lunedì 29 marzo 2021

L'inaccettabile errore del Tribunale di Milano sulle ferie "pregresse" e le responsabilità della circolare 2/2020 della Funzione Pubblica

Un Tribunale che configura l'esenzione dal servizio dei dipendenti pubblici, a stipendio pieno, come misura doverosa e addirittura prioritaria rispetto al consumo delle ferie pro rata maturate nel 2020 è qualcosa di paradossale. Ma, i troppi cortocircuiti giuridici cagionati dalla convulsa normativa anti Covid hanno portato anche a questo paradosso, merchè anche le poco ponderate iniziative della Funzione Pubblica.

Che la circolare 2/2020 di Palazzo Vidoni, in merito alle "ferie pregresse" e all'esenzione dal servizio  fosse inopportuna, lo sostenemmo con convinzione a suo tempo qui 

Lo era nel merito, perché oggettivamente sbagliata. Lo era nel metodo, perché poteva dare il destro a qualche giudice del lavoro per emanare qualche sentenza di puro stampo sofistico come quella del Tribunale di Milano, 17 marzo, n. 20217831/2020. Una pronuncia che può ascriversi alle tante, troppe, estemporanee connesse alla situazione di emergenza, come quella recente del Gip di Milano, secondo il quale la falsa dichiarazione in un’autocertificazione non costituisce reato di falso o l’ancor più erronea del Gip di Reggio Emilia, che scambia le disposizioni dei Dpcm per provvedimenti limitativi della libertà personale di tipo processuale. 

L’argomentazione del Tribunale di Milano è semplicemente speciosa, oltre che palesemente infondata. Le ferie “pregresse” nemmeno dovrebbero esistere, perché è obbligazione del dipendente esaurirle tutte entro l’anno solare. 

E’ evidente che in una situazione d’emergenza sarebbe stato prioritario correggere la stortura della presenza di ferie “pregresse”, che nemmeno dovevano esservi: l’esaurimento di tali ferie era uno strumento utile per regolarizzare una situazione anomala ed inefficienza, assicurando che il dipendente non andasse al lavoro e contribuisse al contenimento della diffusione del virus. 

Ma, “pregresse” sono sempre e comunque le ferie che man mano si maturano pro-rata. Ed è pacifico nella giurisprudenza del lavoro della Cassazione che il datore di lavoro disponga del potere di organizzare i turni di ferie, tenendo “anche” degli interessi del prestatore di lavoro. Gli interessi del lavoratore sono da considerare, ma debbono collimare con quelli datoriali. In una fase emergenziale, nella quale occorreva garantire il distanziamento sociale, la programmazione di ferie anche dell’anno 2020 era doverosa e normale ed efficiente disposizione organizzativa. Volta anche ad evitare un’applicazione leggera e non ponderata della più insulsa ed inaccettabile delle disposizioni del d.l. 18/2020: quella che permetteva di esentare il dipendente pubblico dal servizio a stipendio pieno. Una previsione, anche alla luce delle tantissime attività private bloccate ed indennizzate con percentuali ridottissime del fatturato, e della riduzione reddituale subita da tanti dipendenti privati in cassa integrazione, semplicemente inaccettabile. E bene hanno fatto tutte le amministrazioni pubbliche che hanno provato ad utilizzare tutti gli strumenti possibili per giustificare l’assenza dal servizio dei dipendenti, prima di consentire un’esenzione a stipendio pieno. 

Non pare vi sia minimamente da dubitare che, come indicato dalla Cassazione Sezione lavoro 13980/2000, il datore pubblico, alla stregua dell’imprenditore, disponga del potere di organizzare il periodo delle ferie in modo utile per le esigenze dell’impresa, in modo non ingiustificatamente vessatorio nei confronti del lavoratore. Non pare per nulla possibile affermare che un datore pubblico, nell’organizzare le ferie anche del 2020 allo scopo di garantire un’assenza giustificata dal servizio dovuta ad una pandemia abbia adottato un comportamento vessatorio nei confronti del dipendente. Ha fatto il possibile per minimizzare la presenza in servizio proprio per garantire “esigenze di impresa” tali da assicurare che i lavoratori restassero a casa per rispettare il distanziamento sociale. 

Il Tribunale di Milano si arrampica sugli specchi di motivazioni apodittiche, considerando le esigenze organizzative come subordinate ad un’inerzia del lavoratore nel chiedere le ferie o recessive rispetto ad una sorta di “dovere” primario di esentare dal lavoro, prima di adottare ogni altra misura utile ad evitare il danno, etico, prima che erariale, di pagare uno stipendio senza che a fronte di ciò vi fosse alcuna prestazione. 

La condanna al comune a considerare il dipendente esentato dal servizio a stipendio pieno e al ripristino delle ferie 2020 appare davvero una beffa oltre che un errore. E sottende un danno erariale, a cui ha certamente dato causa la sciagurata circolare 2/2020. Staremo a vedere se la Corte dei conti avrà qualche iniziativa da assumere. 

4 commenti:

  1. NON SOLO A MILANO caro Luigi, meglio cospargersi il capo di cenere e chiedere scusa. La corte dei conti va scomodata per le consulenze strapagate che la pubblica amministrazione affida a "esterti" discutibili !
    Con la sentenza n. 1189/2020 del 5 marzo 2021 il Tribunale del Lavoro di Vicenza condanna il Comune di Vicenza alla restituzione di otto giorni di ferie 2020 sottratte d’ufficio ad una lavoratrice prima e durante il periodo di esenzione dal servizio, a causa delle chiusure imposte dal Dpcm 11 marzo 2020 per l'emergenza Covid-19.
    Così riporta il Giudice nella motivazione della sentenza “il riferimento effettuato dall’art. 87, DL 18/2020, alle ferie pregresse deve intendersi riferito alle ferie maturate dal dipendente nel corso degli anni precedenti al 2020 e non ancora fruite. Appare peraltro improbabile che la norma in esame, emanata nei primi mesi dell’anno 2020, abbia inteso fare riferimento a giorni di ferie che, in buona parte, poiché asseritamente inerenti l’anno 2020, dovevano ancora maturare e, quindi, non erano ancora entrate nel patrimonio del lavoratore.”
    “Quanto alla questione dell’imposizione da parte del datore di lavoro dei permessi di cui all’art. 32 CCNL” continua il Giudice , “simili permessi non possono dirsi in alcun modo riconducibili agli istituti (delle ferie pregresse, del congedo, della banca ore, della rotazione e di altri analoghi istituti, nel rispetto della contrattazione collettiva) ai quali l’art. 87, DL 18/2020 fa riferimento per giustificare le forzate/imposte assenze dal lavoro dei dipendenti durante l’emergenza Covid-19; ciò se non altro in considerazione del fatto che l’utilizzo dei summenzionati istituti deve pur sempre essere coerente con la contrattazione collettiva e, quindi, con le funzioni che le parti sociali hanno voluto attribuire allo strumento utilizzato. Ora i permessi di cui all’art. 32 CCNL non possono dirsi nella disponibilità libera delle parti essendo stati concepiti per far fronte ad esigenze particolari del lavoratore che nel caso in esame, in totale assenza di allegazione, non possono dirsi sussistenti di modo che del tutto ingiustificata è l’imposizione alla ricorrente da parte del Comune d Vicenza di tre giorni di permesso, peraltro continuativi, ai sensi dell’art. 32 CCNL regioni e autonomie locali.”

    CUB Pubblico Impiego
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    1. Due sentenze sbagliate non fanno una ragione, ma due errori gravi.

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  2. https://www.corteconti.it/Download?id=9906c7bb-03d8-412d-8d29-bb9a8583c323 la corte dei conti per i propri dipendenti usa termini e concetti azzeccati e in linea con quello che detta il buonsenso (ferie pregresse non sono ferie di competenza) e le due sentenze dei Giudici di Milano e Vicenza e chissà ancora quante ne arrivano !

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  3. https://espresso.repubblica.it/attualita/2021/04/05/news/fabrizio_barca_pubblica_amministrazione_debole_e_consulenti_esterni-295141917/?fbclid=IwAR3ga_UoVyWZdhGM77l2IAj39-lkYV7-_B4bfIbm04WMpnSzeTJjQpYUnpc

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