Di Santo Fabiano*
Il tema del contrasto alla corruzione, nel nostro Paese, ha assunto i toni di una questione “politica” o persino “dottrinale” o nei peggiori casi “tecnica”, assolutamente lontani dall’attenzione all’efficacia dei metodi adottati rispetto al contenimento del fenomeno corruttivo.
Forse non tutti sanno che già nel 2003 il nostro Paese aveva istituito l’Alto commissario per la prevenzione della corruzione, ma nel 2008, con un decreto legge finalizzato allo sviluppo economico, alla competitività e alla stabilizzazione finanziaria, era stato soppresso riconoscendo così, con “necessità e urgenza” che quelle finalità non si conciliavano con la prevenzione della corruzione.
L’attuale Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) nasce, perché ce lo chiede l’ONU, nel 2012 con la famosa legge 190 che ha la caratteristica di avere un solo articolo e 82 commi, a conferma del clima di frettolosità e approssimazione con cui è stata approvata.
In verità l'ONU non richiede che vi sia una specifica Autorità, ma che, in ogni Paese, "uno o più organi" siano incaricati della prevenzione della prevenzione. Se si guarda come la convenzione è stata interpretata si nota che il modello italiano di autorità non è presente in nessun Paese e in Germania non c'è nemmeno una specifica Autorità.
Il disegno di legge originario, nel nostro Paese, risale a maggio 2010 ed era ben strutturato e organizzato in articoli. Esordiva con il Piano anticorruzione e non prevedeva l’istituzione di una specifica Autorità anticorruzione, ma al suo posto, una “Rete nazionale anticorruzione”, composta da referenti di ciascuna pubblica amministrazione, coordinata dal Dipartimento della funzione pubblica, all’interno del quale veniva istituito un Osservatorio sulla corruzione a cui non spettavano compensi in relazione all’incarico conferito né alcun rimborso delle spese sostenute.
Nei due anni di “navetta parlamentare” il testo è stato stravolto e oggi il nostro sistema prevede un’Autorità nazionale anticorruzione che consta di 302 dipendenti, di cui 35 dirigenti e 186 funzionari, con un sistema di competenze che, come si legge nel testo vigente, mai aggiornato, oscilla tra il Dipartimento e l’ANAC.
È in questo contesto che l’ANAC ha operato, per quasi nove anni, con il compito di impensierire gli attori del sistema corruttivo, per affermare i principi della buona amministrazione, incontrando un ambiente ostile o persino disinteressato. Ma l’Autorità, nessuno se ne risenta, non ha lavorato per la creazione di una “rete anticorruzione”, come prevedeva la norma originaria, né per affermare la “buona fede nell’agire amministrativo”, come richiede l’ONU nella convenzione del 2003.
Sin da subito l’Autorità ha operato con metodo accademico, più attento alla forma che ai risultati, più interessato dalla raccolta di numeri piuttosto che di informazioni significative, caratterizzato dalla assegnazione di compiti a cui consegue l’attribuzione di giudizi e sanzioni. Come se la corruzione fosse una sorta di errore di calcolo o di forma che si potesse risolvere con maggiore attenzione sugli adempimenti o sugli indicatori.
Certamente è stato sottovalutato il radicamento sociale della corruzione. Ma soprattutto non si è puntato al rafforzamento del rapporto con le pubbliche amministrazioni, intese più come riottosi destinatari di prescrizioni e controlli, invece che come alleati nella lotta alla corruzione. Peraltro, questa scelta di metodo ha creato un pericoloso clima di ostilità tra l’Autorità e le pubbliche amministrazioni, anche le più integre ed efficienti e favorito l’insorgere di disegni di ridimensionamento dei controlli a cui assistiamo anche oggi. Ma soprattutto non è servito a contenere il fenomeno corruttivo che dilaga liberamente.
C’è da augurarsi, nell’interesse di tutti, che questo contrasto tra le istituzioni si allenti e prevalga il buon senso. Il nostro sistema ha bisogno di un presidio sulla correttezza dell’azione amministrativa, ma non può essere effettuato promuovendo un clima di sospetto generalizzato, né appesantendo l’attività amministrativa. Ma soprattutto non ha alcun senso istituzionale la pretesa che la prevenzione della corruzione sia appannaggio di una sola istituzione che si ponga al di sopra di tutte le altre.
La prevenzione della corruzione è un impegno che deve accomunare tutti gli ambiti istituzionali ed è efficace solo se promuove la piena cooperazione tra tutte le pubbliche amministrazioni, nel rispetto dei ruoli e delle competenze attribuite.
Serve un organismo istituzionale che coordini le attività delle pubbliche amministrazioni, che può essere denominato anche “autorità”, ma nel senso anglosassone (Autorithy), che sia chiamato a rispondere degli effetti e dell’efficacia dei propri interventi, proprio perché a capo di una rete vasta e articolata in tutte le istituzioni.
Proprio qualche giorno fa il nuovo presidente di ANAC ha richiesto la dotazione di altro personale per potenziare l’attività di ANAC in vista dell’ondata di affidamenti che produrrà il PNRR.
Con tutto il rispetto, è proprio questo l’errore che l’Autorità continua a commettere: la convinzione di promuovere il contrasto alla corruzione al di fuori delle pubbliche amministrazioni e in modo solitario.
Proprio in considerazione del periodo che ci attende l’ANAC dovrebbe, invece, avvertire l’esigenza di costruire una “rete tra le pubbliche amministrazioni” e avvalersi delle professionalità di chi opera in prima linea, considerandoli alleati e sostenendoli, soprattutto là dove il rischio è più avvertito. Dovrebbe avvalersi delle Prefetture come ambito privilegiato nel territorio per creare occasioni di coordinamento con i segretari comunali, con le camere di commercio, con le aziende sanitarie, ecc. E là dove riscontri situazioni problematiche, piuttosto che assumere atteggiamenti formali o ispettivi, dovrebbe rafforzare il sostegno nei confronti del responsabile della prevenzione, il cui compito non è mai agevole, ma che diventa impossibile senza il riferimento all’Autorità.
Per contrastare la corruzione non è necessario incrementale il numero dei controllori da collocare al di sopra di chi materialmente opera in prima linea, già oberato da vincoli e pressioni. Serve, invece l’ampliamento e il consolidamento di una rete istituzionale, nella modalità della relazione collaborativa.
L’ANAC non ha bisogno di altri dirigenti e funzionari perché può già contare su tutti i dirigenti e funzionari pubblici. Ma ciò è possibile solo se riesce a cogliere il valore di unitarietà di cui la pubblica amministrazione ha bisogno per fronteggiare il fenomeno corruttivo. Perché la prevenzione della corruzione non è una questione riservata all’Autorità, né un compito formale da assegnare, ma un presidio di natura culturale che si rafforza solo con la cooperazione e il coinvolgimento di tutti.
*Presidente di Articolo 97
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