Per tutto l'anno, come è noto, si sono inseguite polemiche sugli ormai famosi Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, cioè i Dpcm, considerati dal molti di dubbia costituzionalità, perchè dispongono misure di contenimento della libertà personale e di impresa, pur non essendo atti aventi forza e forma di legge. Mentre, varie disposizioni della Costituzione che sorreggono le libertà riservano, invece, alla legge appunto il potere di adottare simili decisioni.
Per questo, secondo alcuni il Governo, pena una compressione inaccettabile delle prerogative del Parlamento, dovrebbe decidere non con atti amministrativi, quali sono i Dpcm (o i decreti ministeriali), ma con decreti legge, considerando che l'urgenza di provvedere in tale forma è oggettiva. E, soprattutto, perchè i decreti legge debbono passare necessariamente, poi, per il Parlamento, chiamato a convertirli in legge nei successivi 60 giorni.
Senza entrare nel merito di questa discussione, c'è da proporre comunque un'osservazione di natura meramente operativa: i decreti del Presidente del consiglio dei ministri e dei Ministri, proprio perchè sono atti amministrativi, hanno il compito di fissare il dettaglio operativo, sulla base delle disposizioni di legge.
In un sistema giuridico positivo e fondato sul principio di legalità, infatti, i provvedimenti amministrativi sono legittimi solo se adottati nel rispetto di una legge che definisca il potere da esercitare con i provvedimenti stessi, e i fini generali che i provvedimenti stessi attuano.
Questa semplice osservazione, che è alla base del diritto amministrativo, dovrebbe essere sufficiente per chiarire che fonte delle limitazioni alle libertà personali e di impresa non possono essere i provvedimenti amministrativi, ma la legge; e, tuttavia, la legge dispone norme generali ed astratte, che poi vanno applicate al caso concreto, appunto con provvedimenti amministrativi.
Il Governo ha dapprima sbandato col d.l. 6/2020, che aveva in effetti attribuito uno spazio eccessivo ai Dpcm. Ma, poi, ha corretto il tiro con il d.l. 19/2020.
Guardiamone la struttura. L'articolo 1 del d.l. 19/2020 indica che per contenere l'emergenza possono essere adottate una serie di misure, descritte nel comma 2 dalle lettere che vanno dalla a) alla alla hh)-bis.
L'articolo 1, dunque, è la norma generale ed astratta, con la quale si enuncia un fine di interesse generale, il contrasto al virus, e si identifica una gamma molto ampia di azioni di contrasto che è possibile di volta in volta attivare.
Dunque, occorre passare dall'astrattezza della legge, alla concretezza del provvedimento amministrativo. Spetta all'azione amministrativa, sulla base della valutazione generale della legge, verificare se, come e in che misura e per quali destinatari e per quanto tempo attivare concretamente le molteplici possibilità indicate dall'articolo 1, comma 2.
Seguendo questa logica, il successivo articolo stabilisce che le misure indicate dall'articolo 1, comma 2, possono essere adottate con uno o più decreti del Presidente del consiglio dei ministri.
Allo scopo di scongiurare il rischio che questi provvedimenti, per quanto attuativi di una legge e dunque dotati della copertura che assicura il rispetto delle varie riserve di legge poste dalla Costituzione a presidio delle libertà, siano passibili di un'eccessiva concentrazione di potere in un organo monocratico, l'articolo 2, comma 1, sempre del d.l. 19/2020 prevede una serie di "concerti" e modalità di partecipazione alla loro adozione.
Infatti, di Dpcm sono adottati:
- su proposta del Ministro della salute,
- sentiti:
- il Ministro dell'interno,
- il Ministro della difesa,
- il Ministro dell'economia e delle finanze
- gli altri ministri competenti per materia,
- i presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino l'intero territorio nazionale.
- su proposta dei presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni,
- ovvero del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino l'intero territorio nazionale,
- sentiti:
- il Ministro della salute,
- il Ministro dell'interno,
- il Ministro della difesa,
- il Ministro dell'economia e delle finanze
- gli altri ministri competenti per materia.
al fine di tenere conto degli eventuali indirizzi dalle stesse
formulati; aggiungendo che laddove ragioni di urgenza lo richiedano, l'illustrazione preventiva sia sostituita da un referto alle Camere, comunque da garantire ogni 15 giorni.
E' evidente che il Parlamento, quindi, ha il potere di assumere ogni iniziativa legislativa per correggere o anche modificare radicalmente le decisioni amministrative; ma anche, ogni iniziativa prettamente politica, per indurre il governo ad un'autocorrezione, per via amministrativa, dei propri provvedimenti.
A ben vedere, l'intera attività amministrativa è sorretta, da sempre, da un reticolo di norme aventi fonti di produzione diversa, posizione gerarchica diversa, forme di controllo specifiche e poteri di iniziativa o proposta di più soggetti.
L'originalità, se così la vogliamo definire, dell'impianto descritto non sta tanto nell'impianto (modelli così articolati sono molto comuni, ad esempio, nella gestione delle materie connesse all'ambiente o ai beni culturali), quanto nell'oggetto. Il tema dei Dpcm è "caldo" perchè sono uno strumento col quale si incide sulle libertà.
Per superarlo, come agire? L'unica strada totalmente esente da qualsiasi critica in punta di diritto sarebbe quella di utilizzare esclusivamente il decreto legge, tirando dritto e senza tenere conto di almeno due nei che potrebbero evidenziarsi:
- il decreto legge deve essere convertito, come noto, dal Parlamento entro 60 giorni. Ma, le misure contro la pandemia, si pensi ad esempio alle zone, hanno durate molte volte inferiori, di poche settimane. Ci si dovrebbe chiedere il senso di conversioni di norme che hanno già esaurito la loro efficacia nel tempo. Per non parlare dei problemi molto rilevanti determinati dalla possibilità che il Parlamento converta il decreto con modificazioni, incidenti sulle misure adottate, scatenando questioni di diritto intertemporale;
- un decreto legge che entri direttamente nel merito delle specifiche misure di dettaglio da adottare (i già citati se, come e in che misura e per quali destinatari e per quanto tempo) finirebbe per essere una "legge provvedimento": cioè esattamente un atto amministrativo, "vestito" però da legge. Certo, dotato delle garanzie costituzionali, ma appesantito da una forma ed una procedura improprie.
La risposta a tutti questi problemi data dal d.l. 44/2021, tuttavia, appare solo nominalistica e connessa alla "comunicazione" o "narrazione".
Nel testo, non si fa mai menzione del decreto del Presidente del consiglio dei Ministri: una cancellazione delle parole e dell'istituto, posta a far pensare appunto al famoso "cambio di passo". Se non c'è il Dpcm, vuol dire che allora di regolano le azioni di contrasto al virus, finalmente, direttamente col decreto legge! E tutti contenti.
Ma, chi abbia voglia di analizzare concretamente il d.l. 44/2021 si accorge che le cose non stanno per nulla in questo modo.
Cosa dispone, infatti, l'articolo 1, comma 1, del d.l. 44/2021? Leggiamo: "Dal 7 aprile al 30 aprile 2021, si applicano le misure di cui al provvedimento adottato in data 2 marzo 2021, in attuazione dell'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35".
Ma, qual è questo fantomatico "provvedimento adottato in data 2 marzo 2021"? Null'altro che un Dpcm, adottato proprio in attuazione delle norme del d.l. 19/2020, viste sin qui.
Dunque, il d.l. 44/2021, nella sostanza, altro non fa se non confermare l'impianto del reticolo normativo che esiste da un anno, apportando alcune specifiche correzioni. Infatti, il comma 1 dell'articolo 1 termina con la precisazione che le disposizioni del Dpcm 2 marzo 21 si applicano salvo quanto diversamente disposto dal medesimo d.l. 44/2021.
Il quale, in sostanza, contiene una serie articolata di regole che, sintetizzando, in aprile non consentono di regolare i territori in modo che siano qualificabili come "zona gialla", salvo specifiche particolarità.
La "narrazione" del "cambio di passo" si ha proprio nella fissazione della fonte che legittima l'adozione di provvedimenti particolari. E' l'ultima parte del comma 2, dell'articolo 1, del d.l. 44/2020 ad indicare il presunto "cambio di passo": "con deliberazione del Consiglio dei ministri sono possibili determinazioni in deroga al primo periodo e possono essere modificate le misure stabilite dal provvedimento di cui al comma 1 nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 19 del 2020".
Si noterà, dunque, che il d.l. 44/2021 non parla mai di Dpcm, ma introduce la "deliberazione del Consiglio dei ministri". Cambia qualcosa, nella sostanza? Diremmo proprio di no. Infatti:
- per un verso, come si è evidenziato prima, il d.l. conferma l'applicazione delle misure di un Dpcm;
- certo, facendo proprie le misure di tale Dpcm, il decreto legge ammanta quelle misure di forma e forza di legge, il che dovrebbe metterlo al riparo dai sospetti di violazione delle riserve di legge disposte dalla Costituzione;
- tuttavia, in tal modo, si ottiene di fatto una legge-provvedimento amministrativo;
- i provvedimenti amministrativi, rispetto alle leggi, hanno una maggiore velocità di produzione e, soprattutto, di modifica e taratura: per questo, per tutto il 2020, si è utilizzato il complesso meccanismo del rapporto tra decreti e Dpcm;
- se una legge, in questo caso un decreto legge, assume i contenuti di dettaglio di un provvedimento amministrativo, allora devono introdursi strumenti di flessibilizzazione come quelli di cui dispongono i provvedimenti amministrativi;
- da qui, allora, l'idea della "deliberazione del Consiglio dei ministri", che può:
- derogare alle misure di contrasto al Covid disposte direttamente dall'articolo 2, comma 1, primo periodo, del d.l. 44/2021;
- modificare le previsioni del Dpcm 2 marzo 2021.
Infatti:
- da un lato, come visto sopra, il d.l. 44/2021 "fa proprie" le disposizioni del Dpcm 2 marzo 2021, e quindi le "legifica": le prescrizioni di dettaglio trovano la propria fonte in un atto avente forza di legge;
- dall'altro lato, tuttavia, proprio per le rigidità proprie dell'atto, il d.l. introduce inusitati poteri di "deroga" alla legge stessa;
- e quale atto è quello che deroga alla legge, sia direttamente, modificando le disposizioni dell'articolo 2, comma 1, primo periodo, del d.l. 44/2021, sia indirettamente, modificando il Dpcm 2 marzo 2020? Una legge?;
- no: di nuovo un provvedimento amministrativo!
Sì, perchè una deliberazione del Consiglio dei ministri altro non è se non, esattamente come i decreti del Presidente del consiglio dei Ministri e dei decreti ministeriali, un provvedimento amministrativo. Un provvedimento amministrativo cui si attribuiscono, tuttavia, poteri molto più ampi e pervasivi dei tanto vituperati Dpcm, perchè:
- in primo luogo, per la sua emanazione, non sono previste le proposte, i concerti, le comunicazioni preventive o i referti successivi al Parlamento;
- soprattutto, si consente ad un atto amministrativo non di attuare una legge, come è normale, ma di derogarla. In tal modo, quindi, un'autorità amministrativa, il Presidente del consiglio, può modificare i contenuti di disposizioni di legge, invece di attuarli, come dovrebbe avvenire ordinariamente.
Parrebbe di poter concludere che nella ricerca di abbandonare la strada dei Dpcm, sui quali si mantengono i dubbi di perfetta adesione alla Costituzione, si sia adottata una scelta che oggettivamente appare, se non del tutto abnorme, ancora a maggior sospetto di tenuta rispetto all'ordinamento.
La solita soluzione all'italiana. Peraltro le deliberazioni del Consiglio dei ministri non hanno natura di provvedimenti con efficacia esterna per cui andranno attuati a loro volta con CDCPM: ed il cerchio si chiude!
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