domenica 28 marzo 2021

Smart working ancora in cerca d’autore

 

E’ passato oltre un anno dalla forzata introduzione del lavoro agile nella Pubblica Amministrazione e ancora non sono chiari gli aspetti di regolazione dell’istituto.

Il 30 aprile scadrà, forse, lo stato di emergenza e, quindi, il regime appunto emergenziale che ancora caratterizza la disciplina del lavoro agile.

Stando a quanto ha dichiarato il Ministro della Funzione Pubblica al Workshop Ambrosetti, entro la metà di aprile potrebbero arrivare modifiche normative al “decreto semplificazioni”, il d.lgs 76/2020, che potrebbero contemplare un intervento sullo smart working.

L’idea, pare, sia quella di eliminare il riferimento a percentuali minime o vincolanti. Attualmente, lo smart working si applica da “almeno” il 50% del personale adibito ad attività che con lo smart working siano ritenute compatibili, in quanto la modalità agile non pregiudichi l’efficienza dell’attività.

La percentuale, dall’1 maggio in poi, cessato il regime di emergenza, dovrebbe salire ad almeno il 60%, in attuazione delle previsioni dei POLA, Piani Organizzativi del Lavoro Agile, che però solo un terzo circa delle PA ha approvato. I restanti due terzi, quindi, dovrebbero limitarsi a garantire una percentuale del 30% dei dipendenti che facciano “richiesta”, sempre a condizione che le attività lavorative siano compatibili con la modalità agile.

Proprio il tema dell’iniziativa per attivare il lavoro agile, oltre che quello delle percentuali, appare al centro dell’attenzione dell’inquilino di Palazzo Vidoni.

In effetti, i due argomenti camminano insieme: la predeterminazione di percentuali di dipendenti in lavoro agile, pone problemi rilevanti proprio in relazione all’iniziativa per la disposizione in tale modalità lavorativa.

Attualmente, nella normativa emergenziale, spetta al datore di lavoro pubblico decidere di attivare lo smart working, sulla base della valutazione dell’idoneità delle attività lavorative. Quindi, fino al 30 aprile l’iniziativa è del datore, che sostanzialmente, avendo effettuato (si auspica) un’indagine seria sulla capacità delle strutture di reggere anche in modalità agile, dispone in via sostanzialmente unilaterale, sia pure con margine ovviamente di “trattative”, i dipendenti in lavoro agile, allo scopo di mantenere dove possibile il distanziamento necessario alla lotta alla pandemia.

Superata l’emergenza cosa succederà? Del POLA e della percentuale di “almeno” il 60% in lavoro agile s’è detto.

Ma, il Ministro Brunetta non è dell’idea di proseguire lungo la strada tracciata dal precedente inquilino di Palazzo Vidoni.

La traccia della svolta non sta nel Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, bensì nella bozza di “Atto di indirizzo quadro per i rinnovi contrattuali del triennio 2019/2021 per il personale delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 3, del d.lgs 165/2001”, elaborato dall’Ufficio Relazioni Sindacali del Dipartimento della Funzione Pubblica.

Tale bozza interviene in maniera molto decisa sulla disciplina del lavoro agile, mediante due indicazioni radicali:

1.      il lavoro agile deve essere inquadrato quale misura di carattere organizzativo, rientrante nelle competenze del datore di lavoro pubblico … e come una delle possibili modalità di effettuazione della prestazione lavorativa da parte dei dipendenti … in mansioni e processi di lavoro, previamente individuati dalle amministrazioni, ove sussistano i necessari requisiti organizzativi e tecnologici per operare con tale modalità”;

2.      il lavoro agile “non può costituire un diritto soggettivo da parte del dipendente e la sua progressiva introduzione deve accompagnarsi alle necessarie misure di carattere organizzativo e di completamento della transizione al digitale, con specifica attenzione alle azioni formative che dovranno accompagnare il processo di cambiamento”.

La scelta è ben precisa: ricondurre la decisione se attivare il lavoro agile e per quali attività esclusivamente in capo al datore di lavoro. Conseguentemente, la disposizione in lavoro agile non è un diritto soggettivo: se fosse tale, allora il datore dovrebbe comunque consentire l’esplicazione di questo diritto.

Le indicazioni, proprio perché sono contenute in un atto generale di indirizzo, per altro solo in bozza, lasciano aperti alcuni problemi.

In primo luogo, quello della fonte. Non spetta certamente ad un atto di indirizzo qualificare la natura giuridica dell’istituto del lavoro agile, se come diritto soggettivo o meno. Deve essere la legge a specificare tale natura: l’atto di indirizzo, conseguentemente, dovrebbe interessarsi delle regolazioni connesse all’attività svolta in lavoro agile, senza interessarsi della sua genesi.

Sta di fatto, comunque, che la decisione di non configurare il lavoro agile come diritto soggettivo, ma come misura organizzativa generale di iniziativa datoriale, che poi si riverbera sui singoli lavoratori disposti in lavoro agile appare da condividere.

Il lavoro agile è attivabile solo ed esclusivamente per le attività con esso compatibili. Cioè, non solo le attività lavorative debbono prestarsi al lavoro senza un luogo preciso ed un orario rigidamente fissato entro un segmento, ma debbono anche avere strumentazioni operative compatibili. Occorre, quanto meno, che sia possibile determinare le metriche lavorative necessarie per standardizzare le attività: ciò consente di modificare parzialmente il sinallagma o la contro prestazione. Nel lavoro tradizionale, la controprestazione parte dall’assunto che rispettando l’orario di lavoro e gli ordini di servizio del datore, il prestatore adempia correttamente alle proprie obbligazioni. Nel lavoro agile, l’orario perde rilevanza, così come le prescrizioni datoriali, visto che il controllo operativo in loco non è possibile. Assume, quindi, maggior rilievo il risultato dell’attività: ma ciò richiede non tanto e non solo che essa sia realizzabile utilizzando la digitalizzazione (in effetti, il lavoro agile non è necessariamente condizionato dall’utilizzo di strumenti digitali e piattaforme telematiche), ma soprattutto che le attività siano standardizzate. Se ne debbono conoscere i processi operativi, i tempi, gli esiti, in modo che sia possibile predeterminare, sulla base degli standard, un risultato quali-quantitativo ed una reportistica che consentano di verificare la correttezza dell’adempimento, non assicurata dal rispetto dell’orario.

Queste sono tutte valutazioni ed attività organizzative rimesse in via esclusiva al datore. Solo laddove le precondizioni sintetizzate sopra si avverino, il datore può decidere di attivare il lavoro agile.

E’, dunque, poco utile riferirsi a percentuali minime o massime. In assenza delle precondizioni, il lavoro agile non è possibile; laddove le precondizioni esistano, altri elementi, come la logistica ed anche la capacità dell’utenza di relazionarsi da remoto con strumenti telematici è condizione della decisione di quanti dipendenti disporre in lavoro agile in rapporto al totale di quelli addetti alle attività compatibili. Dunque, va lasciata alla scelta organizzativa specifica e particolare dell’amministrazione non solo il “se”, ma soprattutto il “come” organizzare il lavoro agile. Come anche la determinazione del personale da disporre in tale modalità.

Si pone, qui, il problema, allora, della configurazione della posizione del lavoratore. Se non è diritto soggettivo, come si auspica sia la legge a stabilirlo e non la contrattazione, come configurare il rapporto tra datore e dipendente?

Il disegno che pare emergere è quello dell’atto complesso, non dissimile dalla fattispecie degli incarichi dirigenziali. Un atto organizzativo di esclusiva pertinenza datoriale e di macro organizzazione fissa le condizioni per attivare il lavoro agile, anche entrando nel dettaglio di quanto personale disporre in tale modalità, con criteri per determinare le giornate o i periodi di adibizione in tale modo.

A questo, seguono atti di micro organizzazione dei dirigenti: questi, sulla base delle indicazioni generali, stabiliscano materialmente quali e quanti dipendenti e per quali periodi siano da disporre in lavoro agile. Si tratta di un esercizio di jus variandi del datore.

Ma, la materiale adibizione del lavoratore in modalità agile, anche se non qualificata come diritto, è comunque connessa alla disciplina del rapporto di lavoro. In un sistema contrattualizzato, tra dirigente e lavoratore, la disposizione in modalità agile non può che essere regolata, allora, pur sempre mediante un accordo tra le parti, come attualmente prevede l’articolo 19 della legge 81/2017.

Tuttavia, laddove la normativa affermi che la disciplina del lavoro agile dipenda dall’iniziativa organizzativa datoriale, l’accordo individuale col lavoratore probabilmente potrà incidere poco sugli aspetti appunto organizzativi, in particolare i periodi/giornate di svolgimento.

L’accordo individuale, invece, avrà possibilità di dipanarsi appieno sugli elementi di dettagli di regolazione del diritto alla disconnessione, delle fasce di contattabilità, della formazione, dell’utilizzo dei permessi e delle altre cause di giustificazione di assenze e delle altre materie che la contrattazione e la norma assegneranno alla sua funzione.

Pertanto, non pare che il datore possa imporre d’ufficio la collocazione in lavoro agile dei dipendenti; esauritasi la fase emergenziale: occorrerà un atto consensuale di regolazione, col quale il dipendente accetti tale disposizione in lavoro agile, concordando alcuni aspetti di dettaglio, tra i quali anche la modalità di rendicontazione dei risultati.

Per questa ragione è condivisibile l’eliminazione di percentuali minime o massine. La quantità di dipendenti disposti in modalità agile non è predeterminabile, ma è in funzione delle molte variabili, organizzative e connesse agli accordi individuali, sottostanti alla disciplina.

Bisognerà, comunque, verificare se e quanto la riforma dell’istituto impatterà sulle regole attualmente già vigenti, poste ad orientare la scelta dei lavoratori da disporre in modalità agile anche in relazione ad esigenze di conciliazione vita lavoro. Se il lavoro agile non sarà un diritto soggettivo, determinate condizioni soggettive potranno comunque essere necessariamente da valutare come prioritarie ai fini dell’individuazione dei dipendenti cui proporre la disposizione in lavoro agile.

Nessun commento:

Posta un commento