alla stazione appaltante di acquisire la capacità tecnica ed
organizzativa richiesta entro un determinato termine fissato dall’Anac per dare
modo alle amministrazioni di riorganizzarsi, come visto sopra.
Una volta entrato in funzione il nuovo sistema di
qualificazione delle stazioni appaltanti, l’ANAC non rilascerà più il codice
identificativo gara (CIG) alle stazioni appaltanti che procedono
all’acquisizione di beni, servizi o lavori non rientranti nella qualificazione
conseguita.
La qualificazione avrà anche effetti incentivanti.
Infatti, il nuovo codice stabilisce che gli introiti delle sanzioni in materia
di vigilanza sui contratti pubblici esercitata dall’ANAC confluiscano in un
apposito fondo istituito presso il Ministero delle infrastrutture e trasporti
per essere destinati, con decreto dello stesso Ministro, da adottate entro il
31 gennaio di ciascun anno successivo alla valutazione, alla premialità delle
stazioni appaltanti, secondo i criteri individuati dall’ANAC nell’ambito dei
propri poteri relativi alla qualificazione. Ebbene, una parte di queste risorse
attribuite alle stazioni appaltantei sarà destinata dall’amministrazione di
appartenenza della stazione appaltante premiata al fondo per la remunerazione
del risultato dei dirigenti e dei dipendenti appartenenti alle unità
organizzative competenti per i procedimenti di acquisizione di lavori, servizi
e forniture. La valutazione positiva della stazione appaltante viene comunicata
dall’ANAC all’amministrazione di appartenenza della stazione appaltante perché
ne tenga comunque conto ai fini della valutazione della performance
organizzativa e gestionale dei dipendenti interessati.
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