sabato 6 marzo 2021

Pubblica amministrazione: si aboliscano gli incarichi dirigenziali a contratto. Troppe le illegittimità che si ripetono da anni

 

Sarebbe ormai da decidere senza più alcun indugio di abolire una volta e per sempre quel vulnus alla buona amministrazione ed all’autonomia della dirigenza che è rappresentato dall’articolo 110 del d.lgs 267/2000.

La sentenza del Tar Lazio, SezioneII, 1.3.2021, n. 2479 evidenzia, non certamente per prima, una tra le principali e molteplici storture che da sempre caratterizzano l’assunzione di dirigenti a contratto: l’assenza di una preventiva e, soprattutto, seria verifica dei presupposti e, in particolare, l’assenza di professionalità interne.

I giudici si sono pronunciati sugli avvisi pubblicati dal comune, per l’assunzione di ben 4 dirigenti esterni, saltando a piè pari le condizioni ed i presupposti stabiliti dalla normativa.

Infatti, il comune non ha:

1.      verificato la possibilità di conferire gli incarichi dirigenziali ai dirigenti di ruolo dell’ente, prima di avviare le procedure per gli incarichi esterni;

2.      non ha, conseguentemente, motivato la scelta di affidarsi a soggetti esterni.

Si tratta di vizi di legittimità riscontrabili praticamente per tutti gli incarichi a contratto conferiti dagli enti locali, sia per coprire qualifiche dirigenziali, sia per coprire posti di responsabili di servizio negli enti privi di dirigenti.

Eppure, la normativa sul punto è chiarissima. Da un lato, la norma specificamente applicabile agli enti locali, l’articolo 110 del d.lgs 267/2000, che al comma 1 stabilisce: “Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato. Per i posti di qualifica dirigenziale, il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi definisce la quota degli stessi attribuibile mediante contratti a tempo determinato, comunque in misura non superiore al 30 per cento dei posti istituiti nella dotazione organica della medesima qualifica e, comunque, per almeno una unità. Fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, gli incarichi a contratto di cui al presente comma sono conferiti previa selezione pubblica volta ad accertare, in capo ai soggetti interessati, il possesso di comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle materie oggetto dell'incarico”.

Tale norma pone, dunque, alcune prime condizioni:

a)      che l’incaricato a contratto disponga dei requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, cioè i requisiti che sarebbero necessari per l’accesso in ruolo mediante concorso; nel caso di specie, si tratta della laurea;

b)      che, sul piano soggettivo, il destinatario dell’incarico disponga di una specifica e particolare competenza data almeno da:

a.       comprovata esperienza pluriennale;

b.      specifica professionalità,
entrambe, ovviamente, nelle materie oggetto dell’incarico.

Appare, insomma, chiaro che la possibilità di non assumere mediante concorso, bensì con la procedura selettiva meno intensa disciplinata dalla norma è prevista dal Legislatore a condizione che gli incaricati dispongano di requisiti soggettivi di chiara eccellenza: tali, cioè, da meritare non una selezione, come dire, volta a verificare se possano avere “ingresso” nella qualifica, bensì, presupposto che dispongano di competenze maggiori di quelle di base, quali tra essi si possa considerare il più adatto alla specifica esigenza organizzativa dell’ente.

Laddove, comunque, ciò non fosse chiaro, a specificarlo è l’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001, norma che contiene il cuore delle regole costantemente violate dagli enti locali. Norma che, per altro, con pervicacia degna di migliori scopi, gli stessi enti locali continuano – erroneamente – a non applicare. Anche se ormai da anni il Legislatore impone di attivare le procedure per gli incarichi a contratto basandosi non solo sull’articolo 110 del d.lgs 267/2000, ma anche contestualmente proprio sulle previsioni dell’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001.

Ad imporre questo “combinato disposto” è lo stesso articolo 19 del d.lgs 165/2001, e in particolare il suo comma 6-ter: “Il comma 6 ed il comma 6-bis si applicano alle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2”. La norma citata impone, quindi, la sua immediata (quindi non intermediata) e diretta applicazione alle pubbliche amministrazioni elencate dall’articolo 1, comma 2, del d.lgs 165/2001, tra le quali rientrano gli enti locali.

Quali sono, allora, le condizioni poste dall’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001? Sul piano oggettivo e procedurale, sono due. Leggiamo l’incipit del terzo periodo di detto comma 6: “Tali incarichi sono conferiti, fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell'Amministrazione…”.

Quindi, i presupposti oggettivi sono:

1.      l’esplicita motivazione della decisione di assumere dirigenti esterni;

2.      la dimostrazione, da compiere esattamente con la motivazione del precedente punto, che nei ruoli, cioè tra i dipendenti in servizio a tempo indeterminati, non sia rinvenibile la particolare e comprovata qualificazione professionale, che occorre dimostrare – sempre con la motivazione di cui al punto 1 – risulti necessaria per lo specifico incarico da ricoprire.

E’ proprio la particolare e comprovata qualificazione professionale che restringe di molto, nell’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 il novero delle persone che possano essere destinatarie dell’incarico, rispetto alla più laconica disposizione dell’articolo 110, comma 1, del d.lgs 267/2000. Infatti, la competenza del tutto particolare ed elevata viene riconosciuta alle persone “che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato”.

Torniamo alla pronuncia del Tar Lazio. In maniera del tutto condivisibile, i giudici amministrativi rinvengono nella procedura una fase obbligatoria, per quanto implicita, collegando il comma 6 dell’articolo 19 del d.lgs 165/2001 ai precedenti. In particolare, i commi 1, 1-bis e 2 dell’articolo 19 obbligano le amministrazioni pubbliche a proceduralizzare il conferimento degli incarichi. Posto che essi debbano essere attribuiti a quel dirigente le cui competenze operative siano valutate come le maggiormente congruenti col servizio da dirigere, il comma 1-bis evidenzia che l’amministrazione deve rendere “conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta; acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta”.

In sostanza, le amministrazioni debbono produrre un avviso pubblico interno, spesso denominato “interpello”, col quale mettere a conoscenza i dirigenti interni della circostanza che incarichi dirigenziali risultino non coperti, per consentire in primo luogo alla dirigenza di ruolo di manifestare l’interesse a ricoprire quegli incarichi; in questo caso, l’amministrazione ha il dovere di acquisire queste disponibilità e valutare le manifestazioni di interesse, per decidere se preporre i dirigenti interni agli incarichi disponibili.

Ebbene, alla luce della corretta chiave di lettura proposta dal Tar Lazio, questa procedura non va limitata ai casi nei quali, sulla base di una sorta di riserva mentale dell’amministrazione procedente, si debbano ricoprire gli incarichi dirigenziali mediante i dirigenti di ruolo, mentre invece se ne possa fare a meno qualora qualcuno abbia deciso, a monte, di avvalersi di dirigenti esterni a contratto.

Scrive il Tar Lazio: “l’amministrazione, in caso di vacanza di incarichi dirigenziali, debba cercare di rinvenire professionalità nei propri ruoli non solo per ridurre i costi, ma anche al fine di valorizzare il capitale di risorse umane a sua disposizione e, quindi, solo dopo aver constatato l’inesistenza delle professionalità richieste, possa cercare di reperirle all’esterno”.

Nella sostanza, il Tar afferma che, contrariamente a quanto avviene nella prassi generalizzata, non è corretto decidere a priori, neanche con la programmazione dei fabbisogni, quali incarichi dirigenziali coprire mediante incarichi esterni.

L’eventuale necessità di ricorrere a dirigenti a contratto, dunque, si dovrebbe ricavare solo a valle della procedura di “interpello”, che è per altro utile proprio allo scopo di dimostrare mediante l’adeguata motivazione richiesta dalla norma che nell’ente non è possibile rinvenire le necessarie professionalità.

Nel caso di specie, il comune di Roma non ha attivato questa fase preventiva. Ed è venuta a mancare, quindi, sia l’indagine preliminare volta a dimostrare l’assenza delle professionalità interne, sia la motivazione della scelta di andare all’esterno.

Il comune ha adottato una modalità operativa in alcun modo prevista dalle norme e con essa manifestamente contrastante. Ha, infatti, pubblicato gli avvisi per gli incarichi ai sensi dell’articolo 110 in modo che il procedimento selettivo fosse “aperto” anche ai dirigenti di ruolo dell’ente e financo ai funzionari di categoria D.

Ma, secondo i giudici amministrativi “la normativa richiamata e, segnatamente, l’art. 110 TUEL, l’art. 19, comma 1 bis, del D.lgs. n. 165/2001 e le disposizioni del Regolamento interno sull'Ordinamento degli Uffici e dei Servizi di Roma Capitale depongono nel senso che la ricerca all’esterno di professionalità deve seguire alla verifica del possesso dei requisiti richiesti in capo a soggetti già appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione, ivi compresi i funzionari direttivi di categoria D. Appare, invece, documentalmente provato e non contestato da Roma Capitale che nel caso di specie tale verifica non ci sia stata, né la si può ritenere integrata dal c.d. interpello aperto”.

E del resto, la procedura “aperta” anche agli interni (col paradosso di pensare che l’assegnazione di incarichi vacanti ai dipendenti di ruolo sia una sorta di gentile concessione) è abnorme e paradossale, perché i dipendenti di ruolo “si troverebbero a competere per posizioni per le quali hanno i requisiti con soggetti esterni”. Un’aberrazione giuridica assurda, visto che non si tratta di procedure concorsuali vere e proprie.

Aggiunge, impietosamente, il Tar che “un simile modus procedendi appare contraddittorio anche rispetto ai principi di economicità, efficacia ed efficienza a cui deve essere informata l’attività della P.A., atteso la valutazione dei candidati da parte della Commissione potrebbe essere del tutto inutile e verrebbe posta nel nulla, secondo la prospettazione di Roma Capitale, a fronte dell’esistenza di soggetti interni al proprio ruolo in possesso dei requisiti per ricoprire le posizioni oggetto degli avvisi, con dispendio ingiustificato di risorse umane e finanziarie”.

Lo si ribadisce: questa sentenza evidenzia l’illegittimità delle specifiche procedure attivate dal comune di Roma, ma tale modo di operare, caratterizzato dall’assoluta assenza di una verifica preventiva dell’effettiva assenza di competenze interne, è diffusissimo; si può affermare che una percentuale vicinissima al 100% delle selezioni per articoli 110 è caratterizzata dall’assenza totale di una motivazione adeguata, fondata sull’effettiva ed approfondita riprova che tra la dirigenza di ruolo manchi la competenza necessaria.

Dal più importante comune d’Italia ci si aspetterebbe una gestione più che attenta, professionale, corretta e legittima. Purtroppo, il comune di Roma è emblematico di una illegittimità fuori da ogni controllo. Da sole, queste argomentazioni di fatto dovrebbero convincere dell’impossibilità di continuare a tenere nell’ordinamento una norma come l’articolo 110 del d.lgs 267/2000, che nel corso degli anni si è dimostrato essere funzionale non certo al miglioramento delle competenze e della qualità della dirigenza, bensì alla sua precarizzazione ed all’abbassamento della qualità, con ripercussioni gravissime sulla sudditanza alla politica – visto che le scelte avvengono fin troppo spesso per affinità politica e non per merito – e sull’efficienza-

Purtroppo, altrettanto diffusa è l’ancor più grave violazione anche dei requisiti soggettivi richiesti per le assunzioni a contratto.

Lo si è visto prima: l’articolo 19, comma 6, riserva alle PA la possibilità di reclutare dirigenti esterni solo per figure dotate di requisiti davvero rilevantissimi, con professionalità tale da non richiedere alcun accertamento di capacità a svolgere funzioni dirigenziali, data da indici rigorosissimi:

a)      connessi alla qualifica rivestita, già giuridicamente dirigenziale o assimilabile:

a.       l’aver svolto attività in organismi ed enti pubblici ovvero aziende pubbliche con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali;

b.      l’essere ricercatori;

c.       l’essere docenti universitari;

d.      l’essere magistrati;

e.       l’essere avvocati e procuratori dello Stato;

b)      connessi ad esperienze e titoli particolari, pur in carenza di qualifiche dirigenziali o assimilabili:

a.       l’aver svolto attività in organismi ed enti privati ovvero aziende private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali;

b.      il rivestire posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza,

                                                                          i.      avendo conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile

1.      dalla formazione universitaria e postuniversitaria,

2.      da pubblicazioni scientifiche

3.      e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi.

Questi requisiti soggettivi, molto stringenti, non sono praticamente mai posti a presupposto soggettivo degli incarichi, spessissimo conferiti a funzionari di categoria D per sola “anzianità”, del tutto privi delle evidenze curriculari indicate sopra.

L’articolo 110 si conferma, quindi, una palla al piede, un elemento di disorganizzazione e svilimento della professionalità richiesta a dirigenti e funzionari pubblici.

Per consentire agli organi di governo locali di avvalersi di vertici organizzativi di fiducia e particolarmente vicini anche alle posizioni politiche, come un capo di gabinetto, un consigliere politico-economico, un capo segreteria, un portavoce, basta ed avanza l’articolo 90 del d.lgs 267/2000. E’ ora di lasciare campo solo a questa norma, dettagliando le figure funzionali che mediante essa sono acquisibili, ed eliminare per sempre quella lesione ordinamentale e funzionale che è l’articolo 110.

2 commenti:

  1. Egr. dott. Oliveri, i suoi commenti non sempre esaustivi e chiarissimi. Approfitto per porle un quesito: i principi da Lei delineati nel post sono applicabili anche agli uffici di diretta collaborazione dei ministri e degli assessori regionali? In quanto purtroppo è invalsa la prassi di nominare direttamente esterni senza alcuna selezione.

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