E’ passato oltre un anno dalla
forzata introduzione del lavoro agile nella Pubblica Amministrazione e ancora
non sono chiari gli aspetti di regolazione dell’istituto.
Il 30 aprile scadrà, forse, lo
stato di emergenza e, quindi, il regime appunto emergenziale che ancora caratterizza
la disciplina del lavoro agile.
Stando a quanto ha dichiarato il Ministro della Funzione Pubblica al Workshop Ambrosetti, entro la metà di aprile potrebbero arrivare modifiche normative al “decreto semplificazioni”, il d.lgs 76/2020, che potrebbero contemplare un intervento sullo smart working.
L’idea, pare, sia quella di
eliminare il riferimento a percentuali minime o vincolanti. Attualmente, lo
smart working si applica da “almeno” il 50% del personale adibito ad attività
che con lo smart working siano ritenute compatibili, in quanto la modalità
agile non pregiudichi l’efficienza dell’attività.
La percentuale, dall’1 maggio in
poi, cessato il regime di emergenza, dovrebbe salire ad almeno il 60%, in
attuazione delle previsioni dei POLA, Piani Organizzativi del Lavoro Agile, che
però solo un terzo circa delle PA ha approvato. I restanti due terzi, quindi,
dovrebbero limitarsi a garantire una percentuale del 30% dei dipendenti che
facciano “richiesta”, sempre a condizione che le attività lavorative siano compatibili
con la modalità agile.
Proprio il tema dell’iniziativa
per attivare il lavoro agile, oltre che quello delle percentuali, appare al
centro dell’attenzione dell’inquilino di Palazzo Vidoni.
In effetti, i due argomenti
camminano insieme: la predeterminazione di percentuali di dipendenti in lavoro
agile, pone problemi rilevanti proprio in relazione all’iniziativa per la
disposizione in tale modalità lavorativa.
Attualmente, nella normativa
emergenziale, spetta al datore di lavoro pubblico decidere di attivare lo smart
working, sulla base della valutazione dell’idoneità delle attività lavorative.
Quindi, fino al 30 aprile l’iniziativa è del datore, che sostanzialmente,
avendo effettuato (si auspica) un’indagine seria sulla capacità delle strutture
di reggere anche in modalità agile, dispone in via sostanzialmente unilaterale,
sia pure con margine ovviamente di “trattative”, i dipendenti in lavoro agile,
allo scopo di mantenere dove possibile il distanziamento necessario alla lotta
alla pandemia.
Superata l’emergenza cosa
succederà? Del POLA e della percentuale di “almeno” il 60% in lavoro agile s’è
detto.
Ma, il Ministro Brunetta non è
dell’idea di proseguire lungo la strada tracciata dal precedente inquilino di
Palazzo Vidoni.
La traccia della svolta non sta
nel Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, bensì
nella bozza di “Atto di indirizzo quadro per i rinnovi contrattuali del
triennio 2019/2021 per il personale delle pubbliche amministrazioni di cui all’art.
1, comma 3, del d.lgs 165/2001”, elaborato dall’Ufficio Relazioni Sindacali del
Dipartimento della Funzione Pubblica.
Tale bozza interviene in maniera
molto decisa sulla disciplina del lavoro agile, mediante due indicazioni radicali:
1.
“il lavoro agile deve essere inquadrato quale
misura di carattere organizzativo, rientrante nelle competenze del datore di
lavoro pubblico … e come una delle possibili modalità di effettuazione della
prestazione lavorativa da parte dei dipendenti … in mansioni e processi di
lavoro, previamente individuati dalle amministrazioni, ove sussistano i
necessari requisiti organizzativi e tecnologici per operare con tale modalità”;
2.
il lavoro agile “non può costituire un
diritto soggettivo da parte del dipendente e la sua progressiva introduzione
deve accompagnarsi alle necessarie misure di carattere organizzativo e di completamento
della transizione al digitale, con specifica attenzione alle azioni formative
che dovranno accompagnare il processo di cambiamento”.
La scelta è ben precisa: ricondurre
la decisione se attivare il lavoro agile e per quali attività esclusivamente in
capo al datore di lavoro. Conseguentemente, la disposizione in lavoro agile non
è un diritto soggettivo: se fosse tale, allora il datore dovrebbe comunque consentire
l’esplicazione di questo diritto.
Le indicazioni, proprio perché sono
contenute in un atto generale di indirizzo, per altro solo in bozza, lasciano
aperti alcuni problemi.
In primo luogo, quello della
fonte. Non spetta certamente ad un atto di indirizzo qualificare la natura
giuridica dell’istituto del lavoro agile, se come diritto soggettivo o meno.
Deve essere la legge a specificare tale natura: l’atto di indirizzo, conseguentemente,
dovrebbe interessarsi delle regolazioni connesse all’attività svolta in lavoro
agile, senza interessarsi della sua genesi.
Sta di fatto, comunque, che la
decisione di non configurare il lavoro agile come diritto soggettivo, ma come
misura organizzativa generale di iniziativa datoriale, che poi si riverbera sui
singoli lavoratori disposti in lavoro agile appare da condividere.
Il lavoro agile è attivabile
solo ed esclusivamente per le attività con esso compatibili. Cioè, non solo le
attività lavorative debbono prestarsi al lavoro senza un luogo preciso ed un
orario rigidamente fissato entro un segmento, ma debbono anche avere
strumentazioni operative compatibili. Occorre, quanto meno, che sia possibile
determinare le metriche lavorative necessarie per standardizzare le attività:
ciò consente di modificare parzialmente il sinallagma o la contro prestazione.
Nel lavoro tradizionale, la controprestazione parte dall’assunto che rispettando
l’orario di lavoro e gli ordini di servizio del datore, il prestatore adempia
correttamente alle proprie obbligazioni. Nel lavoro agile, l’orario perde
rilevanza, così come le prescrizioni datoriali, visto che il controllo
operativo in loco non è possibile. Assume, quindi, maggior rilievo il risultato
dell’attività: ma ciò richiede non tanto e non solo che essa sia realizzabile
utilizzando la digitalizzazione (in effetti, il lavoro agile non è
necessariamente condizionato dall’utilizzo di strumenti digitali e piattaforme
telematiche), ma soprattutto che le attività siano standardizzate. Se ne
debbono conoscere i processi operativi, i tempi, gli esiti, in modo che sia
possibile predeterminare, sulla base degli standard, un risultato
quali-quantitativo ed una reportistica che consentano di verificare la
correttezza dell’adempimento, non assicurata dal rispetto dell’orario.
Queste sono tutte valutazioni ed
attività organizzative rimesse in via esclusiva al datore. Solo laddove le
precondizioni sintetizzate sopra si avverino, il datore può decidere di
attivare il lavoro agile.
E’, dunque, poco utile riferirsi
a percentuali minime o massime. In assenza delle precondizioni, il lavoro agile
non è possibile; laddove le precondizioni esistano, altri elementi, come la
logistica ed anche la capacità dell’utenza di relazionarsi da remoto con
strumenti telematici è condizione della decisione di quanti dipendenti disporre
in lavoro agile in rapporto al totale di quelli addetti alle attività
compatibili. Dunque, va lasciata alla scelta organizzativa specifica e
particolare dell’amministrazione non solo il “se”, ma soprattutto il “come”
organizzare il lavoro agile. Come anche la determinazione del personale da
disporre in tale modalità.
Si pone, qui, il problema,
allora, della configurazione della posizione del lavoratore. Se non è diritto soggettivo,
come si auspica sia la legge a stabilirlo e non la contrattazione, come
configurare il rapporto tra datore e dipendente?
Il disegno che pare emergere è quello
dell’atto complesso, non dissimile dalla fattispecie degli incarichi dirigenziali.
Un atto organizzativo di esclusiva pertinenza datoriale e di macro
organizzazione fissa le condizioni per attivare il lavoro agile, anche entrando
nel dettaglio di quanto personale disporre in tale modalità, con criteri per determinare
le giornate o i periodi di adibizione in tale modo.
A questo, seguono atti di micro
organizzazione dei dirigenti: questi, sulla base delle indicazioni generali,
stabiliscano materialmente quali e quanti dipendenti e per quali periodi siano
da disporre in lavoro agile. Si tratta di un esercizio di jus variandi
del datore.
Ma, la materiale adibizione del
lavoratore in modalità agile, anche se non qualificata come diritto, è comunque
connessa alla disciplina del rapporto di lavoro. In un sistema contrattualizzato,
tra dirigente e lavoratore, la disposizione in modalità agile non può che
essere regolata, allora, pur sempre mediante un accordo tra le parti, come
attualmente prevede l’articolo 19 della legge 81/2017.
Tuttavia, laddove la normativa
affermi che la disciplina del lavoro agile dipenda dall’iniziativa organizzativa
datoriale, l’accordo individuale col lavoratore probabilmente potrà incidere
poco sugli aspetti appunto organizzativi, in particolare i periodi/giornate di
svolgimento.
L’accordo individuale, invece,
avrà possibilità di dipanarsi appieno sugli elementi di dettagli di regolazione
del diritto alla disconnessione, delle fasce di contattabilità, della
formazione, dell’utilizzo dei permessi e delle altre cause di giustificazione
di assenze e delle altre materie che la contrattazione e la norma assegneranno
alla sua funzione.
Pertanto, non pare che il datore
possa imporre d’ufficio la collocazione in lavoro agile dei dipendenti; esauritasi
la fase emergenziale: occorrerà un atto consensuale di regolazione, col quale
il dipendente accetti tale disposizione in lavoro agile, concordando alcuni
aspetti di dettaglio, tra i quali anche la modalità di rendicontazione dei
risultati.
Per questa ragione è
condivisibile l’eliminazione di percentuali minime o massine. La quantità di
dipendenti disposti in modalità agile non è predeterminabile, ma è in funzione
delle molte variabili, organizzative e connesse agli accordi individuali,
sottostanti alla disciplina.
Bisognerà, comunque, verificare se
e quanto la riforma dell’istituto impatterà sulle regole attualmente già
vigenti, poste ad orientare la scelta dei lavoratori da disporre in modalità
agile anche in relazione ad esigenze di conciliazione vita lavoro. Se il lavoro
agile non sarà un diritto soggettivo, determinate condizioni soggettive potranno
comunque essere necessariamente da valutare come prioritarie ai fini dell’individuazione
dei dipendenti cui proporre la disposizione in lavoro agile.
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