Di Angelo Maria Savazzi
Dovrebbe destare un moto di repulsione l’audio, involontariamente portato a conoscenza della rete, dal quale si evince che una commissione per l’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato si pone il problema che non si possono promuovere tutti e che bisogna darsi dei limiti.
È un insulto all’intelligenza di chi si prepara per sostenere un esame in cui già sapevamo, senza poterlo dimostrare, che la maggior parte delle commissioni non si pone il problema di valutare, bensì di delimitare il numero di coloro che possono aspirare ad ottenere una abilitazione che certo non ti assicura nulla del futuro.
Ancora una volta siamo di fronte ad un utilizzo corporativo di un esame di abilitazione che presenta meccanismi perversi in cui la logica è quella di evitare che possa esservi un numero eccessivo di concorrenti in una determinata professione.
Non sono in grado di dire se l’audio che è stato portato all’attenzione del pubblico determini delle responsabilità perseguibili, ma non è questo il tema di interesse. Certo è che un minimo di responsabilità etica dovrebbe portare quella commissione a rimettere il mandato, gli ordini degli avvocati a sconfessare questo operato e, infine, ad ipotizzare una composizione delle commissioni effettivamente indipendente e che non sia condizionata da interessi di natura prettamente corporativa.
Chi è chiamato a selezionare e valutare dovrebbe prima di tutto scrollarsi di dosso tutti gli schemi che alterano l’equilibrio tra le parti ed inficiano le pari opportunità, e se vogliamo parlare di meritocrazia e legalità è davvero curioso che proprio i luoghi, nei quali dovrebbero albergare per definizione e a prescindere, mostrino queste situazioni a dir poco anomale, senza che le istituzioni riescano a trovare il modo di reagire ad atteggiamenti che sembrano rappresentare un mero esercizio arbitrario del potere, assegnato sulla base della posizione ricoperta. Va, peraltro, detto che queste anomalie dovrebbe essere superate se funzionasse la collegialità delle commissioni, che dovrebbe costituire l’antidoto a questi fenomeni, anche se in questi contesti sappiamo che è difficile possano esservi reazioni dall’interno tali da invertire la rotta perché tutto si basa su equilibri intoccabili. Altrimenti che cosa consegniamo e insegniamo ai nostri figli, che cosa insegnano i componenti di queste commissioni ai loro figli, ai giovani che si accingono ad intraprendere un percorso, quando la casualità del superamento della percentuale degli abilitati è il metro di riferimento, irrispettoso delle finalità sottese all’esame di abilitazione.
Ho avuto modo di scrivere in questo BLOG del paradosso delle procedure selettive di natura comparativa in cui la comparazione è completamente assente e che spesso costituiscono il viatico affinché gli incarichi professionali, per i quali vengono banditi i relativi avvisi, possano essere affidati con assoluta discrezionalità se non addirittura con una scomposta e irrazionale arbitrarietà. E ho avuto modo di scrivere di situazioni paradossali in cui i criteri di ammissibilità previsti dalle procedure selettive vengono eluse in modo sorprendente, per cui prima si chiede l’esclusiva e poi viene nominato chi l’esclusiva non la può garantire, prima si stabilisce che l’incarico non può essere affidato a chi ha collaborato con partiti politici nei tre anni precedenti e poi si nomina chi quelle collaborazioni le ha avute ed anche in modo significativamente palese, prima si invoca una norma che prevede l’iscrizione in un elenco nazionale da più di sei mesi e poi si nomina chi in quell’elenco è iscritto da un mese.
Se mettiamo insieme tutti questi tasselli ci rendiamo conto di quanto ci sia da fare per attivare meccanismi in grado di superare queste distorsioni che rendono sempre attuale la frase scritta da Corrado Alvaro: “la disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile”; ma prima di tutto ci sarebbe bisogno di una maggiore tensione etica e una maggiore attenzione verso le giovani generazioni.
È un insulto all’intelligenza di chi si prepara per sostenere un esame in cui già sapevamo, senza poterlo dimostrare, che la maggior parte delle commissioni non si pone il problema di valutare, bensì di delimitare il numero di coloro che possono aspirare ad ottenere una abilitazione che certo non ti assicura nulla del futuro.
Ancora una volta siamo di fronte ad un utilizzo corporativo di un esame di abilitazione che presenta meccanismi perversi in cui la logica è quella di evitare che possa esservi un numero eccessivo di concorrenti in una determinata professione.
Non sono in grado di dire se l’audio che è stato portato all’attenzione del pubblico determini delle responsabilità perseguibili, ma non è questo il tema di interesse. Certo è che un minimo di responsabilità etica dovrebbe portare quella commissione a rimettere il mandato, gli ordini degli avvocati a sconfessare questo operato e, infine, ad ipotizzare una composizione delle commissioni effettivamente indipendente e che non sia condizionata da interessi di natura prettamente corporativa.
Chi è chiamato a selezionare e valutare dovrebbe prima di tutto scrollarsi di dosso tutti gli schemi che alterano l’equilibrio tra le parti ed inficiano le pari opportunità, e se vogliamo parlare di meritocrazia e legalità è davvero curioso che proprio i luoghi, nei quali dovrebbero albergare per definizione e a prescindere, mostrino queste situazioni a dir poco anomale, senza che le istituzioni riescano a trovare il modo di reagire ad atteggiamenti che sembrano rappresentare un mero esercizio arbitrario del potere, assegnato sulla base della posizione ricoperta. Va, peraltro, detto che queste anomalie dovrebbe essere superate se funzionasse la collegialità delle commissioni, che dovrebbe costituire l’antidoto a questi fenomeni, anche se in questi contesti sappiamo che è difficile possano esservi reazioni dall’interno tali da invertire la rotta perché tutto si basa su equilibri intoccabili. Altrimenti che cosa consegniamo e insegniamo ai nostri figli, che cosa insegnano i componenti di queste commissioni ai loro figli, ai giovani che si accingono ad intraprendere un percorso, quando la casualità del superamento della percentuale degli abilitati è il metro di riferimento, irrispettoso delle finalità sottese all’esame di abilitazione.
Ho avuto modo di scrivere in questo BLOG del paradosso delle procedure selettive di natura comparativa in cui la comparazione è completamente assente e che spesso costituiscono il viatico affinché gli incarichi professionali, per i quali vengono banditi i relativi avvisi, possano essere affidati con assoluta discrezionalità se non addirittura con una scomposta e irrazionale arbitrarietà. E ho avuto modo di scrivere di situazioni paradossali in cui i criteri di ammissibilità previsti dalle procedure selettive vengono eluse in modo sorprendente, per cui prima si chiede l’esclusiva e poi viene nominato chi l’esclusiva non la può garantire, prima si stabilisce che l’incarico non può essere affidato a chi ha collaborato con partiti politici nei tre anni precedenti e poi si nomina chi quelle collaborazioni le ha avute ed anche in modo significativamente palese, prima si invoca una norma che prevede l’iscrizione in un elenco nazionale da più di sei mesi e poi si nomina chi in quell’elenco è iscritto da un mese.
Se mettiamo insieme tutti questi tasselli ci rendiamo conto di quanto ci sia da fare per attivare meccanismi in grado di superare queste distorsioni che rendono sempre attuale la frase scritta da Corrado Alvaro: “la disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile”; ma prima di tutto ci sarebbe bisogno di una maggiore tensione etica e una maggiore attenzione verso le giovani generazioni.
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