Sin dall'aprile 2019 chi scrive evidenzia la nullità delle disposizioni del Ccnl, area dirigenza, del comparto Funzioni Locali, ove attribuisce ai segretari comunali un inesistente potere di avocazione dei provvedimenti dei dirigenti.
Si è preferito insistere su una strada, sbagliatissima e gravemente lesiva dell'ordinamento, di cieca applicazione di un'indicazione del Comitato di settore.
Un segnale molto negativo. Compito degli amministratori pubblici è, certo, quello di applicare ed attuare l'indirizzo politico. Ma, ciò, deve avvenire non mediante la mera compiacenza e l'attuazione purchè sia, prescindendo dalla valutazione dello strumento e della sua legittimità.
Sarebbe stato onere specifico dell'Aran, come si rilevò a suo tempo negli scritti riportati qui sotto, evidenziare al Comitato di settore le illiceità e illegittimità dell'indirizzo, nonchè la nullità sottesa a questa clausola.
E' un segnale pessimo, in quanto proprio l'Aran dà la sensazione che il dirigente "bravo" è colui che segua pedissequamente "ordini". Una sorta di "monito" proprio alla dirigenza e, in particolare, ai segretari comunali, invitati indirettamente ad agire sempre e solo attuando le indicazioni politiche, senza alcuna valutazione tecnica sulla praticabilità giuridica di tali indicazioni e, quindi, con totale abdicazione alla funzione tecnica propria del ruolo.
Quali siano l'efficienza, l'efficacia, l'economicità, la managerialità derivanti dalla sottoscrizione di clausole contrattuali velleitarie, riflusso di una riforma, quella Madia, mai fortunatamente entrata in vigore, frutto di direttive illegittime, in pieno ed evidentissimo contrasto con la legge e, in una sola parola, nulle, è tutto da scoprire.
Come da scoprire sarà la responsabilità per i mille contenziosi che certamente si apriranno proprio a causa di questa sciagurata previsione contrattuale. Nonostante la sua evidente nullità, infatti, non saranno certamente pochi gli organi di governo dei comuni che ne pretenderanno l'attuazione, sia in accordo con segretari comunali convinti che l'aplomb del ruolo stia nel firmare ed avocare, sia in accordo, all'opposto, con vertici organizzativi di fiducia, intenti a mettere nell'angolo quel segretario consapevole, invece, che coordinare nel rispetto delle competenze esclusive di ciascuno è funzione molto, ma molto diversa, meno facile e meno comoda.
Il contenzioso è dietro l'angolo, perchè avocazioni sulla base di una fonte nulla non potranno non suscitare reazioni da parte dell'avocato o del destinatario del provvedimento amministrativo che possa eccepire l'incompetenza. Del resto, l'avocazione per "inadempimento" dovrebbe comunque sempre accompagnarsi a procedimenti disciplinari e di accertamento delle connesse responsabilità. Per altro verso, un contenzioso potrebbe essere aperto dai segretari chiamati ad "avocare" sempre e comunque dal tacito accordo politica-dirigenza che voglia scaricare sul parafulmine l'adozione delle scelte più "controverse", per altro pretendendo che in questi casi non si dia nemmeno corso all'azione disciplinare.
Una Caporetto del diritto, dell'organizzazione, della distinzione delle competenze della legge e dei contratti, con una compiacenza per l'esondazione della contrattazione verso una funzione che non le appartiene per nulla: stabilire regole sull'organizzazione e sulle competenze.
blogliveri - 5 aprile 2019
venerdì 5 aprile 2019
Nullo l’atto di indirizzo per il contratto collettivo nazionale di lavoro della dirigenza del comparto Funzioni locali, nella parte che assegna alla contrattazione la funzione di specificare le funzioni di sovrintendenza dei segretari comunali.
L’atto di indirizzo assegna all’Aran il compito di definire i contenuti delle attività di sovraintendenza e coordinamento, previsti dall’articolo 97, comma 4, del d.lgs 267/2000 ed elenca, ai fini della graduazione della retribuzione di posizione dei segretari comunali, alcune attività considerate specifiche, tra cui “l’esercizio del potere di avocazione degli atti dei dirigenti in caso di inadempienza e ogni altra funzione di direzione richiamata nei regolamenti di organizzazione”.
La previsione si pone in contrasto insanabile con una serie di norme e principi. In primo luogo, la direttiva vìola l’articolo 40, comma 1, secondo periodo, del d.lgs 165/2001: “sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all'organizzazione degli uffici … quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali….”. Stabilire che ai segretari comunali spetti un potere di avocazione degli atti dei dirigenti significa esattamente intromettersi nella materia dell’organizzazione degli uffici e delle prerogative dirigenziali. Infatti, il potere di avocazione è strettamente connesso alla superiorità gerarchica, che è un metodo di organizzazione. Ed è evidente che considerare gli atti dei dirigenti come avocabili dal segretario da un lato incide sulle prerogative dirigenziali, dall’altro finisce per rendere detti atti come non definitivi, quando invece lo sono per unanime visione giurisprudenziale.
Ma, tutto questo alla contrattazione collettiva, come visto, non è consentito, perché è il d.lgs 165/2001 ad impedire che la fonte contrattuale possa ingerirsi in competenze che ai sensi dell’articolo 97, comma 1, della Costituzione sono soggette a riserva di legge. Per altro, la giurisprudenza ha da tempo evidenziato a più riprese che il segretario non può avocare gli atti dei dirigenti o sostituirsi ad essi. Ad esempio, il Tar Toscana, Sezione III, con sentenza 5 marzo 2007, n. 272, ha considerato illegittimo un accordo urbanistico sottoscritto dal segretario comunale (e dal direttore generale), perché il solo soggetto dotato per legge di impegnare validamente l’ente è il dirigente competente. Dal canto suo la Cassazione, Sezione lavoro, con sentenza 12 giugno 2007, n. 13708 ha negato qualsiasi potere di avocazione degli atti di competenza dirigenziale da parte del segretario comunale, osservando che “l’attribuzione legislativa al segretario comunale di compiti di sovrintendenza di coordinamento dell’attività del dirigente, non può essere intesa, per ragioni di coerenza sistematica, nel senso che tali compiti implichino un potere di sostituzione del dirigente”. Infatti, se si attribuisse al segretario un potere di avocazione, si derogherebbe alle attribuzioni dei dirigente, in violazione della regola di diretta responsabilità del dirigente rispetto all’atto di esercizio di una funzione specificamente attribuitagli.
In particolare, l’avocazione contrasta con la previsione contenuta nell’articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000, ai sensi del quale le competenze dei dirigenti sono esclusive e possono essere derogate solo per via legislativa e non certo contrattuale. Né la direttiva può attribuire ai regolamenti dell’ente il compito di attribuire ai segretari “funzioni di direzione” ulteriori e diverse da quelle esercitabili per legge che altro non sono se non funzioni “suppletive”: i segretari comunali possono essere, cioè, chiamati (in particolare negli enti di piccole dimensioni) a svolgere compiti di diretta direzione di strutture amministrative per rimediare temporaneamente alla mancanza di un dirigente o (negli enti privi di dirigenza) di un funzionario apicale.
L’atto di indirizzo conferma l’abitudine dei comitati di settore di tentare di introdurre per via contrattuale norme che, però, sono precluse alla fonte pattizia. In particolare, i sindaci da tempo ambiscono ad attribuire ai segretari compiti di avocazione, sia per blandire chi si lasci affascinare da funzioni di superiorità gerarchica pur inesistenti, sia per pretendere, poi, dai segretari ingerenze quali longa manus del sindaco e degli assessori, così da poter violare, il principio di separazione delle competenze politiche da quelle gestionali, per mano di un soggetto comunque non ascrivibile alla politica, per quanto direttamente incaricato dal sindaco, quale il segretario.
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Italia Oggi
7 maggio 2019
Pagina 40
Palazzo Vidoni ha dato l' ok all' atto di indirizzo per il Ccnl nonostante una norma controversa.
I dirigenti finiscono sotto tutela
I segretari avocheranno gli atti in caso di inadempimento
I segretari comunali potranno avocare gli atti dei dirigenti in caso inadempimento. La Funzione pubblica ha dato il suo benestare all'atto di indirizzo rivolto all'Aran per l' avvio del Ccnl dell' area dirigenza del comparto Funzioni locali, nonostante la controversad isposizione secondo cui il contratto dovrebbe attribuire e disciplinare per i segretari comunali un potere di «avocazione» degli atti dei dirigenti, in caso di inadempimento.
L' indicazione è in contrasto con l' articolo 40,comma 1, del dlgs 165/2001 che fa espresso divieto alla contrattazione collettiva di curarsi di materie «afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2,16 e 17»: è evidente che introdurre un potere di avocazione implica proprio ingerirsi nelle prerogative dirigenziali esplicitamente vietate. Se i segretari comunali adottassero atti nell'esercizio di un potere di avocazione, i loro provvedimenti risulterebbero tutti a fondato rischio di nullità per assoluta carenza di potere.
In ogni caso, anche fosse legittima la clausola contrattuale, la previsione si rivelerebbe una pericolosa arma a doppio taglio.
Nei comuni in particolare vi sono due evidenti rischi operativi. Il primo deriva da un legame troppo stretto tra politica ed apparato dei dirigenti o funzionari responsabili di servizio, che tende a tenere isolato il segretario comunale. In questo caso, il potere di avocazione si rivela estremamente rischioso: un tacito accordo tra organi politici e funzionari potrebbe indurre questi ultimi a non adottare gli atti più delicati, scaricando indirettamente sul segretario comunale l' onere di avocarli. All'opposto, si riscontra non di rado un rapporto non troppo coordinato tra politica ed apparato; in questi casi il segretario comunale può fare da filtro e non di rado gli organi di governo si affidano al ruolo del segretario (ma anche del direttore generale, nei comuni con oltre 100 mila abitanti) per una direzione amministrativa fortemente orientata sulle esigenze politiche, più che su quelle amministrative. Il potere di avocazione del segretario, specie se allettato con la remunerazione aggiuntiva di direttore generale o comunque con la «personale adesione» alla parte politica (considerata, incredibilmente, ammissibile dalla sentenza 23/2019 della Consulta) potrebbe essere utilizzato, allora, nel caso di contrasti tra politica e gestione come strumento per un' ingerenza fortissima della prima, mediante il segretario comunale, chiamato alla bisogna ad avocare le decisioni sulle quali non vi sia concordia.
Il contratto collettivo, insomma, si presta a creare molti problemi, senza per altro alcuna ragione pratica. Il potere di avocazione si collega ad un rapporto di gerarchia, che però tra segretario comunale da un lato e dirigenti o funzionari apicali è inesistente, come accertato più volte dalla Cassazione. Ma, nei fatti, la norma contrattuale sarebbe anche inutile. La legge, infatti, disciplina già un rimedio all'inerzia di dirigenti o funzionari: è l' articolo 2, comma 9-bis, della legge 241/1990, ai sensi del quale «l'organo di governo individua, nell'ambito delle figure apicali dell' amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all'ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente».
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La Gazzetta degli enti locali - 29 maggio 2019
IL VULNUS DELL’AVOCAZIONE DEI PROVVEDIMENTI DA PARTE DEL SEGRETARIO COMUNALE
Luigi Oliveri
E’ incredibile come sia possibile che nessuno abbia eccepito le molteplici illegittimità, ma soprattutto i pericoli di utilizzo distorto, del potere di avocazione degli atti dirigenziali che l’atto di indirizzo rivolto all'Aran per l'avvio del Ccnl dell'area dirigenza del comparto Funzioni locali vorrebbe attribuire ai segretari comunali.
La previsione dell’atto di indirizzo è la seguente: “L’ARAN definisce i contenuti delle attività di sovraintendenza e coordinamento di cui all’art. 97, comma 4, del D.Lgs. n. 267/2000, tra cui, a titolo esemplificativo, la sovraintendenza alla gestione complessiva dell’ente, la predisposizione del piano dettagliato degli obiettivi, la proposta del piano esecutivo di gestione, l’esercizio del potere di avocazione degli atti dei dirigenti in caso di inadempienza e ogni 12 altra funzione di direzione richiamata nei regolamenti di organizzazione. Conseguentemente è fatta salva la disciplina prevista dall’art. 41 commi 4 e 5 CCNL 16/5/2001”.
Poche righe, nelle quali sono contenute una quantità enorme di illegittimità. Proviamo ad elencarne qualcuna:
- l’atto vorrebbe assegnare all’Aran il compito di definire i contenuti delle attività di sovrintendenza e coordinamento. Ma l’Aran dispone di questa competenza? La definizione delle funzioni di sovintendenza e coordinamento consiste nella specificazione della sfera di competenza e delle modalità di esercizio di un pubblico ufficio: quello del segretario. Le norme violate sono almeno:
- articolo 97, commi 2 e 3 della Costituzione, i quali stabiliscono: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.
Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”. La definizione dell’organizzazione e delle competenze, come si nota, è soggetto a riserva di legge. La legge, certo, potrebbe disporre di se stessa ed attribuire ai contratti collettivi nazionali l’esercizio di queste competenze. Peccato che nel caso di specie non sia così, come si dimostra col successivo punto; - articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001 che fa espresso divieto alla contrattazione collettiva di curarsi di materie «afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17»: è evidente che introdurre un potere di avocazione implica proprio ingerirsi nelle prerogative dirigenziali esplicitamente vietate. Se i segretari comunali adottassero atti nell'esercizio di un potere di avocazione, i loro provvedimenti risulterebbero tutti a fondato rischio di nullità per assoluta carenza di potere.
- articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000: “Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”.
- Articolo 46, comma 1, del lgs 165/2001, ai sensi del quale “L'ARAN esercita a livello nazionale, in base agli indirizzi ricevuti ai sensi degli articoli 41 e 47, ogni attività relativa alle relazioni sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi e alla assistenza delle pubbliche amministrazioni ai fini dell'uniforme applicazione dei contratti collettivi”. Come si nota, l’Aran non dispone per legge nemmeno in minima parte del potere di definire le funzioni non solo del segretario comunale, ma di qualsiasi organo amministrativo;
- articolo 97, commi 2 e 3 della Costituzione, i quali stabiliscono: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.
- nella parte in cui la previsione si occupa della predisposizione del piano dettagliato degli obiettivi e della proposta del piano esecutivo di gestione, l’atto di indirizzo vìola le previsioni contenute nel d.lgs 267/2000, le quali attribuiscono, ovviamente, al regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi e al regolamento di contabilità la disciplina di questi temi, che non può essere affrontata in alcun modo legittimo e lecito dalla contrattazione collettiva;
- nella parte in cui prevede il potere di avocazione, le norme violate sono[1]:
- l’articolo 97, commi 2 e 3, della Costituzione, visti sopra;
- l’articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001, visto sopra;
- l’articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000, visto sopra;
- l’articolo 107, comma 6, del lgs 267/2000, ai sensi del quale “I dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione”;
- l’articolo 2, comma 9-bis, della legge 241/1990, ai sensi del quale “l'organo di governo individua, nell'ambito delle figure apicali dell'amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all'ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente”.
L’atto di indirizzo, come si nota, si ingerisce in competenze totalmente sottratte alla contrattazione e, per altro, intenderebbe disciplinare fattispecie già in parte regolate dalla legge.
Si ribadisce: è incredibile che la leggerezza con la quale si possano prevedere tutte queste violazioni clamorose di norme non sia stata, come doveroso, censurata e fermata. Avviare una contrattazione sulla base di questi presupposto inaccettabili è avventuristico.
Soffermiamoci, in ogni caso, sulle due ultime norme di legge violate clamorosamente dall’atto di indirizzo elencate prima.
Dovrebbe risultare chiaro ed evidente il carattere definitivo e, dunque, non suscettibile di un intervento di riesame da parte di altri organi, dei provvedimenti dei dirigenti, come indicato dall’articolo 107, comma 6, del d.lgs 267/2000. Il quale indirettamente attribuisce la caratteristica della definitività ai provvedimenti dei dirigenti, in quanto rimette alla loro esclusiva responsabilità la gestione. Poiché la loro responsabilità è “esclusiva”, nessun altro soggetto può ingerirsi nella gestione. E poiché i loro atti sono definitivi, non può in alcun modo immaginarsi nemmeno lontanamente un rapporto di gerarchia tra segretario comunale e dirigenti. Il potere di avocazione, come noto, è intimamente e strettamente connesso alla sovraordinazione gerarchica, sistema di organizzazione degli uffici mediante il quale la medesima sfera di competenza è attribuita all’ufficio sovraordinato e all’ufficio sottoordinato; quest’ultimo, quindi, esercita le competenze sotto le strette ed inviolabili indicazioni dell’ufficio sovraordinato, che dispone di poteri estremamente forti di ingerenza, quali gli ordini di servizio e, appunto, l’avocazione, quando il sovraordinato ritenga di riservare a se stesso l’adozione di provvedimenti, per qualsiasi ragione; inoltre, nel sistema gerarchico, gli atti del sottoordinato non sono definitivi e, quindi, nei confronti di questi è possibile presentare ricorso gerarchico.
L’articolo 107, comma 6, come evidenziato prima, attribuisce ai dirigenti degli enti locali una responsabilità esclusiva ed intangibile: il loro atti non possono essere oggetto di ricorso gerarchico. Dal canto suo, il comma 4 dell’articolo 1017, che si compone in evidente armonia con l’articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001, esclude che qualsiasi fonte diversa dalla legge possa incidere la competenza e la responsabilità esclusive della dirigenza.
L’assenza, dunque, di un potere gerarchico in capo ai segretari comunali, e di una competenza del Ccnl di introdurlo e meno ancora di regolarlo inficiano gravemente la liceità dell’atto di indirizzo e del contratto che fosse sottoscritto attuando incautamente il vulnus gravissimo della previsione in argomento.
La cui illiceità è ulteriormente confermata dall’articolo 2, comma 9-bis, della legge 241/1990. Questa norma ha già affrontato e risolto il problema posto dall’esclusività della competenza dirigenziale, nell’ipotesi in cui il singolo dirigente risulti negligente e adotti con ritardo gli atti del proprio ufficio.
La norma introdotta nella legge 241/1990, lungi dal prevedere un potere di avocazione, impossibile per l’assenza della sovraordinazione gerarchica, dispone, invece, un potere sostitutivo di tipo straordinario. La sostituzione non modifica l’ordine delle competenze: il sostituto si insedia in via eccezionale e temporanea (in modo virtuale) nell’ufficio inerte o in ritardo ed al posto di questo adotta provvedimenti riferiti a quell’ufficio, anche se se ne assume la responsabilità diretta.
La previsione della legge 241/1990 rimedia brillantemente al rischio che l’autonomia e l’esclusività della responsabilità dei dirigenti possa indurli ad agire in modo arbitrario e senza rendere conto del dovere di attuare il programma di governo. Ma, d’altra parte, l’articolo 109, comma 1, del d.lgs 267/2000 è molto chiaro da sempre sul dovere dei dirigenti di gestire nel rispetto degli indirizzi di governo: infatti gli incarichi dirigenziali sono “sono revocati in caso di inosservanza delle direttive del sindaco o del presidente della provincia, della giunta o dell'assessore di riferimento, o in caso di mancato raggiungimento al termine di ciascun anno finanziario degli obiettivi assegnati nel piano esecutivo di gestione previsto dall'articolo 169 o per responsabilità particolarmente grave o reiterata e negli altri casi disciplinati dai contratti collettivi di lavoro”.
Se, quindi, la preoccupazione del Comitato di settore (composto dall'Associazione nazionale dei Comuni italiani (ANCI), dall'Unione delle province d'Italia (UPI) e dall'Unioncamere) è quello di garantire ai cittadini che comunque il provvedimento cui hanno diritto venga in ogni caso adottato – ferme restando le responsabilità per il ritardo – la normativa vigente è già sufficiente a risolvere il problema.
La sensazione è, invece, che proprio il soggetto la cui parte nel Comitato di settore è quella del leone, cioè l’Anci, in accordo con alcune sigle sindacali dei segretari comunali, intenda ottenere un risultato del tutto diverso: la verticalizzazione del potere, sulla base della convinzione (rafforzata da una lettura distorta della sentenza della Corte costituzionale 23/2019) che il segretario comunale sia di fatto un soggetto coinvolto in pieno nella parte politica, scelto fiduciariamente in quanto in grado quanto meno di influenzare il programma di governo e, come tale, “garante” dell’esecuzione di detto programma.
In questa ottica, il potere di avocazione evidenzia ancora maggiori vulnus all’ordinamento, più sul piano fattuale e di merito, che della legittimità.
E’ evidente che l’avocazione, intesa come sopra, è il cavallo di Troia per superare di fatto il principio di separazione tra politica e gestione: il segretario comunale avocante, fiduciario del sindaco e della parte politica, potrebbe essere lo strumento, la longa manus con la quale la politica si reimpossessa della gestione diretta.
Basta che ogni volta che una decisione gestionale dirigenziale non piaccia, il sindaco solleciti il segretario ad avocare la decisione dirigenziale, in modo che sia corrispondente in toto ai desiderata politici.
L’atto di indirizzo non ne parla: ma è facile immaginare che dietro questa volontà di introdurre la verticalizzazione del potere che si era tentata con la – per fortuna – fallita riforma Madia, vi sia la mira a creare quel “dirigente apicale” che possa ambire alle retribuzioni aggiuntive, connesse al concreto esercizio dei potere che l’atto di indirizzo vorrebbe fossero regolati dal Ccnl. Insomma, un rimedio all’abolizione della figura del direttore generale nei comuni fino a 100.000 e la riapertura del mercato delle retribuzioni a compenso di queste funzioni.
Uno scambio che potrebbe sedurre molti segretari, come in effetti nel passato è accaduto, sì che per circa 12 anni, fino al doveroso intervento normativo del 2009 che ha soppresso opportunamente l’inutile figura del direttore generale nei comuni fino a 100.000 abitanti, sono stati sperperati denari, spesso posti già a suo tempo per trasformare una figura essenziale per l’organizzazione efficace ed il rispetto delle regole, qual è il segretario comunale, in un gestore verticale, chiamato solo all’attuazione pedissequa di un programma politico; sulla base di una concezione dell’efficienza ed efficacia non più connesse all’imprescindibile legalità, ma solo al grado di compiacenza alle indicazioni politiche.
Il tutto gira intorno all’indefinito concetto di “inadempienza”, citato dall’esiziale atto di indirizzo come presupposto per l’avocazione. Inadempienza a cosa?
Se si trattasse dell’inadempienza all’adozione del provvedimento nei termini, come visto sopra, il rimedio sarebbe già pronto: l’articolo 2, comma 9-bis, della legge 241/1990.
Ma se l’Anci insiste, evidentemente per “inadempienza” non può non intendere qualcosa d’altro. E non è difficile immaginare che questo qualcosa d’altro possa essere volontariamente frainteso come qualsiasi decisione gestionale non totalmente aderente alle indicazioni della politica.
Inadempienza potrebbe essere, allora, gestire un appalto mediante procedura aperta, mentre la politica vorrebbe imporre affidamenti diretti; non prorogare un contratto che si vorrebbe prorogare; evidenziare l’inesistenza dei presupposti per l’affidamento di una consulenza che si insiste a voler dare; gestire un contributo con procedura di individuazione pubblica e non in modo diretto; derogare in vari modi a regole su concessioni, licenze, tributi.
Il “dirigente apicale” dotato di potere di avocazione potrebbe essere lo strumento deleterio di questo. E indirettamente favorire, certo nei per fortuna pochi, ma pur sempre troppi, casi di enti inquinati da corruzione e conflitti di interessi, l’adozione di atti gestionali funzionali alla mala amministrazione.
All’opposto, il potere di avocazione potrebbe essere un’arma tremenda di pressione proprio nei confronti del segretario comunale. Se, come spessissimo accade, vi è uno stretto rapporto di “fiducia” tra politici e dirigenti, questi potrebbero decidere di fare del segretario il parafulmine ogni volta che una decisione sia a conclamato rischio; l’accordo tacito tra politica e dirigenti è che questi restino appositamente inadempienti (ma non sanzionati), per passare la patata bollente di un atto a sospetta efficienza, efficacia e legittimità, al segretario comunale, non proprio in rapporto di piena consentaneità con la politica, il sindaco potrebbe imporre l’avocazione dell’atto, pena la revoca dell’incarico o dell’emolumento aggiuntivo.
L’utilizzo distorto degli istituti, specie quando introdotti e regolati in modo illegittimo come avverrebbe per l’avocazione, è sempre dietro l’angolo. Non bisogna dimenticare il monito derivante dalla sentenza della Cassazione, Sesta Sezione Penale 23 maggio 2019, n. 22871: la Suprema Corte ha condannato per abuso d’ufficio il sindaco che ha revocato l’incarico al responsabile della Polizia Municipale, perché questo aveva evidenziato comportamenti illeciti e dannosi di alcuni componenti del Corpo e non aveva accettato di condizionare il rinnovo dell’incarico all’insabbiamento. Ecco: quel sindaco, comunque, aveva avuto modo di nascondere l’atto ritorsivo dietro l’applicazione distorta della “rotazione” prevista dalla normativa anticorruzione. Facile comprendere che in quell’ente oltre ad essere stato calpestato il buon andamento della pubblica amministrazione e la dignità professionale di un funzionario corretto, punito per questo, è stato del tutto messo in un angolo il segretario comunale. Messo nella condizione, evidentemente, di non poter eccepire nulla sui provvedimenti illegittimi adottati e addirittura sullo stesso utilizzo illecito della rotazione, strumento dell’anticorruzione del quale il segretario, come è noto, è il principale responsabile.
La presa di coscienza delle inaccettabili illegittimità dell’atto di indirizzo e delle conseguenze di fatto dannosissime che deriverebbero dall’introduzione dell’avocazione dovrebbero consigliare di pensare molto bene a quel che le parti sottoscriveranno. L’Aran stessa, per prima, avrebbe l’onere di evidenziare al Comitato di settore l’impossibilità di dare corso a queste indicazioni.
[1] Non può convincere, quindi, l’erronea ricostruzione dottrinale (Brevi considerazioni sul potere avocativo del Segretario comunale, di M. Lucca e G Gianbattista Zanon; La Gazzetta degli enti locali, 6 luglio 2007) ove si sostiene che il potere di avocazione sia introducibile mediante il regolamento di organizzazione o, addirittura, perfino con provvedimento del sindaco o del presidente della provincia: la violazione dell’articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000 di simili provvedimenti sarebbe clamorosa.
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Italia Oggi - 19 giugno 2020
La bozza di contratto torna alla riforma Madia mai entrata in vigore
Dirigenza locale precarizzata dal nuovo Ccnl
di Luigi Oliveri
Una bozza di rinnovo del contratto della dirigenza del comparto Funzioni locali fortemente caratterizzata da criticità, tendente ad applicare pezzi della riforma Madia mai entrata in vigore per effetto della sentenza della Consulta 251/2016.
L'Aran ha elaborato una piattaforma contrattuale pedissequamente rispettosa degli indirizzi forniti dal Comitato di settore. Ma, in questo modo, si è prodotta una bozza oggettivamente tendente ad ingigantire lo spoils system, in aperto e frontale scontro con una serie di disposizioni normative, in particolare in tema di incarichi e revoche.
L'articolo 40, comma 1, ultimo periodo del dlgs 165/2001 appare una delle poche norme caratterizzate da chiarezza cristallina: «sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie ... afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali». Dunque, il nuovo Ccnl dovrebbe del tutto disinteressarsi di incarichi e revoche.
Del resto, le modalità di conferimento degli incarichi sono disciplinate integralmente dall'articolo 19 del dlgs 165/2001. Che al suo comma 1-ter, a proposito di revoche, dispone: «Gli incarichi dirigenziali possono essere revocati esclusivamente nei casi e con le modalità di cui all'articolo 21, comma 1, secondo periodo». E tale ultima disposizione prevede che l'amministrazione possa revocare l'incarico solo a seguito di accertamento di grave mancato raggiungimento di obiettivi o violazione di direttive politiche imputabili direttamente ai dirigenti.
La bozza di Ccnl pare ignorare questi vincoli. Sugli incarichi, ad esempio, la bozza considera il tema come materia di relazioni sindacali, secondo la modalità del confronto. Altro elemento affrontato, del tutto estraneo alle competenze contrattuali è la rotazione, che viene regolata come fosse un obbligo diffuso, in un'accezione travisata delle regole sulla trasparenza.
Ma è soprattutto sulla revoca che la bozza insiste moltissimo, con un effetto di marcata precarizzazione dello status della dirigenza, platealmente contrario anche alla giurisprudenza maturata dalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza 103/2007.
L'articolo 21 del dlgs 165/2001, unica norma che per legge, come visto prima, è legittimata a regolare la revoca, richiama la contrattazione collettiva solo per consentirle di dettare previsioni i merito alla responsabilità disciplinare connessa al mancato raggiungimento degli obiettivi o alla violazione colposa delle direttive. Il Ccnl, quindi, vìola la riserva di legge nel regolare la responsabilità dirigenziale. Eppure, la bozza introduce un'ipotesi, platealmente illegittima, di sanzione per responsabilità dirigenziale non prevista dall'articolo 21 del dlgs 165/2001: la sospensione da ogni incarico dirigenziale per la durata minima di due anni, per altro riferita esclusivamente al personale dirigenziale a tempo indeterminato.
Ancora, il Ccnl, in chiarissimo contrasto col già citato articolo 19, comma 1-ter, del dlgs 165/2001 consente espressamente una revoca anticipata dell'incarico dirigenziale per esigenze organizzative e gestionali. Non solo questa previsione contrasta con i limiti imposti dalla legge al Ccnl, ma finirebbe per legittimare una prassi altamente illegittima molto diffusa nelle amministrazioni locali: quella, cioè, di prevedere «riorganizzazioni» in realtà solo formali, surrettiziamente volte a penalizzare e precarizzare dirigenti non considerati «allineati» sul piano politico. Un ritorno, appunto, ai nefasti elementi di politicizzazione della dirigenza previsti dalla mai entrata in vigore riforma Madia. La bozza si diffonde anche sui motivi della revoca degli incarichi ai segretari comunali, introducendo tra essi il mancato esercizio del potere di «avocazione» degli atti dei dirigenti, con una doppia illegittimità: da un lato, infatti, i segretari comunali non sono superiori gerarchici dei dirigenti e quindi difettano completamente di poteri di avocazione; dall'altro, in questo modo la bozza vìola il divieto imposto dalla legge ai Ccnl di incidere sulle prerogative dirigenziali.
Ulteriori elementi di limitazione all'autonomia della dirigenza discendono dalla previsione che la programmazione delle ferie deve essere soggetta ad una «verifica della conciliabilità» con le esigenze degli organi politici. Una vera e propria autorizzazione sotto mentite spoglie, incompatibile con l'autonomia della dirigenza di organizzazione del proprio lavoro e potenzialmente deleteria per le finanze: sono molti i dirigenti che non esauriscono le ferie prima della pensione. Sin qui la giurisprudenza ha sempre negato risarcimento di danni, visto che le ferie sono autogestite. L'introduzione di questa autorizzazione surrettizia potrebbe sortire il cambiamento di questo filone giurisprudenziale e costare molto caro al comparto.
Quindi deduco che i Segretari comunali non sono ancora considerati dirigenti
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