lunedì 21 giugno 2021

Il Tar Lazio ed il travisamento della tutela del diritto di accesso

 Per i molti, troppi, che non hanno letto la sentenza del Tar Lazio Roma, Sezione III, 8/06/2021, n. 7333, evidenziamo qui le principali richieste di accesso rivolte alla Rai:

"a) tutte le richieste rivolte dai giornalisti e/o dalla redazione di “Report”, tramite e-mail o con qualsiasi mezzo scritto o orale, a persone fisiche ed enti pubblici (Comuni, Province, ecc.) o privati (fondazioni, società, ecc.), per ottenere informazioni e/o documenti riguardanti la persona dell’avv. Andrea Mascetti e la sua attività professionale e culturale;

b) tutti i documenti e/o le informazioni fornite ai giornalisti e/o alla redazione di “Report” a seguito delle richieste sub a), e in particolare la corrispondenza personale intercorsa tra lo scrivente e soggetti terzi illustrata nella parte finale del servizio;

c) ogni altra corrispondenza non ricompresa sub a) o b) che sia intervenuta tra i giornalisti e/o la redazione di “Report” con riferimento all’avv. Andrea Mascetti o allo Studio Legale Mascetti".

Ora, sol che si analizzi appunto l'oggetto delle richieste emerge con assoluta evidenza la chiara erroneità della sentenza del Tar Lazio.

Molti si stanno lambiccando su una serie di problemi del tutto irrilevanti per la questione. Chi ritiene fondata o meno la sentenza in relazione al ruolo di soggetto concessionario di servizio pubblico della Rai, come tale in linea generale assoggettato alle disposizioni sul diritto di accesso; chi evidenzia che la Rai svolge, tuttavia, attività editoriale per testate giornalistiche, come Report, la cui attività non rientra per nulla nella disciplina dell'accesso.

L'argomentazione principale seguita da chi apprezza il contenuto di merito della decisione (invece erronea) del Tar osserva che la sentenza è corretta nella misura in cui:

a) consente l'accesso a documenti, che si presuppone pubblici, prodotti da pubbliche amministrazioni in risposta alle richieste della testata;

b) esclude, in tal modo, la riconducibilità alle fonti alle quali si sono riferiti i giornalisti.

Ma, l'attenta lettura della richiesta evidenzia appunto il grave errore nel quale incorre la pronuncia del Tar Lazio.

In primo luogo, il ricorrente mostra di chiedere l'accesso alle richieste rivolte dai giornalisti di Report a persone fisiche o enti pubblici. Ora, dimostrare che la richiesta di un giornalista alle fonti di documenti che il giornalista stesso ritiene necessari per supportare il contenuto della propria inchiesta, sia un "documento amministrativo" è operazione tanto sofistica, quanto assurda.

E' perfettamente evidente che, in disparte ogni questione sull'applicabilità della legge 241/1990 ad una testata giornalistica, ancorchè edita da un concessionario pubblico come la Rai (applicabilità che è certamente da negare: è la Rai soggetta alla legge 241/1990, non la testata giornalistica), la richiesta di un giornalista ad una sua fonte non può avere in alcun modo nessuna connotazione di documento amministrativo o di informazione o altro dato accessibile ai sensi della legge sulla trasparenza. La richiesta di dati, informazioni e documenti di un giornalista attiene solo ed unicamente alla sfera di questo, alla responsabilità del direttore e della testata.

La domanda ostensiva vuol giungere a sapere a quali "persone fisiche" e a quali "enti" le richieste della testata siano state rivolte: negare che si tratti di un metodo per giungere alla conoscenza delle fonti alle quali si è rivolto il giornalista è negare l'evidenza.

La sentenza dispone che l'accesso deve essere consentito "unicamente agli atti effettivamente formati e detenuti dalla RAI, essendo ontologicamente impossibile che esso sia effettuato rispetto ad atti non documentati". Ma, a parte che chi ha gestito ed elaborato gli atti non è la Rai, ma una testata giornalistica, quali sarebbero gli "atti effettivamente formati"? Appunto le richieste rivolte alle fonti? E non è chiaro che rivelando le persone fisiche o gli enti destinatari delle richieste di Report, si evidenziano le fonti? E non è altrettanto chiaro che se risponde un "ente" comunque la risposta proviene da un ufficio di quell'ente ed è possibile quindi risalire alle persone fisiche titolari di quell'ufficio? E non è chiaro che così, più che favorire la trasparenza e la provenienza delle fonti, si lede la libertà di stampa?

Andiamo alla seconda richiesta: i documenti e le informazioni fornite ai giornalisti dalle persone fisiche e dagli enti in risposta alle richieste dei giornalisti-

La sentenza obbliga la Rai a consentire l'accesso, come si è visto, anche ai dati "detenuti". Dunque, l'accesso dovrebbe estendersi proprio a quanto ricevuto dalla redazione di Report in risposta alle proprie domande. Ma, questo obbligo di ostensione dei documenti sarebbe sostenibile se l'attività giornalistica di una testata edita dalla Rai fosse equiparabile ad attività amministrativa. Ma, non lo è. Si ribadisce: è la Rai soggetta alla legge 241/1990, non le testate giornalistiche che edita, sol perchè l'editore ha natura di ente concessionario pubblico. Nè immaginabile che l'attività giornalistica, tutelata per altro da alcune norme speciali, possa subire trattamenti differenziati a seconda che l'editore sia soggetto privato o pubblico: il principio secondo il quale gli atti pubblici utilizzati da un giornalista per un'inchiesta siano da considerare ostensibili, per essere minimamente accettabile, dovrebbe estendersi a tutto il sistema della stampa. Ma, sarebbe una pericolosissima lesione alla libertà di stampa, un cui caposaldo è la segretezza delle fonti.

Infine, la terza richiesta: general generica, riferita ad un indeterminato ed indeterminabile complesso di "ogni altra corrispondenza" tra redazione e soggetti, riferita al ricorrente. Abbiamo letto bene? Sì: ogni altra "CORRISPONDENZA". Eppure vi è un articolo della Costituzione, il 15, che dispone:

"La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.

La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria [cfr. art. 111 c. 1] con le garanzie stabilite dalla legge".

Non pare vi sia bisogno di altro per evidenziare la strumentalità, meglio il fine "esplorativo" dell'accesso, intendendosi per tale non lo scopo di acquisire documenti necessari alla cura di interessi giuridici del richiedente, bensì riferiti a fini ulteriori e diversi. Non si tratta di un accesso definibile "difensivo", rivolto ad acquisire documenti necessari per il richiedente allo scopo di tutelarsi in giudizio.

E' giusto precisare che la PA destinataria di una richiesta di accesso non ha titolo per ingerirsi in merito ad utilizzo e destinazione dei documenti che ne sono oggetto. Ma, la sentenza evidenzia che si tratta di un accesso avente scopo "difensivo" (retto in sostanza dall'articolo 24 della legge 241/1990) nel ricordare le ragioni poste dal richiedente alla base della sua istanza, volta ad ottenere "materiale inerente al servizio televisivo che lo aveva specificamente riguardato, di un interesse “concreto” in quanto funzionale a promuovere iniziative a tutela del suo buon nome e di un interesse “attuale” dal momento che il servizio giornalistico lesivo della sua reputazione sarebbe tuttora visionabile sul sito internet della RAI, risultando lontana la scadenza dei termini di prescrizione per la proposizione di eventuali azioni risarcitorie".

E' evidente che il richiedente ha inteso farsi anticipare dal Tar una valutazione prognostica circa la possibile lesione della sua sfera giuridica da parte della testata giornalistica, appunto connettendo l'interesse ad accedere ai documenti con la tutela del suo buon nome, vulnerato dal servizio giornalistico.

Ma, se l'interesse all'accesso possa essere qualificato, come da istanza, "concreto" ed "attuale", certamente è manchevole del terzo elemento indispensabile perchè l'istanza risulti da accogliere: l'interesse deve essere anche riferito ad una "situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso" (articolo 22, comma 1, lettera a), della legge 241/1990.

La sentenza del Tar Lazio è totalmente carente della dimostrazione che le richieste dei giornalisti della testata ed i documenti eventualmente acquisiti siano collegati all'interesse enunciato dal richiedente.

Questa carenza è facilmente spiegabile: semplicemente il Tar non riesce minimamente a trattare del collegamento dei documenti alla situazione giuridica, perchè tale collegamento è impossibile.

Infatti, se la lesione della reputazione del richiedente l'accesso deriva dal servizio giornalistico, le azioni per ottenere tutela sono penali (diffamazione a mezzo stampa) e civili, e si fondano sulla dimostrazione della non veridicità di quanto affermato dal servizio giornalistico.

Quindi, è il servizio giornalistico possibile cagione della lesione della posizione giuridica dell'interessato; non hanno alcuna rilevanza, invece, le fonti escusse e i documenti acquisiti dal giornalista. A meno che nei giudizi penali e civili non lo ritenesse necessario il giudice, o qualora, sempre in questi giudizi, non li si esibisse come prova.

L'istanza di accesso è, dunque, evidentemente strumentale ed esplorativa, volta cioè non alla tutela della posizione del richiedente, ma a far conoscere a questo le fonti del servizio, per scopi che non si può escludere siano di reazione avverso queste.





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