domenica 20 dicembre 2020

La bislacca idea di incrementare le risorse della contrattazione con i risparmi da straordinari e, soprattutto, buoni pasto

 

L’ultima “ideona” è il reinvestimento nella contrattazione integrativa dei risparmi per valorizzare la produttività, il welfare e la formazione.

Lo ha ripetuto più volte l’inquilina di Palazzo Vidoni, offrendo le risorse derivanti dai risparmi ai sindacati come strumento di mediazione nella tesa trattativa sulla determinazione dei fondi per i rinnovi del triennio 2019-2021.

Quanto esattamente dovrebbe andare al personale è difficile sapere. La Funzione Pubblica ha stimato, secondo i giornali, un risparmio di circa 53 milioni nelle sole amministrazioni statali. Il lavoro agile emergenziale, infatti, avrebbe condotto ad un risparmio di circa 18 milioni di euro per straordinari non effettuati, cui aggiungere altri 35 milioni per buoni pasto non goduti.

Non è dato sapere quali siano i risparmi delle moltissime altre amministrazioni, vista l’estrema frammentarietà dell’apparato amministrativo e considerato che questi risparmi potrebbero essere accertati nella loro effettività solo una volta approvati i rendiconti.

In ogni caso, secondo l’idea di Palazzo Vidoni, queste risorse ancora da identificare nel loro complesso si dovrebbero aggiungere agli ulteriori 400 milioni aggiunti fissati nella legge di bilancio per il 2021, cumulandosi ai 3,2 miliardi già impegnati dalla manovra 2020, così da far salire a 3,8 miliardi lo stanziamento per il rinnovo dei contratti della pubblica amministrazione centrale; il che potrebbe portare a superare l’attuale ipotesi di uno stanziamento complessivo di circa 6,7 miliardi: si debbono, infatti, aggiungere le risorse a carico degli enti non appartenenti alle Funzioni Centrali, i quali a loro volta dovrebbero reperire risorse da risparmi di straordinari e buoni pasto. La spesa finale potrebbe sfiorare i 7 miliardi.

Ora, è sempre ottimo che qualcuno sprema le meningi per farsi venire delle ottime idee, ovviamente “innovative”, per risolvere i problemi.

Rispetto alle proposte che provengono da Palazzo Vidoni, però, alcune cose proprio non tornano.

Partiamo dalla questione degli straordinari. E’ noto o non è noto agli esperti della Funzione Pubblica che i contratti collettivi nazionali di lavoro prevedono da sempre che quanto non speso dello stanziamento annuale per gli straordinari va ad alimentare, l’anno dopo, le risorse variabili?

Qualcuno a Palazzo Vidoni conosce, per esempio, l’articolo 67, comma 3, lettera e), del Ccnl 21.5.2018, che elenca, tra gli strumenti di alimentazioni della parte variabile dei fondi della contrattazione decentrata questo: “eventuali risparmi accertati a consuntivo derivanti dalla applicazione della disciplina dello straordinario di cui all’art. 14 del CCNL dell’1.4.1999; l’importo confluisce nel Fondo dell’anno successivo”.

Diciamo, quindi, che l’ “ideona” di utilizzare risparmi dello straordinario per la valorizzazione della produttività non appare proprio tra quelle definibili come originalissime: esiste almeno dal 1999.

L’ulteriore cosa che non funziona, sebbene non sia esattamente stato chiarito ancora come questi risparmi si vogliano utilizzare, è pensare di utilizzare minore spesa da straordinari per incrementare lo stanziamento previsto dalla legge per la contrattazione collettiva nazionale.

Un conto, infatti, è che un Ccnl, come avviene da lungo tempo, permetta di reimpiegare a fini di incentivazione della produttività le risorse non spese l’anno prima per straordinari, misura che non implica alcun aggravio della spesa pubblica.

Cosa del tutto diversa è utilizzare risparmi, casuali e transeunti, come quelli degli straordinari del 2020, largamente influenzati dall’emergenza Covid, per finanziare uno stanziamento della legge di bilancio: infatti, agendo in questo modo, un risparmio casuale e transitorio, verrebbe trasformato in spesa corrente fissa e continuativa. Forse abbiamo capito male: e speriamo proprio che l’intento del Governo sia altro. Ma, se fosse diverso da questo, visto che la contrattazione nazionale collettiva prevede da una vita il reimpiego dei risparmi da straordinari ai fini dell’incremento delle risorse variabili dell’anno dopo, non si riuscirebbe a capire la sostanza della cosiddetta “ideona” in merito.

Andiamo, adesso, alla questione dei risparmi da buoni pasto. Anche in questo caso non si può non rilevare che la minore spesa registrata nel 2020 sia frutto di una (disgraziatissima) casualità: l’emergenza pandemica, per effetto della quale un istituto, il lavoro agile, che per moltissime amministrazioni equivaleva ad uno scritto in Lineare A tradotto in sanscrito, è stato imposto malgrado i ritardi gravissimi di carattere organizzativo e tecnologico.

Occorre essere franchi: l’attivazione del lavoro agile non è stata certo un “merito” delle amministrazioni. E’ piovuta sulla loro testa e la gran parte, specie nel primo lock down, si è dovuta arrangiare in qualche modo per attivarlo. E ancora oggi si ha la prova della sostanziale impreparazione, visto che si continua a discettare sull’opportunità di adottare il POLA, atto che se le amministrazioni avessero preso sul serio la norma che già 5 (cinque) anni fa spingeva verso lo smart working (l’articolo 14 della legge 124/2015), risulterebbe del tutto inutile.

Dunque, anche in questo caso, sul piano strettamente contabile trasformare un risparmio transeunte in una fonte stabile di finanziamento delle risorse per la contrattazione collettive, è senza alcuna base e supporto.

Sul piano astratto, parrebbe normale e naturale reinvestire in incentivi per il personale risparmi sulle spese di personale.

Infatti, sempre la contrattazione collettiva lo prevede. Sempre restando al Ccnl Funzioni Locali 21.5.2018, l’articolo 67, comma 3, lettera b), consente di incrementare la parte variabile del fondo delle risorse decentrate della “quota di risparmi conseguiti e certificati in attuazione dell’art. 16, commi 4, 5, e 6 del D.L. 6 luglio 2011, n. 98”.

Ma, come si dimostra agevolmente andando a leggere le norme richiamate, correttamente la contrattazione collettiva non consente di aumentare le risorse da destinare ad incentivi dovute ad un risparmio “qualsiasi” o casuale. Le amministrazioni, alla luce dell’articolo visto prima, avrebbero dovuto adottare “piani triennali di razionalizzazione e riqualificazione della spesa, di riordino e ristrutturazione amministrativa, di semplificazione e digitalizzazione, di riduzione dei costi della politica e di funzionamento, ivi compresi gli appalti di servizio, gli affidamenti alle partecipate e il ricorso alle consulenze attraverso persone giuridiche. Detti piani indicano la spesa sostenuta a legislazione vigente per ciascuna delle voci di spesa interessate e i correlati obiettivi in termini fisici e finanziari”.

La legge e la contrattazione collettiva, quindi e riassumendo, ammettono che risparmi possano essere investiti (per altro solo in parte) negli incentivi alla produttività, ma a condizione che si tratti di risparmi:

1.      programmati;

2.      finalizzati a riqualificare e ridurre la spesa;

3.      finalizzati alla semplificazione e digitalizzazione (proprio quella che è mancata ai fini del lavoro agile emergenziale);

4.      predeterminabili in obiettivi da conseguire.

La minore spesa dovuta al minore utilizzo di buoni pasto non ha, con ogni evidenza, nulla a che vedere con risparmi indotti da una programmazione rivolta a migliorare e semplificare l’azione amministrativa, cui riconnettere una presumibile maggiore produttività, meritevole di un incentivo.

Spendere meno per buoni pasto non ha alcun visibile aggancio a razionalizzazione della spesa, semplificazione delle procedure, digitalizzazione, riduzione dei costi, fissazione di obiettivi economici. E’ un mero dato, privo di qualsiasi correlazione possibile con la “produttività”.

Ora, se Palazzo Vidoni ritiene doveroso dover concedere qualcosa alle organizzazioni sindacali che chiedono maggiori risorse per la contrattazione e rivendicano da sempre il “diritto” (del tutto inesistente, come ha ben spiegato il giudice del lavoro di Venezia), lo dica con chiarezza. Si vuole che i buoni pasto divengano da facoltativi a obbligatori? Lo si stabilisca in modo chiaro. Si ritiene opportuno riconoscere ai dipendenti pubblici una somma per compensare le spese di connessione, utilizzo di apparecchiature proprie e porzioni delle case messi in questi mesi a disposizione per l’attività in smart working? Lo si affermi apertamente. Anche per poi affrontare, a testa alta e in modo trasparente, gli inevitabili malumori degli appartenenti alle attività produttive del Paese, nei confronti dei quali i “ristori” attribuiti sono oggettivamente insufficienti.

I risparmi dovuti a minori spese per buoni pasto altro non dovrebbero essere se non quel che sono: risparmi. Una minore spesa corrente, da rendere acquisita e preziosa.

Per altro, per le amministrazioni reginali, del servizio sanitario e dei comuni questi risparmi da buoni pasto potrebbero avere comunque un benefico effetto: ridurre il volume complessivo della spesa di personale e consentire un maggior volume di spesa per le assunzioni, secondo il nuovo regime previsto dall’articolo 33 del d.ll 34/2019.

In ogni caso, l’idea di utilizzare risparmi da buoni pasto per incrementare le risorse da destinare alla contrattazione sconta un’ulteriore bizzarria: prevederla per legge, significa estenderla a tutte le pubbliche amministrazioni. Ma, alcune tra esse, e non sono poche soprattutto tra i ministeri, hanno continuato a riconoscere i buoni pasto anche ai dipendenti in lavoro agile. Qual è il senso dell’equilibrio, della razionalità, del buon andamento, di permettere di utilizzare risparmi da buoni pasto per “valorizzare” la produttività ad enti che quei risparmi non hanno contribuito a determinarli?

Forse, le “ideone” è bene ponderarle molto, ma molto bene, prima, molto prima, di enunciarle urbi et orbi.

 

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