Una delle argomentazioni a sostegno di questo tremendo colpo alla sostenibilità dell'ordinamento consisteva nell'opportunità dell'eliminazione di un centro decisionale, che avrebbe abbreviato la catena amministrativa.
Argomentazione del tutto erronea e falsa. Come si nota, le province, per nulla abolite dalla riforma ma semplicemente devastate nel loro assetto, anche finanziario, non hanno aperto bocca: non un'ordinanza, non un provvedimento su aperture, chiusure, misure varie. Nulla.
Il motivo? Non certo la prudenza ed il rispetto degli assetti istituzionali dei presidenti delle province e degli altri organi. E' facile immaginare che se avessero potuto avere spazi mediatici, connessi all'adozione di atti e provvedimenti "da prima pagina", li avrebbero adottati senza pensarci due volte.
Le province non sono intervenute ad alimentare la terribile confusione normativa pandemica semplicemente perchè non hanno alcuna competenza nè in materia sanitaria, nè di ordine pubblico.
Ciò dimostra che, al di là di inviti troppo radicali, come l'invito ad abolire le regioni (i Tar, tutto, insomma), invito populista e becero del quale un ente locale come le province è stato vittima, un necessario ripensamento degli assetti ordinamentali deve passare per la definizione chiara delle competenze.
Non debbono e non possono esservi enti di diverso livello che condividano identiche competenze, pro quota.
Ci si appella, erroneamente, al principio di sussidiarietà, fissato dall'articolo 118 della Costituzione. Ma, tale norma si fonda sulla necessità che l'assegnazione delle competenze all'ente più vicino alla comunità, sia definitivamente ed esclusivametne assegnata a tale ente e che, quindi, conseguentemente si ritragga qualsiasi altra ingerenza di enti diversi; per questo, la sussidiarietà è accompagnata, nella norma, dal fondamentale principio di "differenziazione".
E' la differenziazione ad essere stata ripetutamente violata, da regioni e comuni che pretendono di intervenire sulle medesime materie connesse alla pandemia e con gli stessi poteri dello Stato (salvo accorgersi dell'illegittimità di ciò davanti ai giudici, perchè mancano strumenti di controllo preventivo).
Un indispensabile intervento ordinamentale è specificare, allora, le competenze di regioni ed enti locali, con un'elencazione tassativa: ciò che è di competenza dei comuni non deve esserlo delle regioni, e quel che è di competenza di queste non può concorrere con quelle dello Stato.
Anche le procedure, debbono evitare di attraversare più enti. Lo dimostra la cassa in deroga: il passaggio da crisi aziendale, ad accordo quadro regioni-sindacati, all'istruttoria regionale per passare poi all'Inps quello che l'Inps potrebbe raccogliere direttamente dalle imprese è pura complicazione.
Va immediatamente abolito il micidiale articolo 13, comma 1, del testo unico sull'ordinamento degli enti locali ("Spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze"): tale norma configura il comune come ente a "fini generali" e viene continuamente fraintesa, tanto che moltissimi comuni pensano di poter intervenire con atti amministrativi a modificare assetti normativi disposti per legge o di poter, comunque, disporre di poteri decisionali in ogni argomento, dalla sanità alle crisi collettive, dal lavoro alla politica estera, dalla ricerca scientifica alle telecomunicazioni.
Solo quando si sarà in grado di determinare una griglia rigorosa e tassativa di competenze, allestendo un soggetto che dirima i conflitti di competenze con poteri di controllo preventivo sui pericoli di esondazione e di individuazione dell'ente competente, il caos (che non nasce con la pandemia, essendo endemico, ma dalla pandemia è stato esaltato) potrà essere evitato.
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