Le Linee Guida della Funzione Pubblica su Pola e lavoro agile sono, purtroppo, per molti versi la stanca ripetizione di formule ed indicazioni sulla produttività che leggiamo e sentiamo da 30 anni, tutte inefficaci e totalmente inutilizzabili per una vera misurazione della produttività.
Analizziamo la seguente scheda,
proposta dalle linee guida:
DIMENSIONI
|
Esempi di INDICATORI di performance
organizzativa |
Produttiva |
· Diminuzione assenze (es. [(Giorni di assenza/giorni lavorabili mese A anno X - Giorni di
assenza/giorni lavorabili mese A anno X-1)/Giorni di assenza/giorni
lavorabili mese A anno X-1] )* · Aumento produttività (es. quantità di pratiche ordinarie lavorate/servizi erogati per
ufficio, unità organizzativa, etc.) |
Economica |
· Riduzione di costi rapportati all’output del servizio
considerato (es. utenze / anno; stampe / anno; straordinario / anno; , ecc.) |
Temporale |
· Riduzione dei tempi di lavorazione di pratiche ordinarie |
Nella “diminuzione assenze” reperiamo
i cascami del “brunettismo”, che venne in parte rilanciato dal “bongiornism0”.
L’attenzione all’assenza e alla
presenza dei lavoratori è certamente fondamentale. Appare tuttavia:
1.
del tuto opinabile che la produttività aumenti
con il diminuire delle assenze; la presenza in servizio è, infatti, uno degli
input del prodotto. Come dovrebbe sapere chi propone misuratori della
produttività, guardare solo ad uno dei fattori, senza guardare al rapporto tra output
e input, non ha alcun senso;
2.
in un documento, quali le Linee Guida, rivolto a
dare strumenti per la disciplina del Pola e, quindi, di un metodo di lavoro,
quello agile, basato sui risultati e non sul luogo e le ore di lavoro, il
suggerimento di misurare la produttività alla luce del tasso di assenza è risibile.
Occorrerebbe prendere atto che
il compito di verificare le presenze e le assenze attiene al dovere del datore
di lavoro di garantire che il lavoratore adempia ad una delle principali
obbligazioni contratte. La questione incide soprattutto sulla responsabilità
disciplinare. La produttività è altro.
In secondo luogo, la scheda
parla proprio di “aumento della produttività”. Ma, quelli che propone, sono “indicatori
misurabili”?
Si indica di verificare il
rapporto “quantità di pratiche ordinarie lavorate/servizi erogati per ufficio-unità
organizzativa”. Ma, si porti pazienza, cosa vuol dire? Intanto, cosa si intende
per “pratiche ordinarie”? Quali sarebbero quelle “straordinarie”? Quanto
inciderebbero. E, soprattutto: qual è il senso di mettere in rapporto le
pratiche lavorate con i servizi erogati? La lavorazione delle pratiche è un
tutt’uno con l’erogazione dei servizi, fino a prova contraria.
Un simile rapporto è nulla: non
dice nulla, rappresenta delle grandezze apparentemente enumerabili, ma
totalmente astratte.
Il perché è chiaro: come sempre,
non si basa sull’elemento fondamentale per misurare, cioè una metrica del
lavoro.
Per misurare se una quantità di
pratiche lavorate sia rispondente ad un certo risultato, in primo luogo
occorrerebbe determinare quel risultato e sbilanciarsi sul quantitativo complessivo
di pratiche che ci si aspetta in una certa unità di tempo. Ma, prima ancora
occorre sapere quali passaggi, quali azioni, quali risorse e quanto tempo si
consuma per definire la pratica, così da immaginare un tempo medio standard.
Solo così, frazionando il monte di ore lavoro disponibili (dato dalle ore di
servizio moltiplicate per il numero effettivo di personale addetto) si può
determinare in astratto un livello di pratiche da realizzare.
Più centrato e corretto l’indicatore
di tipo economico che invita a considerare la “Riduzione di costi rapportati
all’output del servizio considerato (es. utenze / anno; stampe / anno;
straordinario / anno”. Si tratta di un vero sistema di misurazione di
produttività, perché mette in relazione gli input, alcune voci di costo, con
gli output. E correttamente si configura lo straordinario come un costo. Troppo
spesso si confonde la produttività con l’aumento delle ore lavorate in
straordinario. Ma, se l’aumento delle ore lavorate può comportare un aumento
del prodotto, la produttività può anche non aumentare se il rapporto tra lavoro
impiegato e prodotti elaborati non cambia: anzi, finiscono per aumentare i
costi economici.
Senza senso il terzo indicatore
proposto, la “Riduzione dei tempi di lavorazione di pratiche ordinarie”. A
parte ancora il riferimento alle “pratiche ordinarie”, chi pensa che la produttività
o l’efficienza siano una corsa di velocitò a ridurre i tempi è totalmente fuori
strada.
La produttività, come si è
spiegato sopra, si misura in funzione di una serie di cognizioni anche molto
raffinate di come si realizza un’attività lavorativa. Il tutto, in una seria
metrica del lavoro, dovrebbe aiutare a definire tempi medi o standard o di
riferimento. La produttività si garantisce rispettando quegli standard. Non c’è
da correre a perdifiato per ridurli, ma occorre saper assicurare ai destinatari
la capacità di fornire il “prodotto” entro tempi definiti, come in una carta
dei servizi.
La riduzione dei tempi non è
questione di misurazione della produttività, ma di modifiche organizzative;
modificando i sistemi, i mezzi, le procedure, si può incidere sulle metriche
connesse e, quindi, ridurre i tempi standard, medi o di riferimento.
Un successivo indicatore
suggerito dalle Linee Guida è la “Quantità fruita (es. n. utenti serviti)”. Ma,
anche questo non ha un significato preciso. Il bovino conteggio degli utenti non
misura nulla, se non si prova a rapportare almeno tale numero degli utenti
serviti rispetto a quelli che hanno maturato il diritto ad essere serviti (a
seguito di un’istanza o su iniziativa d’ufficio).
Maggiormente utile la seguente
scheda che suggerisce alcuni indicatori della produttività individuale:
|
Esempi di INDICATORI di performance
individuale
|
RISULTATI |
Efficacia quantitativa: n. di pratiche, n. utenti serviti, n. di task
portati a termine (sia con riferimento ad attività ordinaria che a progetti
specifici che possono o meno essere collegati a obiettivi di performance
organizzativa riportati nel Piano della Performance); n. di pratiche in
lavoro agile/n. pratiche totali, n. utenti serviti in lavoro agile/ n. utenti
serviti, n. task portati a termine in lavoro agile/ n. task totali Efficacia qualitativa: qualità del lavoro svolto (valutazione da parte
del superiore o rilevazioni di customer satisfaction sia esterne che interne)
nel complesso e con riferimento agli output del lavoro agile, se possibile Efficienza produttiva: n. di pratiche, n. utenti serviti, n. di task
portati a termine in rapporto alle risorse oppure al tempo dedicato Efficienza temporale: tempi di completamento pratiche/servizi/task,
rispetto scadenze; tempi di completamento pratiche/servizi in lavoro
agile |
La prima parte della misurazione
dell’efficacia quantitativa è una mera misurazione delle pratiche svolte, degli
utenti servizi e dei compiti (task) portati a termine. Non serve. A meno che
non si rapportino ad un numero totale, come pratiche svolte/pratiche prese in carico,
n. utenti serviti/n. utenti affidati, compiti portati a termine/compiti
assegnati. Più utili e corretti i parametri immediatamente successivi, che rapportano
le attività complessivamente svolte in lavoro agile al totale di quelle prese
in carico.
Sull’efficacia qualitativa
torniamo dopo.
In quanto l’efficienza
produttiva, essa è appunto la produttività; infatti, in quella riga,
finalmente, si rapportano i risultati alle risorse impiegate oppure al tempo
dedicato.
In quanto all’efficienza
temporale, giusta la misurazione del tempo impiegato in relazione alle scadenze
(meglio sarebbe, in relazione ai tempi standard definiti).
Torniamo all’efficacia
qualitativa: essa è il cruccio e la pecca di qualsiasi sistema di valutazione
sin qui proposto.
Come si nota, le Linee Guida
riferiscono l’efficacia qualitativa alla valutazione del dirigente o al
gradimento degli utenti.
Soffermiamoci sul secondo, la customer
satisfaction. Da molti è considerata la panacea della valutazione, un modo
oggettivo ed efficace. Le cose non stanno affatto così. In primo luogo,
andrebbe ricordato che questionari di gradimento sono non certo impossibili, ma
del tutto controproducenti per quella enorme quantità di attività pubbliche di
carattere autoritativo, quando non di vigilanza e sanzione. In secondo luogo, è
difficile attivare un gradimento agile, snello e chiaro, senza il rischio di
parlare “alla pancia” e senza comunque esporre gli enti ad associazioni
organizzate intenzionate ad orientare e falsare gli esiti. Basta che un partito
di opposizione si organizzi per far esprimere a propri militanti
sistematicamente valutazioni negative sull’operato di un ente, per colpire la
maggioranza, ed il gioco è fatto. Della custorme satisfaction
occorrerebbe, se non diffidare, avere molta, molta cautela.
Andiamo alla valutazione del
dirigente. Poiché la qualità è qualcosa di sfuggente, inevitabilmente tale
valutazione sulla qualità, che spesso è proprio una valutazione della
produttività, viene connessa alla “pagella” espressa dal dirigente, alla luce
della valutazione di “comportamenti”. Immancabilmente le Linee Guida, infatti,
li riportano, con un’elencazione sintetica del vaniloquio di tanti sistemi di
valutazione:
• capacità di auto organizzare i tempi di lavoro. Ma,
cosa vuol dire? Se la valutazione della produttività è connessa all’assegnazione
di task, cioè di compiti, da svolgere nel rispetto di una modalità operativa,
non c’è da auto organizzare i tempi di lavoro, ma di rispettare i compiti. Tanto
più nel lavoro agile, ove i “tempi di lavoro” sfumano;
• flessibilità nello svolgimento dei compiti assegnati e
nelle modalità di rapportarsi ai colleghi. Ecco un indicatore suggestivo.
Si menziona la parola magica “flessibilità”, quindi va sempre bene, in ogni stagione.
Ovviamente, non vuol dire assolutamente nulla. A meno che non si intenda l’indicazione
data al dipendente si non agire come un robot o un Cerbero nella gestione delle
proprie funzioni. Ma, in questo caso, dovrebbero scattare le responsabilità
disciplinari;
• orientamento all’utenza. Il meraviglioso “orientamento
all’utenza”, espressione tanto affascinante, quanto vuota. Cosa vuol dire? Non
lo sa e non lo può sapere o spiegare nessuno. Cosa vuol dire? “Mettersi nei
panni del cittadino”? Certo, chiunque agisca come componente di un soggetto, la
PA, che eroga servizi non può ignorare chi sia il suo interlocutore, tenere
conto della persona, ascoltarne le ragioni, considerare tutti gli elementi e lo
status. Ma, questo fa parte delle obbligazioni contratte col contratto di
lavoro alle dipendenze della PA. Non è un comportamento, è un obbligo.
• puntualità nel rispetto degli impegni presi. Anche
questo: che “comportamento” sarebbe? E’ un’obbligazione ben precisa. Poi, come
si fa nello stesso elenco magnificare la “capacità di auto organizzare” i tempi
e poi chiedere “puntualità nel rispetto degli impegni presi”?;
• rispetto delle regole/procedure previste; Ma va?
Occorre, cioè, rispettare le incombenze dell’ufficio? E questo sarebbe un
indicatore per la produttività?
• evasione delle e-mail al massimo entro n. x giornate
lavorative. Ecco, è sperabile che in un ufficio davvero organizzato in modo
moderno, da un lato le pratiche non traggano origine da mail, ma semmai da pec
e meglio ancora, invece, da applicativi sui quali caricare istanze, documenti, istruttorie
e provvedimenti. Dall’altro, è sperabile che le risposte alle mail siano
immediate; è una relazione informale, poco più di una chat…
• presenza on line in fasce orarie di contattabilità da
concordare in funzione delle esigenze, variabili, dell’ufficio. Anche in questo
caso si prende per “comportamento” valutabile ai fini della produttività, un
adempimento ad obbligazioni ovvie.
• disponibilità a condividere con una certa frequenza lo
stato avanzamento di lavori relativi a obiettivi/task assegnati. Come? “disponibilità”
a “condividere”? Ma ci mancherebbe altro che lo stato di avanzamento delle
attività, per sua natura oggetto essenziale della funzione di coordinamento,
possa essere subordinata alla “disponibilità” di chi svolge le funzioni da
coordinare.
• disponibilità a condividere le informazioni necessarie con
tutti i membri del gruppo. Prego? Sarebbe un comportamento efficiente la
semplice e basilare, imprescindibile, abitudine a non considerare la pratica “mia”,
sul “mio tavolo”, ma, invece, “dell’ufficio”, temporaneamente e per una certa fase
affidata “alla mia responsabilità”, conservata in un archivio accessibile a colleghi
e coordinatori, verificabile, trasparente e ripetibile come impone l’articolo
9, comma 2, del dPR 62/2013???
Se non si superano una volta e per sempre queste ricadute sugli stessi errori di concezione della produttività e della sua valutazione, non si riuscirà mai a fare un passo in avanti nella PA
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