domenica 13 dicembre 2020

Gli esempi vuoti di indicatori di produttività nelle Linee Guida sul lavoro agile


Le Linee Guida della Funzione Pubblica su Pola e lavoro agile sono, purtroppo, per molti versi la stanca ripetizione di formule ed indicazioni sulla produttività che leggiamo e sentiamo da 30 anni, tutte inefficaci e totalmente inutilizzabili per una vera misurazione della produttività.

Analizziamo la seguente scheda, proposta dalle linee guida:

 

DIMENSIONI

 

Esempi di INDICATORI

di performance organizzativa

Produttiva

· Diminuzione assenze (es. [(Giorni di assenza/giorni lavorabili mese A anno X - Giorni di assenza/giorni lavorabili mese A anno X-1)/Giorni di assenza/giorni lavorabili mese A anno X-1] )*

· Aumento produttività (es. quantità di pratiche ordinarie lavorate/servizi erogati per ufficio, unità organizzativa, etc.)

Economica

· Riduzione di costi rapportati all’output del servizio considerato (es. utenze / anno; stampe / anno; straordinario / anno; , ecc.)

Temporale

· Riduzione dei tempi di lavorazione di pratiche ordinarie

 

Nella “diminuzione assenze” reperiamo i cascami del “brunettismo”, che venne in parte rilanciato dal “bongiornism0”.

L’attenzione all’assenza e alla presenza dei lavoratori è certamente fondamentale. Appare tuttavia:

1.      del tuto opinabile che la produttività aumenti con il diminuire delle assenze; la presenza in servizio è, infatti, uno degli input del prodotto. Come dovrebbe sapere chi propone misuratori della produttività, guardare solo ad uno dei fattori, senza guardare al rapporto tra output e input, non ha alcun senso;

2.      in un documento, quali le Linee Guida, rivolto a dare strumenti per la disciplina del Pola e, quindi, di un metodo di lavoro, quello agile, basato sui risultati e non sul luogo e le ore di lavoro, il suggerimento di misurare la produttività alla luce del tasso di assenza è risibile.

Occorrerebbe prendere atto che il compito di verificare le presenze e le assenze attiene al dovere del datore di lavoro di garantire che il lavoratore adempia ad una delle principali obbligazioni contratte. La questione incide soprattutto sulla responsabilità disciplinare. La produttività è altro.

In secondo luogo, la scheda parla proprio di “aumento della produttività”. Ma, quelli che propone, sono “indicatori misurabili”?

Si indica di verificare il rapporto “quantità di pratiche ordinarie lavorate/servizi erogati per ufficio-unità organizzativa”. Ma, si porti pazienza, cosa vuol dire? Intanto, cosa si intende per “pratiche ordinarie”? Quali sarebbero quelle “straordinarie”? Quanto inciderebbero. E, soprattutto: qual è il senso di mettere in rapporto le pratiche lavorate con i servizi erogati? La lavorazione delle pratiche è un tutt’uno con l’erogazione dei servizi, fino a prova contraria.

Un simile rapporto è nulla: non dice nulla, rappresenta delle grandezze apparentemente enumerabili, ma totalmente astratte.

Il perché è chiaro: come sempre, non si basa sull’elemento fondamentale per misurare, cioè una metrica del lavoro.

Per misurare se una quantità di pratiche lavorate sia rispondente ad un certo risultato, in primo luogo occorrerebbe determinare quel risultato e sbilanciarsi sul quantitativo complessivo di pratiche che ci si aspetta in una certa unità di tempo. Ma, prima ancora occorre sapere quali passaggi, quali azioni, quali risorse e quanto tempo si consuma per definire la pratica, così da immaginare un tempo medio standard. Solo così, frazionando il monte di ore lavoro disponibili (dato dalle ore di servizio moltiplicate per il numero effettivo di personale addetto) si può determinare in astratto un livello di pratiche da realizzare.

Più centrato e corretto l’indicatore di tipo economico che invita a considerare la “Riduzione di costi rapportati all’output del servizio considerato (es. utenze / anno; stampe / anno; straordinario / anno”. Si tratta di un vero sistema di misurazione di produttività, perché mette in relazione gli input, alcune voci di costo, con gli output. E correttamente si configura lo straordinario come un costo. Troppo spesso si confonde la produttività con l’aumento delle ore lavorate in straordinario. Ma, se l’aumento delle ore lavorate può comportare un aumento del prodotto, la produttività può anche non aumentare se il rapporto tra lavoro impiegato e prodotti elaborati non cambia: anzi, finiscono per aumentare i costi economici.

Senza senso il terzo indicatore proposto, la “Riduzione dei tempi di lavorazione di pratiche ordinarie”. A parte ancora il riferimento alle “pratiche ordinarie”, chi pensa che la produttività o l’efficienza siano una corsa di velocitò a ridurre i tempi è totalmente fuori strada.

La produttività, come si è spiegato sopra, si misura in funzione di una serie di cognizioni anche molto raffinate di come si realizza un’attività lavorativa. Il tutto, in una seria metrica del lavoro, dovrebbe aiutare a definire tempi medi o standard o di riferimento. La produttività si garantisce rispettando quegli standard. Non c’è da correre a perdifiato per ridurli, ma occorre saper assicurare ai destinatari la capacità di fornire il “prodotto” entro tempi definiti, come in una carta dei servizi.

La riduzione dei tempi non è questione di misurazione della produttività, ma di modifiche organizzative; modificando i sistemi, i mezzi, le procedure, si può incidere sulle metriche connesse e, quindi, ridurre i tempi standard, medi o di riferimento.

Un successivo indicatore suggerito dalle Linee Guida è la “Quantità fruita (es. n. utenti serviti)”. Ma, anche questo non ha un significato preciso. Il bovino conteggio degli utenti non misura nulla, se non si prova a rapportare almeno tale numero degli utenti serviti rispetto a quelli che hanno maturato il diritto ad essere serviti (a seguito di un’istanza o su iniziativa d’ufficio).

Maggiormente utile la seguente scheda che suggerisce alcuni indicatori della produttività individuale:

 

Esempi di INDICATORI

di performance individuale

 

RISULTATI

Efficacia quantitativa: n. di pratiche, n. utenti serviti, n. di task portati a termine (sia con riferimento ad attività ordinaria che a progetti specifici che possono o meno essere collegati a obiettivi di performance organizzativa riportati nel Piano della Performance); n. di pratiche in lavoro agile/n. pratiche totali, n. utenti serviti in lavoro agile/ n. utenti serviti, n. task portati a termine in lavoro agile/ n. task totali

Efficacia qualitativa: qualità del lavoro svolto (valutazione da parte del superiore o rilevazioni di customer satisfaction sia esterne che interne) nel complesso e con riferimento agli output del lavoro agile, se possibile

 Efficienza produttiva: n. di pratiche, n. utenti serviti, n. di task portati a termine in rapporto alle risorse oppure al tempo dedicato

Efficienza temporale: tempi di completamento pratiche/servizi/task, rispetto scadenze; tempi di completamento pratiche/servizi in lavoro agile 

 

La prima parte della misurazione dell’efficacia quantitativa è una mera misurazione delle pratiche svolte, degli utenti servizi e dei compiti (task) portati a termine. Non serve. A meno che non si rapportino ad un numero totale, come pratiche svolte/pratiche prese in carico, n. utenti serviti/n. utenti affidati, compiti portati a termine/compiti assegnati. Più utili e corretti i parametri immediatamente successivi, che rapportano le attività complessivamente svolte in lavoro agile al totale di quelle prese in carico.

Sull’efficacia qualitativa torniamo dopo.

In quanto l’efficienza produttiva, essa è appunto la produttività; infatti, in quella riga, finalmente, si rapportano i risultati alle risorse impiegate oppure al tempo dedicato.

In quanto all’efficienza temporale, giusta la misurazione del tempo impiegato in relazione alle scadenze (meglio sarebbe, in relazione ai tempi standard definiti).

Torniamo all’efficacia qualitativa: essa è il cruccio e la pecca di qualsiasi sistema di valutazione sin qui proposto.

Come si nota, le Linee Guida riferiscono l’efficacia qualitativa alla valutazione del dirigente o al gradimento degli utenti.

Soffermiamoci sul secondo, la customer satisfaction. Da molti è considerata la panacea della valutazione, un modo oggettivo ed efficace. Le cose non stanno affatto così. In primo luogo, andrebbe ricordato che questionari di gradimento sono non certo impossibili, ma del tutto controproducenti per quella enorme quantità di attività pubbliche di carattere autoritativo, quando non di vigilanza e sanzione. In secondo luogo, è difficile attivare un gradimento agile, snello e chiaro, senza il rischio di parlare “alla pancia” e senza comunque esporre gli enti ad associazioni organizzate intenzionate ad orientare e falsare gli esiti. Basta che un partito di opposizione si organizzi per far esprimere a propri militanti sistematicamente valutazioni negative sull’operato di un ente, per colpire la maggioranza, ed il gioco è fatto. Della custorme satisfaction occorrerebbe, se non diffidare, avere molta, molta cautela.

Andiamo alla valutazione del dirigente. Poiché la qualità è qualcosa di sfuggente, inevitabilmente tale valutazione sulla qualità, che spesso è proprio una valutazione della produttività, viene connessa alla “pagella” espressa dal dirigente, alla luce della valutazione di “comportamenti”. Immancabilmente le Linee Guida, infatti, li riportano, con un’elencazione sintetica del vaniloquio di tanti sistemi di valutazione:

•          capacità di auto organizzare i tempi di lavoro. Ma, cosa vuol dire? Se la valutazione della produttività è connessa all’assegnazione di task, cioè di compiti, da svolgere nel rispetto di una modalità operativa, non c’è da auto organizzare i tempi di lavoro, ma di rispettare i compiti. Tanto più nel lavoro agile, ove i “tempi di lavoro” sfumano;

•          flessibilità nello svolgimento dei compiti assegnati e nelle modalità di rapportarsi ai colleghi. Ecco un indicatore suggestivo. Si menziona la parola magica “flessibilità”, quindi va sempre bene, in ogni stagione. Ovviamente, non vuol dire assolutamente nulla. A meno che non si intenda l’indicazione data al dipendente si non agire come un robot o un Cerbero nella gestione delle proprie funzioni. Ma, in questo caso, dovrebbero scattare le responsabilità disciplinari;

•          orientamento all’utenza. Il meraviglioso “orientamento all’utenza”, espressione tanto affascinante, quanto vuota. Cosa vuol dire? Non lo sa e non lo può sapere o spiegare nessuno. Cosa vuol dire? “Mettersi nei panni del cittadino”? Certo, chiunque agisca come componente di un soggetto, la PA, che eroga servizi non può ignorare chi sia il suo interlocutore, tenere conto della persona, ascoltarne le ragioni, considerare tutti gli elementi e lo status. Ma, questo fa parte delle obbligazioni contratte col contratto di lavoro alle dipendenze della PA. Non è un comportamento, è un obbligo.

•          puntualità nel rispetto degli impegni presi. Anche questo: che “comportamento” sarebbe? E’ un’obbligazione ben precisa. Poi, come si fa nello stesso elenco magnificare la “capacità di auto organizzare” i tempi e poi chiedere “puntualità nel rispetto degli impegni presi”?;

•          rispetto delle regole/procedure previste; Ma va? Occorre, cioè, rispettare le incombenze dell’ufficio? E questo sarebbe un indicatore per la produttività?

•          evasione delle e-mail al massimo entro n. x giornate lavorative. Ecco, è sperabile che in un ufficio davvero organizzato in modo moderno, da un lato le pratiche non traggano origine da mail, ma semmai da pec e meglio ancora, invece, da applicativi sui quali caricare istanze, documenti, istruttorie e provvedimenti. Dall’altro, è sperabile che le risposte alle mail siano immediate; è una relazione informale, poco più di una chat…

•          presenza on line in fasce orarie di contattabilità da concordare in funzione delle esigenze, variabili, dell’ufficio. Anche in questo caso si prende per “comportamento” valutabile ai fini della produttività, un adempimento ad obbligazioni ovvie.

•          disponibilità a condividere con una certa frequenza lo stato avanzamento di lavori relativi a obiettivi/task assegnati. Come? “disponibilità” a “condividere”? Ma ci mancherebbe altro che lo stato di avanzamento delle attività, per sua natura oggetto essenziale della funzione di coordinamento, possa essere subordinata alla “disponibilità” di chi svolge le funzioni da coordinare.

•          disponibilità a condividere le informazioni necessarie con tutti i membri del gruppo. Prego? Sarebbe un comportamento efficiente la semplice e basilare, imprescindibile, abitudine a non considerare la pratica “mia”, sul “mio tavolo”, ma, invece, “dell’ufficio”, temporaneamente e per una certa fase affidata “alla mia responsabilità”, conservata in un archivio accessibile a colleghi e coordinatori, verificabile, trasparente e ripetibile come impone l’articolo 9, comma 2, del dPR 62/2013???

Se non si superano una volta e per sempre queste ricadute sugli stessi errori di concezione della produttività e della sua valutazione, non si riuscirà mai a fare un passo in avanti nella PA 

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