L'analisi che si legge di seguito è stata oggetto di un articolo pubblicato il 5 marzo da Italia Oggi, alcuni giorni prima che il Governo, mediante le Linee programmatiche di riforma elaborate dalla Funzione Pubblica ed il Patto per l'innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, abbia espresso l'intenzione di abrogare l'articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2016.
Di seguito, il testo pubblicato su Italia Oggi del 5.3.2021:
Il limite al trattamento accessorio riferito al 2016 deve considerarsi abolito, anche se è opportuna una norma che lo elimini espressamente dall’ordinamento.
L’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2017 sta continuando a procurare difficoltà applicative ed operative estremamente ampie alle amministrazioni, sia perché cervellotico in sé, sia, soprattutto perché del tutto incompatibile con il nuovo sistema di determinazione del finanziamento delle assunzioni a tempo indeterminato e del salario accessorio stesso.
Che la norma abbia seri problemi di compatibilità con l’assetto ordinamentale è, intanto, comprovato dalla circostanza che è oggetto di ben 5 deroghe.
La prima è contenuta nell’articolo 11, comma 1, del d.l. 135/2018, convertito in legge 12/2019: esclude dal tetto del 2016 gli aumenti stipendiali decisi dai contratti collettivi nazionali di lavoro e le risorse previste da specifiche disposizioni normative a copertura degli oneri del trattamento economico accessorio per le assunzioni effettuate, in deroga alle facoltà assunzionali vigenti, successivamente all'entrata in vigore del medesimo articolo 23. Basterebbe questa sola deroga a far concludere per l’abrogazione implicita di una norma, totalmente spogliata di contenuto e significato.
Poi, vi è la deroga dell’articolo 11-bis, comma 2, sempre del d.l. 135/2018. Tale norma consente, ai soli comuni senza dirigenza, di superare il tetto del 2016 per consentire di aumentare le retribuzioni di posizione delle Posizioni Organizzative ai nuovi tetti massimi determinati dal Ccnl 21.5.2016 (16.000 euro).
La terza deroga è disposta dall’articolo 33, commi 1, 2 e 3-bis, del d.l. 34/2019, convertito in legge 58/2019: tali norme stabiliscono che il tetto del 2016 debba essere, in realtà, adeguato a quello ricavato in base al personale in servizio al 31.12.2018. Tale norma di fatto cancella il tetto del 2016, che tuttavia formalmente resta in piedi.
La quarta deroga? L’articolo 1, comma 870, della legge 178/2020: consente di incrementare il salario accessorio oltre il tetto del 2020, utilizzando i risparmi dello straordinario e dei buoni pasto.
La quinta deroga: è disposta dall’articolo 1, commi 993-995, sempre della legge 178/2020, che ha modificato l’articolo 115, comma 1, del d.l. 18/2020, così da estendere al 2021 l’esclusione della spesa per straordinari della polizia locale dal tetto del 2016.
Una norma colpita da una deroga generale (l’articolo 11, comma 1, del d.l. 135/2018) e da successive altre 4 deroghe non si capisce perché stia ancora nell’ordinamento.
Per altro, scatenando problemi e soluzioni contraddittori e caotici. Come quello affrontato dalla Corte dei conti, Sezione Toscana, col parere 1/2021, che ritiene non applicabile la deroga prevista dall’articolo 11-bis, comma 2, del d.l. 135/2018, e dunque la possibilità di non computare nel tetto del salario accessorio i costi connessi all’istituzione di nuove posizioni organizzative.
A ben vedere, l’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2017 è norma che si attaglia bene solo ad un regime nel quale la spesa del personale è soggetta a tetti, sia finalizzati al suo contenimento generale, sia per limitare le nuove assunzioni entro il turn over.
Il nuovo regime normativo sostituisce, invece, alla logica dei tetti quello della sostenibilità della spesa del personale, in rapporto alle entrate. Il DM 17.3.2020 chiarisce che il rapporto tra le due grandezze, necessario per verificare il rispetto dei “valori soglia” ai fini delle assunzioni dal lato della spesa del personale comprende tutta detta spesa.
Dovrebbe risultare chiaro, allora, che qualsiasi manovra di contenimento della spesa di personale è efficace ai fini della sostenibilità: non solo il trattamento tabellare e il salario accessorio, ma anche spese come trasferte, buoni pasto, spese per il personale in convenzione, incentivi per la progettazione o per le avvocature (esclusi dal computo del tetto secondo l’orientamento della Corte dei conti ribadito da ultimo dal parere della Sezione Campania 23/2021).
La spesa del personale diviene un agglomerato unico, che non ha più senso considerare per voci distinte e non interagenti tra loro. La riduzione di alcune voci potrebbe portare a finanziare anche l’istituzione di nuove posizioni organizzative, senza determinare conseguenze sul rapporto con le entrate. Inoltre, se, come appare più corretto, la magistratura contabile prendesse atto che il valore medio pro-capite delle Posizioni Organizzative è da considerare autonomamente da quello del restante personale, si comprenderebbe che la logica del principio della sostenibilità della spesa deve poter consentire agli enti di agire sul salario accessorio con autonomia, superando rigidità come quelle del tetto del 2016, non più compatibili e, comunque, derogate così tante volte da non giustificarne l’ulteriore dipanamento di efficacia.
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