E’ sperabile che non si confonda un piano di recupero dell’arretrato con una riforma della PA. Il primo non è altro se non un doveroso metodo operativo, finalizzato a chiudere dossier ancora aperti. La seconda, una modifica profonda di metodi, norme, strumenti organizzativi, contabilità, controlli, processi, misurazione dei prodotti e dei risultati.
Il recupero dell’arretrato è semplicemente un dovere, per nulla un’idea particolarmente innovativa. E, mentre si recuperano i ritardi, sarebbe anche bene conoscere chi li abbia causati e perché non li abbia ancora recuperati, dopo quasi un anno.
Non si dovrebbe dimenticare che l’articolo 103, comma 1, del d.l. 18/2020, che sospese molti procedimenti amministrativi, disponeva (e dispone): “Le pubbliche amministrazioni adottano ogni misura organizzativa idonea ad assicurare comunque la ragionevole durata e la celere conclusione dei procedimenti, con priorità per quelli da considerare urgenti, anche sulla base di motivate istanze degli interessati”. Non solo: l’articolo 263 del d.l. 34/2020, che ha guidato verso l’uscita dal lavoro agile generalizzato e di emergenza ha sottolineato che ciò dovesse avvenire “Al fine di assicurare la continuità dell'azione amministrativa e la celere conclusione dei procedimenti”, e “ a condizione che l'erogazione dei servizi rivolti a cittadini ed imprese avvenga con regolarità, continuità ed efficienza, nonchè nel rigoroso rispetto dei tempi previsti dalla normativa vigente”.
Dunque, senza spacciare il recupero dell’arretrato come riforma o come progetto di produttività (partire da sotto zero e tornare a zero oggettivamente non pare un gran che come produttività...), sarebbe da ricordare che:
- il recupero dell’arretrato è insito in norme vigenti da diversi mesi, come normale che sia;
- andrebbero individuate e sanzionate le amministrazioni che ancora questo arretrato non lo abbiano recuperato.
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