Sarebbe ormai da decidere senza
più alcun indugio di abolire una volta e per sempre quel vulnus alla buona
amministrazione ed all’autonomia della dirigenza che è rappresentato dall’articolo
110 del d.lgs 267/2000.
La sentenza del Tar Lazio, SezioneII, 1.3.2021, n. 2479 evidenzia, non certamente per prima, una tra le principali e molteplici storture che da sempre caratterizzano l’assunzione di dirigenti a contratto: l’assenza di una preventiva e, soprattutto, seria verifica dei presupposti e, in particolare, l’assenza di professionalità interne.
I giudici si sono pronunciati sugli
avvisi pubblicati dal comune, per l’assunzione di ben 4 dirigenti esterni, saltando
a piè pari le condizioni ed i presupposti stabiliti dalla normativa.
Infatti, il comune non ha:
1.
verificato la possibilità di conferire gli
incarichi dirigenziali ai dirigenti di ruolo dell’ente, prima di avviare le
procedure per gli incarichi esterni;
2.
non ha, conseguentemente, motivato la scelta di
affidarsi a soggetti esterni.
Si tratta di vizi di legittimità
riscontrabili praticamente per tutti gli incarichi a contratto conferiti dagli
enti locali, sia per coprire qualifiche dirigenziali, sia per coprire posti di
responsabili di servizio negli enti privi di dirigenti.
Eppure, la normativa sul punto è
chiarissima. Da un lato, la norma specificamente applicabile agli enti locali,
l’articolo 110 del d.lgs 267/2000, che al comma 1 stabilisce: “Lo statuto
può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli
uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire
mediante contratto a tempo determinato. Per i posti di qualifica dirigenziale,
il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi definisce la quota
degli stessi attribuibile mediante contratti a tempo determinato, comunque in
misura non superiore al 30 per cento dei posti istituiti nella dotazione
organica della medesima qualifica e, comunque, per almeno una unità. Fermi
restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, gli incarichi a
contratto di cui al presente comma sono conferiti previa selezione pubblica
volta ad accertare, in capo ai soggetti interessati, il possesso di comprovata
esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle materie oggetto
dell'incarico”.
Tale norma pone, dunque, alcune
prime condizioni:
a)
che l’incaricato a contratto disponga dei
requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, cioè i requisiti che sarebbero
necessari per l’accesso in ruolo mediante concorso; nel caso di specie, si
tratta della laurea;
b)
che, sul piano soggettivo, il destinatario dell’incarico
disponga di una specifica e particolare competenza data almeno da:
a.
comprovata esperienza pluriennale;
b.
specifica professionalità,
entrambe, ovviamente, nelle materie oggetto dell’incarico.
Appare, insomma, chiaro che la
possibilità di non assumere mediante concorso, bensì con la procedura selettiva
meno intensa disciplinata dalla norma è prevista dal Legislatore a condizione
che gli incaricati dispongano di requisiti soggettivi di chiara eccellenza:
tali, cioè, da meritare non una selezione, come dire, volta a verificare se
possano avere “ingresso” nella qualifica, bensì, presupposto che dispongano di
competenze maggiori di quelle di base, quali tra essi si possa considerare il
più adatto alla specifica esigenza organizzativa dell’ente.
Laddove, comunque, ciò non fosse
chiaro, a specificarlo è l’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001, norma che
contiene il cuore delle regole costantemente violate dagli enti locali. Norma
che, per altro, con pervicacia degna di migliori scopi, gli stessi enti locali
continuano – erroneamente – a non applicare. Anche se ormai da anni il
Legislatore impone di attivare le procedure per gli incarichi a contratto
basandosi non solo sull’articolo 110 del d.lgs 267/2000, ma anche
contestualmente proprio sulle previsioni dell’articolo 19, comma 6, del d.lgs
165/2001.
Ad imporre questo “combinato
disposto” è lo stesso articolo 19 del d.lgs 165/2001, e in particolare il suo
comma 6-ter: “Il comma 6 ed il comma 6-bis si applicano alle amministrazioni
di cui all'articolo 1, comma 2”. La norma citata impone, quindi, la sua
immediata (quindi non intermediata) e diretta applicazione alle pubbliche
amministrazioni elencate dall’articolo 1, comma 2, del d.lgs 165/2001, tra le
quali rientrano gli enti locali.
Quali sono, allora, le
condizioni poste dall’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001? Sul piano
oggettivo e procedurale, sono due. Leggiamo l’incipit del terzo periodo di
detto comma 6: “Tali incarichi sono conferiti, fornendone esplicita
motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione
professionale, non rinvenibile nei ruoli dell'Amministrazione…”.
Quindi, i presupposti oggettivi
sono:
1.
l’esplicita motivazione della decisione di assumere
dirigenti esterni;
2.
la dimostrazione, da compiere esattamente con la
motivazione del precedente punto, che nei ruoli, cioè tra i dipendenti in servizio
a tempo indeterminati, non sia rinvenibile la particolare e comprovata qualificazione
professionale, che occorre dimostrare – sempre con la motivazione di cui al
punto 1 – risulti necessaria per lo specifico incarico da ricoprire.
E’ proprio la particolare e
comprovata qualificazione professionale che restringe di molto, nell’articolo
19, comma 6, del d.lgs 165/2001 il novero delle persone che possano essere
destinatarie dell’incarico, rispetto alla più laconica disposizione dell’articolo
110, comma 1, del d.lgs 267/2000. Infatti, la competenza del tutto particolare
ed elevata viene riconosciuta alle persone “che abbiano svolto attività in
organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con
esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che
abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e
scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da
pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per
almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese
quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per
l'accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della
docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e
procuratori dello Stato”.
Torniamo alla pronuncia del Tar
Lazio. In maniera del tutto condivisibile, i giudici amministrativi rinvengono
nella procedura una fase obbligatoria, per quanto implicita, collegando il
comma 6 dell’articolo 19 del d.lgs 165/2001 ai precedenti. In particolare, i commi
1, 1-bis e 2 dell’articolo 19 obbligano le amministrazioni pubbliche a proceduralizzare
il conferimento degli incarichi. Posto che essi debbano essere attribuiti a
quel dirigente le cui competenze operative siano valutate come le maggiormente
congruenti col servizio da dirigere, il comma 1-bis evidenzia che l’amministrazione
deve rendere “conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso
sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si
rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta; acquisisce
le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta”.
In sostanza, le amministrazioni
debbono produrre un avviso pubblico interno, spesso denominato “interpello”,
col quale mettere a conoscenza i dirigenti interni della circostanza che
incarichi dirigenziali risultino non coperti, per consentire in primo luogo
alla dirigenza di ruolo di manifestare l’interesse a ricoprire quegli
incarichi; in questo caso, l’amministrazione ha il dovere di acquisire queste
disponibilità e valutare le manifestazioni di interesse, per decidere se preporre
i dirigenti interni agli incarichi disponibili.
Ebbene, alla luce della corretta
chiave di lettura proposta dal Tar Lazio, questa procedura non va limitata ai
casi nei quali, sulla base di una sorta di riserva mentale dell’amministrazione
procedente, si debbano ricoprire gli incarichi dirigenziali mediante i
dirigenti di ruolo, mentre invece se ne possa fare a meno qualora qualcuno
abbia deciso, a monte, di avvalersi di dirigenti esterni a contratto.
Scrive il Tar Lazio: “l’amministrazione,
in caso di vacanza di incarichi dirigenziali, debba cercare di rinvenire
professionalità nei propri ruoli non solo per ridurre i costi, ma anche al fine
di valorizzare il capitale di risorse umane a sua disposizione e, quindi, solo
dopo aver constatato l’inesistenza delle professionalità richieste, possa
cercare di reperirle all’esterno”.
Nella sostanza, il Tar afferma
che, contrariamente a quanto avviene nella prassi generalizzata, non è corretto
decidere a priori, neanche con la programmazione dei fabbisogni, quali
incarichi dirigenziali coprire mediante incarichi esterni.
L’eventuale necessità di
ricorrere a dirigenti a contratto, dunque, si dovrebbe ricavare solo a valle
della procedura di “interpello”, che è per altro utile proprio allo scopo di
dimostrare mediante l’adeguata motivazione richiesta dalla norma che nell’ente
non è possibile rinvenire le necessarie professionalità.
Nel caso di specie, il comune di
Roma non ha attivato questa fase preventiva. Ed è venuta a mancare, quindi, sia
l’indagine preliminare volta a dimostrare l’assenza delle professionalità
interne, sia la motivazione della scelta di andare all’esterno.
Il comune ha adottato una
modalità operativa in alcun modo prevista dalle norme e con essa manifestamente
contrastante. Ha, infatti, pubblicato gli avvisi per gli incarichi ai sensi dell’articolo
110 in modo che il procedimento selettivo fosse “aperto” anche ai dirigenti di
ruolo dell’ente e financo ai funzionari di categoria D.
Ma, secondo i giudici
amministrativi “la normativa richiamata e, segnatamente, l’art. 110 TUEL,
l’art. 19, comma 1 bis, del D.lgs. n. 165/2001 e le disposizioni del Regolamento
interno sull'Ordinamento degli Uffici e dei Servizi di Roma Capitale depongono
nel senso che la ricerca all’esterno di professionalità deve seguire alla verifica
del possesso dei requisiti richiesti in capo a soggetti già appartenenti ai ruoli
dell’Amministrazione, ivi compresi i funzionari direttivi di categoria D. Appare,
invece, documentalmente provato e non contestato da Roma Capitale che nel caso
di specie tale verifica non ci sia stata, né la si può ritenere integrata dal
c.d. interpello aperto”.
E del resto, la procedura “aperta”
anche agli interni (col paradosso di pensare che l’assegnazione di incarichi
vacanti ai dipendenti di ruolo sia una sorta di gentile concessione) è abnorme
e paradossale, perché i dipendenti di ruolo “si troverebbero a competere per
posizioni per le quali hanno i requisiti con soggetti esterni”. Un’aberrazione
giuridica assurda, visto che non si tratta di procedure concorsuali vere e
proprie.
Aggiunge, impietosamente, il Tar
che “un simile modus procedendi appare contraddittorio anche rispetto ai principi
di economicità, efficacia ed efficienza a cui deve essere informata l’attività della
P.A., atteso la valutazione dei candidati da parte della Commissione potrebbe essere
del tutto inutile e verrebbe posta nel nulla, secondo la prospettazione di Roma
Capitale, a fronte dell’esistenza di soggetti interni al proprio ruolo in possesso
dei requisiti per ricoprire le posizioni oggetto degli avvisi, con dispendio ingiustificato
di risorse umane e finanziarie”.
Lo si ribadisce: questa sentenza
evidenzia l’illegittimità delle specifiche procedure attivate dal comune di Roma,
ma tale modo di operare, caratterizzato dall’assoluta assenza di una verifica
preventiva dell’effettiva assenza di competenze interne, è diffusissimo; si può
affermare che una percentuale vicinissima al 100% delle selezioni per articoli
110 è caratterizzata dall’assenza totale di una motivazione adeguata, fondata
sull’effettiva ed approfondita riprova che tra la dirigenza di ruolo manchi la
competenza necessaria.
Dal più importante comune d’Italia
ci si aspetterebbe una gestione più che attenta, professionale, corretta e legittima.
Purtroppo, il comune di Roma è emblematico di una illegittimità fuori da ogni
controllo. Da sole, queste argomentazioni di fatto dovrebbero convincere dell’impossibilità
di continuare a tenere nell’ordinamento una norma come l’articolo 110 del d.lgs
267/2000, che nel corso degli anni si è dimostrato essere funzionale non certo
al miglioramento delle competenze e della qualità della dirigenza, bensì alla
sua precarizzazione ed all’abbassamento della qualità, con ripercussioni
gravissime sulla sudditanza alla politica – visto che le scelte avvengono fin
troppo spesso per affinità politica e non per merito – e sull’efficienza-
Purtroppo, altrettanto diffusa è
l’ancor più grave violazione anche dei requisiti soggettivi richiesti per le
assunzioni a contratto.
Lo si è visto prima: l’articolo
19, comma 6, riserva alle PA la possibilità di reclutare dirigenti esterni solo
per figure dotate di requisiti davvero rilevantissimi, con professionalità tale
da non richiedere alcun accertamento di capacità a svolgere funzioni
dirigenziali, data da indici rigorosissimi:
a)
connessi alla qualifica rivestita, già
giuridicamente dirigenziale o assimilabile:
a.
l’aver svolto attività in organismi ed enti
pubblici ovvero aziende pubbliche con esperienza acquisita per almeno un
quinquennio in funzioni dirigenziali;
b.
l’essere ricercatori;
c.
l’essere docenti universitari;
d.
l’essere magistrati;
e.
l’essere avvocati e procuratori dello Stato;
b)
connessi ad esperienze e titoli particolari, pur
in carenza di qualifiche dirigenziali o assimilabili:
a.
l’aver svolto attività in organismi ed enti privati
ovvero aziende private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in
funzioni dirigenziali;
b.
il rivestire posizioni funzionali previste per l’accesso
alla dirigenza,
i.
avendo conseguito una particolare
specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile
1.
dalla formazione universitaria e
postuniversitaria,
2.
da pubblicazioni scientifiche
3.
e da concrete esperienze di lavoro maturate per
almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese
quelle che conferiscono gli incarichi.
Questi requisiti soggettivi,
molto stringenti, non sono praticamente mai posti a presupposto soggettivo
degli incarichi, spessissimo conferiti a funzionari di categoria D per sola “anzianità”,
del tutto privi delle evidenze curriculari indicate sopra.
L’articolo 110 si conferma,
quindi, una palla al piede, un elemento di disorganizzazione e svilimento della
professionalità richiesta a dirigenti e funzionari pubblici.
Per consentire agli organi di
governo locali di avvalersi di vertici organizzativi di fiducia e particolarmente
vicini anche alle posizioni politiche, come un capo di gabinetto, un
consigliere politico-economico, un capo segreteria, un portavoce, basta ed
avanza l’articolo 90 del d.lgs 267/2000. E’ ora di lasciare campo solo a questa
norma, dettagliando le figure funzionali che mediante essa sono acquisibili, ed
eliminare per sempre quella lesione ordinamentale e funzionale che è l’articolo
110.
Egr. dott. Oliveri, i suoi commenti non sempre esaustivi e chiarissimi. Approfitto per porle un quesito: i principi da Lei delineati nel post sono applicabili anche agli uffici di diretta collaborazione dei ministri e degli assessori regionali? In quanto purtroppo è invalsa la prassi di nominare direttamente esterni senza alcuna selezione.
RispondiEliminaNo, non sono del tutto applicabili.
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