Anche nel caso della riforma dell’abuso d’ufficio, il decreto semplificazioni non semplifica, ma complica.
Infatti, il numero di denunce ed indagini resterà invariato ed in più occorrerà accertare, cosa prima non necessaria, se la norma violata sia regolamentare o meno, se la norma violata contenga una specifica regola di condotta o meno, se un principio enunciato dalla Costituzione o dalla legge sia qualificabile come regola di condotta o meno, se vi siano margini di discrezionalità o meno. Con la paradossale contraddizione che il dipendente pubblico può determinare un “abuso” del proprio ufficio solo se abbia margini di discrezionalità.
Tutto questo, poi, per 6.582 procedimenti aperti nel 2017, a fronte di 3.200.000 dipendenti pubblici: un tasso di procedimenti aperti pro capite dello 0,2%; e per 57 condanne, con un tasso di condanne pro capite dello 0,0017%.
La “paura della firma” per commissione del reato di abuso d’ufficio, reato “poco contestato”, come afferma Valentina Maglione nell’articolo “Il nuovo abuso d’ufficio non ferma le indagini a carico dei funzionari” sul Sole 24 Ore del 27 luglio 2020, appare solo un’invenzione mediatica, volta a preparare - da anni - il terreno ad una riforma controproducente perchè, come sempre, scritta male e fuori mira.
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