In un'intervista rilasciata da Fabrizio Barca all'Espresso on line, si teorizza che i concorsi vanno rinnovati e e che allo scopo occorrerebbe sostituire alla prova scritta la "lettera di motivazioni".
Farbrizio Barca è stato per anni un dirigente di massimo vertice dello Stato ed anche Ministro, col governo Monti.E’ certamente tra coloro che hanno contribuito, in questi anni, col pensiero e con l’azione, a legiferare in tema di Pubblica Amministrazione e l’ha anche diretta, per quanto di competenza, come dirigente di vertice e come Ministro.
Se lo stato della PA è di conclamata crisi, Barca è uno dei responsabili diretti di ciò. Per quanto, infatti, chi rivesta o abbia rivestito ruoli di componente del Governo o di parlamentare tenda a scaricare sul Fato o non si sa bene su chi la situazione di inefficienza della PA italiana, non va dimenticato che essa è frutto delle leggi e delle disposizioni organizzative di chi dispone del potere legislativo ed esecutivo: quindi di Parlamento e Governo.
Non stupisce, allora, che un tema delicatissimo, come quello delle modalità di selezione dei dipendenti pubblici, possa essere trattato anche dal Barca, in modo caricaturale.
Già il d.l. 44/2021, che consente di tenere concorsi in situazione di emergenza con solo una prova scritta consistente in un quiz, riduce sostanzialmente il reclutamento pubblico ad una sorta di ordalia, per altro piuttosto facilmente manovrabile da parte di chi abbia interesse a “manovrare”.
L’idea, poi, di sostituire alla prova scritta la “lettera di motivazione” appare davvero una trovata da pochade.
E’ il segno che chi parla di “concorso” pubblico non abbia davvero chiaro di cosa stia parlando. La “lettera motivazionale” è uno strumento che viene sempre più spesso utilizzato nel reclutamento nel settore privato.
Attenzione: abbiamo usato l’espressione “reclutamento” con la consapevolezza che nel privato si giunge all’assunzione dei dipendenti con modalità totalmente diverse e minimamente incomparabili rispetto a quelle pubbliche (e non si sta facendo una gerarchia di valore, quale sia peggio e quale meglio: si osserva solo che si tratta di modalità totalmente diverse).
Nel privato, il datore esprime in qualche misura una domanda di lavoro, con modalità che non sono necessariamente pubbliche. Il datore privato non è tenuto a pubblicare un avviso, né a fissare termini entro i quali presentare la domanda, né a determinare quali titoli di studio o di esperienza o di altra natura siano necessari all’ “ammissione”.
Il reclutamento del datore privato, dunque:
- non è pubblico: non è soggetto a pubblicità, né è finalizzato a raccogliere dalla collettività il maggior numero possibile di domande;
- non è concorrenziale: non mette, cioè, in competizione nell’ambito di una specifica procedura più concorrenti.
Il secondo elemento è quello dirimente. In applicazione dell’articolo 97 della Costituzione, dell’articolo 35 del d.lgs 165/2001 e del dPR 487/1994 o comunque dei regolamenti sui concorsi, le pubbliche amministrazioni sono tenute a “mettere a confronto” i vari candidati ammessi al concorso.
Nell’ambito della procedura concorsuale, infatti, i candidati non solo sono valutati individualmente in relazione alle capacità dimostrate, ma la loro valutazione viene poi posta in relazione ed a confronto con quella degli altri candidati: infatti, si stila una graduatoria finale e viene assunto chi si colloca nei primi posti, quelli definiti col bando utili per l’assunzione.
Il privato, a meno che non si autovincoli a gestire una procedura para concorsuale sulla falsariga di quelle pubbliche, invece, non valuta “concorrenti”, ma “candidature”. Il datore privato non ha termini (almeno non pubblici) per decidere, non deve sottoporre i candidati a prove uguali per tutte, nel medesimo giorno o nella medesima sessione, da valutare in modo poi uniforme, per dare vita ad una graduatoria. Il privato, invece, esamina solo le candidature che, sulla base del crurriculum ritiene più interessanti e non elabora nessuna graduatoria. Ogni candidato è valutato per se stesso, autonomamente, senza nessun confronto con altri, senza nessuna collocazione in alcuna graduatoria: quando il datore pensa di aver reperito la persona giusta, l’assume.
Ecco, allora, che una lettera di motivazione può essere utile. Il reclutatore privato non deve verificare, con questa lettera, le capacità tecniche e le nozioni del lavoratore; le desume dal curriculum e dalle esperienze. La lettera può essere utile per capire gli aspetti di fiduciarietà, di affidamento, di convinzione nella filosofia, nei valori e nelle modalità operative dell’azienda.
In un sistema come un “concorso”, invece, la lettera di motivazione non ha alcuna oggettiva utilità e meno ancora utilizzabilità.
Un concorso deve necessariamente fondarsi su valutazioni che abbiano aspetti tecnici quanto più oggettivi possibile. Infatti, per poter realizzare la graduatoria, occorre che i candidati siano sottoposti ad una serie di prove comuni, a parità di condizioni, le quali prove li mettano in condizione di esprimere le proprie conoscenze e capacità, alla luce di cognizioni tecniche precise, in modo che la valutazione si basi sul confronto tra la regola tecnica e l’applicazione che di essa il candidato di modo di saper fare.
Quindi il famoso “tema”, da molti criticato perché considerato inadeguato per la selezione, se gestito seriamente, non ha nulla a che vedere col “tema” a scuola, sul compagno di banco o la pace nel mondo.
Più che un tema è, infatti, un’esposizione tecnica, con la quale dimostrare la conoscenza dei fondamenti della materia, da applicare a specifici casi concreti. Il che permette, poi, valutazioni numeriche, adeguate al grado di conformità dell’esposizione alla regola da rispettare e alla correttezza della sua applicazione, come prospettata.
Ora, è di tutta evidenza che, invece, la lettera di motivazione risulti qualcosa di davvero simile al temino in classe sulla primavera o sull’ecologia.
Come è possibile valutare le capacità del candidato, ma, soprattutto, come si può immaginare di porre in essere una realistica e motivabile graduatoria tra candidati, sulla base di un elemento del tutto soggettivo come una “lettera di motivazione”? Cosa si immagina? Di scartare chi scriva nella lettera di non essere per nulla motivato, di considerare il lavoro nella PA come una sinecura pagata, di essere, in sostanza, il “posto fisso” alla Zalone? Ma, perché, ci si aspetta che qualcuno eventualmente scriva qualcosa di simile nella lettera di motivazione?
O, forse, ci si aspetta che la lettera, scritta nel giusto codice criptico, riveli nome e cognome dello “sponsor” e la fedeltà eterna a chi dà la “spinta”?
Ma, ci rendiamo conto, o no, i concorsi sono, per legge (oltre che per evidenza dei fatti) esposti a rischi elevati di corruzione e conflitto di interesse? Davvero è pensabile che i dipendenti di una nuova PA più giovane, efficiente, moderna ed avanzata sul piano tecnico si possano selezionare con una letterina? Ma, è davvero così irrefrenabile la voglia della politica di fare da ufficio di collocamento, da tornare a sistemi di reclutamento totalmente arbitrari ed, in quanto tali, del tutto esposti alle clientele?
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