Benvenuti nel Cacicchistan, quel Paese nel quale molti pensatori vorrebbero si trasformasse l'Italia, insistendo sull'idea sciagurata di incrementare ulteriormente i poteri e le competenze locali.
Da ultimo, Francesco Grillo, su Il Mattino del 22.2.21, nell'articolo "Pubblica Amministrazione, la scommessa di Draghi", si cimenta nella seguente perorazione: "Se c'è un articolo da cambiare con urgenza di una Costituzione concepita alla fine di una guerra, è quello (il 97) che stabilisce che l'organizzazione degli uffici è determinata centralmente da una legge che vale sull'intero territorio nazionale. Uno Stato che pretende di essere innovatore deve compiere la propria riforma, non può come un atto palingenetico, ma un processo di cambiamento continuo che procede per sperimentazioni controllate".
Non sappiamo esattamente da quale punto di osservazione della Galassia prenda le mosse questo modo di concepire. Che, a leggere l'approfondimento del Grillo, vuole esaltare l'iniziativa organizzativa dei comuni e delle autonomie.
Evidentemente, deve trattarsi di un orizzonte molto lontano. Che non abbia permesso di vedere, ad esempio, quanto in questo disgraziatissimo anno la frammentazione dei poteri nelle regioni abbia inciso, e continui, negativamente nella condizione strategica e normativa della lotta alla pandemia.
Da quell'osservatorio non si sono, evidentemente, viste le tantissime ordinanze di presidenti di regioni e sindaci che si sono sovrapposte, avviluppate, contorte, affastellate, contraddicendo le leggi e contraddicendosi tra loro; creando incertezze e discriminazioni anche sulla base di inesistenti "confini regionali".
Da quell'osservatorio non si riescono a vedere le decine di leggi regionali, ad esempio, che periodicamente cercano di favorire l'accesso agli appalti alle "imprese locali", tutte regolarmente dichiarate incostituzionali. Nè si possono vedere le decine di migliaia di regolamenti locali che provano ad introdurre continue deroghe e modifiche all'assetto delle norme, consentendo, ovviamente sempre in modo mirato e scriminante, l'accesso al posto senza concorso a questo, il contributo finanziario non dovuto a quell'altro, il concorso "padano", la variante urbanistica deturpante ma economicamente conveniente per gli affaristi.
Sfugge che lasciare briglie sciolte ai comuni significa consentire il paradosso. Lo scorso anno, il Dipartimento della Protezione Civile emanò un'ordinanza (non si procedette, quindi, con legge) rivolta ai comuni, per consentire loro di erogare un buono spesa per le persone colte in situazione di carenze economiche gravi dalla crisi pandemica. Un'ordinanza che si limitò, come sempre auspica chi chiede riforme della PA, a descrivere criteri generali per individuare i destinatari, particolarmente appunto tra quelli colpiti da situazioni tali da non poter permettersi l'effettuazione della spesa.
Apriti cielo. I comuni, in assenza della legge, si sono scatenati nel prevedere criteri assurdi: l'attestazione in capo ai destinatari di non essere a favore di una certa ideologia politica; la residenza (come se non si fosse trattato di una misura di sostegno ai redditi, ma ai "residenti"), la cittadinanza; persino l'Isee! L'isee, pur sapendo che è una certificazione dei redditi dell'anno prima, mentre l'emergenza era per l'anno in corso.
I comuni sono quegli enti che hanno tra le competenze primarie e fondamentali la gestione dei servizi sociali. Pensiamo, allora, che esista un metodo, una strategia comune o quanto meno solo simile e coordinata anche solo di organizzare gli uffici competenti?
Nemmeno per sogno. I servizi sociali sono la Cenerentola, un genere di servizi ai quali in generale i comuni destinano pochissime risorse e li lasciano scalcinati a languire, senza poter fornire un minimo di servizio adeguato.
Infatti, si annidano dietro le modalità di organizzazione di questi servizi sistemi illegittimi e di precarizzazione inaccettabili. Sono tantissimi i comuni che non hanno nei propri organici nemmeno un assistente sociale e rimediano con appalti a cooperative sociali alle quali affidano, apparentemente i servizi, mentre invece chiedono sostanzialmente la somministrazione dell'assistente sociale, violando platealmente le norme anche penali in materia di somministrazione irregolare.
Per provare a porre in essere un minimo di ordine e delineare livelli essenziali delle prestazioni che possano consentire ai cittadini di sentirsi davvero eguali davanti alla legge e allo Stato, come prevede l'articolo 3 della Costituzione del quale l'articolo 97, che il Grillo propone di abrogare, è diretta conseguenza, c'è voluta - finalmente - una legge dello Stato. Sì, una legge sull'organizzazione degli uffici, di quelle che dalla Galassia sono considerate inefficienti e inutili, una legge, la 178/2021 che ha previsto appunto come livello essenziale delle prestazioni un rapporto di almeno 1 assistente sociale ogni 6.500 residenti dell'ambito territoriale/organizzativo; e quella stessa legge prevede forti finanziamenti per spingere i comuni e gli ambiti verso il rapporto 1 assistente sociale ogni 5.000 residenti ed ulteriori ancora finanziamenti per un livello essenziale delle prestazioni ottimale, indicato in 1 assistente sociale ogni 4.000 abitanti. Finanziamenti giustamente negati a quegli enti che violando molteplici norme abbiano gestito con somministrazioni irregolari delle cooperative.
Chi conosce le realtà delle regioni e degli enti locali e, quindi, risulti molto terrestre e soprattutto pedestre, sa che gli esempi riportati sopra sono solo alcuni di una gamma infinita di regolazioni e gestioni disfunzionali, illegittime, dannose, produttrici di disparità e discriminazioni.
L'articolo 97 della Costituzione, nell'enucleare il principio di legalità come guida dell'azione amministrativa è il baluardo primario contro il proliferare di norme in deroga, localismi, frammentazioni, "sperimentazioni" che poi discriminano e segmentano. L'articolo 97 garantisce il binomio efficienza e non discriminazione, efficacia ed imparzialità. E' la legge, generale ed astratta, che può garantire ad un cittadino ad ambire a livelli di prestazioni standardizzati nell'intero territorio dello Stato del quale, come componente del Popolo, è elemento costitutivo.
Ogni idea che produca il pericolo di norme che frammentino, polverizzino, creino non differenziazioni per innalzare il livello di standard univoci, ma fortini e campanili, rischia solo di creare caos, ripristinando viete e superate compulsioni autonomistiche, come si fosse nel medio evo della rivendicazione dell'autonomia dei comuni contro un Impero lontano e assente.
La capacità di amministrare ed organizzarsi in modo efficiente sta non nell'anarchia, bensì nel rispetto di norme generali, anche organizzative, attuandole con efficienza ed attenzione ai bisogni. Basta questa attenzione per esercitare appieno la discrezionalità e l'autonomia. Senza creare califfati e cacicchi che si inventino la leggina ad personam ad ogni pie' sospinto.
Tanto vale abolire il Parlamento, quindi. E prima ancora abrogare la Costituzione della Repubblica Italiana.
RispondiEliminaNon sono bastate le riforme criminogene di Bassanini del 1997.
Mala tempora currunt sed peiora parantur.
Purtroppo il continuo intervenire dell'apparato politico in compiti che non gli sono propri, crea questo caos.
RispondiEliminaL'art 117 (spero non venga modificato) è chiaro sulle competenze, non parla di compiti, che sono cosa diversa.
Con una visione solo centralistica torniamo allo stato Borbonico.
Neanche l'impero Austroungarico era così centralistico.